domenica 24 dicembre 2023

STATO E "MOLTITUDINE"

Che in Italia vi sia un problema di informazione è noto, ma non riguarda solo i cosiddetti "media mainstream", dato che quella che viene definita contro-informazione non si distingue dalla più volgare propaganda.  

Del resto, non possono essere certo il complottismo e/o i cascami dell'ideologia marxista o fascista -  che contraddistinguono ancora buona parte della cultura politica italiana, incapace di fare i conti con le dure repliche della storia - a rappresentare una seria e valida alternativa alla politica neoliberale, tanto che perfino una questione così essenziale come quella della dottrina dello Stato viene del tutto ignorata (non a caso si confonde la geopolitica con quel che alcuni definiscono in modo spregiativo "risikismo"). 

D'altronde, non è la differenza tra essere e dover essere bensì la differenza tra essere e poter essere a connotare l'essenza del Politico, anche e soprattutto per quanto concerne la questione del nomos della terra. 

È il poter essere  infatti che, trasformando in "geo-politica" la terra in cui un popolo "dimora", rende possibile la stessa contrapposizione tra amico e nemico (non è, ad esempio, l'accesso al mare come tale che è significativo sotto il profilo politico e geopolitico, ma quel che si "può" fare mediante l'accesso al mare, come sapeva Platone, che non a caso riteneva che la polis non dovesse avere alcun accesso al mare). È il poter essere quindi che può creare le condizioni di un nuovo nomos della terra, mutando pure la relazione tra essere e dover essere.

Ma proprio perché è il poter essere che struttura e articola la funzione politica di uno Stato (quale che esso sia) non vi può essere alcuna prassi politica distinta da quella neoliberale (che non è certo al servizio delle "moltitudini") senza la trasformazione della funzione politica dello Stato (una "moltitudine" è, nel migliore dei casi, solo un soggetto sociale, non un soggetto politico, dato che se diventa un soggetto politico non è più una "moltitudine" o, meglio, è "più che moltitudine").

Ovviamente anche una dittatura (poco importa di che colore politico sia o se sia una autocrazia elettiva) presuppone una diversa funzione politica dello Stato. Tuttavia, è proprio questo il problema che una prassi politica che miri a trasformare la funzione politica dello Stato neoliberale dovrebbe risolvere, evitando di cadere nella trappola politica (e geopolitica!) di una dittatura, che impedendo alla "moltitudine" la possibilità di diventare un soggetto politico* capovolge il rapporto tra società e Stato, facendo apparire quest'ultimo non come "soggetto" ma come "sostanza".

*In una dittatura la funzione politica dello Stato muta prima di tutto la "soggettività" in "soggezione". Qualcosa di simile caratterizza anche lo Stato neoliberale, in quanto tende a configurarsi come una oligarchia, ma a differenza di una dittatura lo Stato neoliberale non usa (di norma) il bastone e il bavaglio bensì si avvale di una raffinata tecnologia sociale ("manipolazione" dell'informazione inclusa) che trasforma i "molti" in una pluralità di soggetti politicamente passivi e "impotenti", di modo che si tratta di un pluralismo più apparente che reale.

sabato 16 dicembre 2023

IL "DISORDINE MENTALE" DELL'OCCIDENTE EUROATLANTISTA

È noto che gli americani volevano che la controffensiva ucraina cominciasse nell’aprile scorso e che l'attacco ucraino avvenisse in una sola direzione ovverosia in direzione di Melitopol, per "tagliare” il corridoio che unisce la Crimea e il Donbass. Gli ucraini invece ritenevano che si dovesse aspettare la buona stagione (attaccarono a giugno) e che fosse necessario non solo un maggiore addestramento delle nuove brigate ucraine ma anche attaccare in diverse direzioni per "sbilanciare" l'esercito russo.

Insomma, comunque la si pensi riguardo al modo in cui gli ucraini hanno condotto la controffensiva,  è evidente che l'esercito di Kiev non aveva la potenza di fuoco necessaria per uno sfondamento delle difese russe - sempre che il morale dell'esercito russo non crollasse del tutto - e che di conseguenza una difesa attiva o, meglio, "elastica" sarebbe stata una migliore strategia. Ma occorreva capire che per Kiev limitarsi a difendere l'indipendenza e la sovranità dell'Ucraina, anziché puntare ad una (tutt'altro che probabile) “sconfitta totale” della Russia riconquistando la Crimea o facendo addirittura crollare il regime di Putin, equivaleva a non perdere la guerra. 

Ora invece c'è uno stallo pericoloso per gli ucraini che non hanno i mezzi, gli uomini e le risorse che hanno i russi, sebbene le perdite dell'esercito russo siano certo assai gravi e con ogni probabilità nettamente superiori a quelle dell'esercito ucraino. Peraltro, sono proprio il nazionalismo ottuso del regime di Kiev e l'insipienza geopolitica e strategica dell'Occidente atlantista e neoliberale a rendere più difficile per l'Ucraina resistere agli attacchi dei russi, benché sia poco probabile che si verifichi un vero e proprio crollo dell'esercito ucraino.

Comunque sia, il regime di Kiev, nonostante disponga ancora di buona parte degli armamenti ricevuti dalla coalizione occidentale, è costretto ad arruolare con la forza anche chi non è in grado di svolgere il servizio militare, mentre si ritiene che siano più di mezzo milione i maschi ucraini in età di leva che hanno lasciato il proprio Paese.* 

Del resto, anche la coalizione occidentale mostra gravi segni di stanchezza, nonostante si continui a cianciare di “vittoria ucraina”, senza nemmeno che si sappia che si intenda per “vittoria ucraina”, mentre la lotta politica sempre più aspra tra repubblicani e democratici negli Usa ha già bloccato gli aiuti militari a Kiev necessari per consentire agli ucraini di resistere agli attacchi dei russi, anche se l'esercito di Kiev cerca ancora di condurre delle azioni offensive, che non solo non hanno successo, se non limitato, ma rischiano di comportare delle gravi perdite che l'Ucraina non può permettersi, a differenza della Russia (sempre che "regga" il fronte interno, dato che le perdite russe sono talmente ingenti che si ritiene che alla Russia ci vorranno diversi anni per ricostituire un esercito ben addestrato).** D’altra parte, La demografia in guerra conta, tanto più che oltre a diversi milioni di profughi ucraini si devono aggiungere alcuni milioni di ucraini etnicamente russi, nonostante che questi ultimi non esistano per l'Occidente neoliberale.

In sostanza, si è persa l'occasione di trattare con la Russia da una posizione che in pratica era ancora vantaggiosa per l'Ucraina (dato che stava combattendo contro una grande potenza come la Russia), sostituendo il realismo geopolitico con l'ideologia (quasi che la Russia fosse simile alla Germania nazista, cui si impose una resa senza condizioni), fino al punto di scambiare la propria immagine fasulla della realtà per la realtà, rischiando così di fare il passo più lungo della gamba. 

Ora quindi è tutto più difficile, anche se l'Ucraina non ha ancora perso la guerra. Certo, si sa che da questa guerra, comunque finisca, l'Ucraina uscirà con le ossa rotte. Nondimeno, anche se Putin può sempre affermare di avere conquistato il territorio che collega la Crimea e il Donbass, a Kiev non vi è un governo filorusso e l'Ucraina conserva ancora l'accesso al mare nonché il controllo di  Kharkiv e di parte dello stesso Donbass (peraltro, nel medio periodo il costo di questa guerra per la Russia con ogni probabilità sarà salatissimo). Pertanto è lecito affermare (il discorso però è diverso se si ritiene che lo scopo dell'Ucraina e della Nato sia riconquistare tutti i territori ucraini  - Crimea inclusa - dai russi) che se la guerra terminasse adesso la Russia non avrebbe vinto.*** Ma pure il Cremlino ne è consapevole, tanto che conta proprio sul "disordine mentale" dell'Occidente euroatlantista per trasformare un grave insuccesso in una vittoria, per quanto limitata e costosa possa essere.


*Vedi https://www.nytimes.com/2023/12/15/world/europe/ukraine-military-recruitment.html.


** Vedi  https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/12/17/la-mancata-controffensiva-ha-fatto-risparmiare-allucraina-gran-parte-degli-armamenti-cosa-dicono-i-dati-dopo-quasi-due-anni-di-guerra/7384739/ e https://www.nytimes.com/2023/12/16/world/europe/ukraine-kherson-river-russia.html. Si deve pure considerare che Mosca ha seri problemi con la mobilitazione ovverosia con il reclutamento.


***Secondo Charles Kupchan "with the Kremlin having returned to the path of territorial conquest, pragmatic realism requires that the West now reinstates a policy of firm containment. But it also requires sober acknowledgment that Ukraine is unlikely to be able to drive Russian forces from its territory; a military stalemate has settled in. Accordingly, the United States should press Ukraine to focus on defending and rebuilding the more than 80 percent of Ukraine still under its control. Over the longer term, the West should help Ukraine restore territorial integrity — an outcome more likely to be achieved at the negotiating table than on the battlefield, https://www.nytimes.com/2023/12/18/opinion/henry-kissinger-ukraine-israel.html.


sabato 9 dicembre 2023

L'OCCIDENTE DEGLI STOLTI

Il veto posto dall'America sul cessate il fuoco a Gaza non è solo una schifezza ma un errore madornale. Come al solito i neoliberali atlantisti non esitano a calpestare i principi e i valori (diritti umani compresi) che affermano di difendere, ogni volta che sono in contrasto con i loro interessi (economici e/o geopolitici).

Che pensare, d'altra parte, di una CPI che emette un mandato di cattura per Putin ma chiude gli occhi di fronte ai crimini di Bibi &C.? 

Nondimeno, il "resto del mondo" gli occhi non li ha chiusi e non tollera più il vergognoso doppiopesismo dell'Occidente neoliberale, come dimostra anche la questione delle sanzioni imposte alla Russia. 

Insomma, l'Occidente neoliberale "se la canta e se la suona", al punto da confondere sé stesso con la comunità internazionale e lo stesso Occidente.

Il "nostro mondo" di cui ciancia Panebianco sul Corsera, infatti, non è altro che il "mondo neoliberale", che sembra affetto da una grave forma di autismo, tanto che anche Garimberti su Repubblica definisce Putin "paria del mondo". 

I neoliberali atlantisti temono le "potenze autoritarie anti-egemoniche" - che certo (retorica a parte)  se ne infischiano della democrazia, della libertà e dei diritti umani, dato che sono solo affamate di potere -, ma sono proprio loro che, come gli stolti, agiscono in modo tale da favorire i propri nemici e danneggiare sé medesimi o, peggio, l'intero Occidente, che non è affatto sinonimo di Occidente neoliberale.

domenica 3 dicembre 2023

GLI ERRORI DI CALCOLO STRATEGICO SI PAGANO

Che la controffensiva ucraina sia fallita ormai nessuno lo può negare, tanto è vero che adesso l'esercito ucraino anche se non ha rinunciato a condurre azioni offensive è costretto a puntare soprattutto su una strategia difensiva.* Eppure già un anno fa Kiev avrebbe avrebbe potuto e dovuto adottare una strategia imperniata su una "difesa elastica", dato che fin dalla primavera del 2022 era scontato che non fosse possibile costringere la Russia ad arrendersi, sempre che non crollasse il morale dell'esercito russo o addirittura il regime di Putin. Ma la russofobia ha accecato sia i vertici politici e militari di Kiev che quelli della Nato, mentre i media occidentali hanno continuato a raccontare la favola secondo cui la Russia era "isolata" e quindi la sua macchina bellica avrebbe presto smesso di funzionare. 

Si è così ignorato che sono gli asset strategici che contano in guerra, sebbene siano l'azione di comando, la preparazione tecnica e la motivazione che trasformano gli asset strategici in fighting power. I difetti della macchina bellica russa sono noti ma, anche a prescindere dal fatto che alcuni di questi difetti sono stati eliminati dai russi nei mesi scorsi, è ovvio che non vi siano mai state le condizioni (geo)politiche né le condizioni militari per imporre alla Russia una unconditional surrender.

Nondimeno, la Russia non ha (ancora) vinto la guerra: a Kiev non vi è un governo filorusso, Odessa e Kharkiv sono ancora saldamente nelle mani degli ucraini e il Donbass non è stato del tutto conquistato dall’esercito russo. Per di più il Baltico è diventato un "lago atlantista"  e il Cremlino è stato costretto a militarizzare la propria economia nonché la società russa, con metodi che ricordano la Russia zarista e perfino il regime stalinista. Del resto la Russia ora è assai più dipendente dalla Cina, mentre l'improvvida e scellerata decisione del Cremlino di invadere l'Ucraina ha permesso agli Usa di “tagliare i ponti” tra l'Europa occidentale e la Russia. 

Tuttavia, anziché far dipendere la questione territoriale - ossia quella dei territori ucraini occupati dai russi - dalla difesa della sicurezza e della indipendenza dell'Ucraina, si è agito in senso opposto e  adesso più passa il tempo e più cresce il rischio che sia l'Ucraina, che dipende totalmente dagli aiuti occidentali e in particolare da quelli militari dell’America, ad essere costretta a “gettare la spugna”.**

Certo, la Russia aggredendo l'Ucraina ha difeso le proprie "ragioni geopolitiche"*** nel peggior modo possibile e si è pure macchiata di numerosi crimini di guerra (benché, prescindendo dal diverso contesto politico, non più gravi di quelli commessi dagli Usa in Afghanistan o in Iraq e da quelli commessi da Israele in Cisgiordania e a Gaza, che nemmeno l'orribile pogrom del 7 ottobre scorso può giustificare). Del resto è innegabile che il Cremlino abbia commesso un grave errore di calcolo strategico sottovalutando il patriottismo della maggior parte degli ucraini e illudendosi che gli interessi economici avrebbero indotto l'Europa occidentale a "tagliare i ponti” con l'America anziché con la Russia. 

Ciò nonostante, pure l'Occidente atlantista ha commesso dei gravi errori di calcolo strategico, scambiando la propria immagine fasulla della realtà per la realtà. Ovviamente, come possa finire la guerra russo-ucraina non è possibile saperlo, anche perché Ucraina e Russia assomigliano a due pugili suonati decisi a continuare a combattere fino all'estremo. Ma si deve essere consapevoli che una guerra lunga e di logoramento non può non avvantaggiare la Russia, mentre l’Ucraina, che la demografia non favorisce, già mostra gravi segni di stanchezza (come, del resto, la stessa coalizione occidentale) e anche una pericolosa forma di "dissidio interno".

Comunque sia, è ancora possibile un "pareggio" (assai difficile ottenere di più), che in pratica (ossia tenendo conto dei reali rapporti di forza) equivarrebbe ad un successo dell'Ucraina o, se si preferisce, ad una "non vittoria" della Russia. D’altronde, il Cremlino, anche se non potrà mettere fine all'ostilità della maggior parte degli ucraini nei confronti della Russia (e quindi non potrà ottenere una “vittoria totale e definitiva” contro l'Ucraina), non solo dispone di maggiori asset strategici di Kiev ma ha pure un'ottima carta da giocare ovverosia l'insipienza strategica e (geo)politica dell'Occidente atlantista e neoliberale (il cui "doppiopesismo" buona parte del mondo non è più disposta a tollerare). 

In definitiva, ancora una volta si conferma che anche in guerra la migliore strategia è quella che si basa sul realismo (geo)politico e sull'etica della responsabilità, non certo quella basata sull’ideologia o, peggio, sul wishful thinking.


*Sulla controffensiva ucraina si vedano ad esempio https://www.washingtonpost.com/world/2023/12/04/ukraine-counteroffensive-us-planning-russia-war/ e https://www.washingtonpost.com/world/2023/12/04/ukraine-counteroffensive-stalled-russia-war-defenses/.


**Al riguardo si veda anchehttps://www.economist.com/leaders/2023/11/30/putin-seems-to-be-winning-the-war-in-ukraine-for-now.


***In questa sede è sufficiente ricordare che, sebbene si debba riconoscere che la Nato non ha mai avuto alcuna intenzione di aggredire la Russia e che l'Ucraina anche prima del 24 febbraio 2022 non aveva alcuna possibilità di condurre una guerra offensiva contro la Russia, la "pressione geopolitica" della Nato ai confini della Russia c'era (si tenga presente che se il veto di alcuni membri della Nato all'ingresso dell'Ucraina nella Alleanza Atlantica era certo, soprattutto gli Usa e la Gran Bretagna avevano in parte aggirato questo ostacolo, integrando negli apparati della Nato l'intelligence e le forze speciali dell'esercito di Kiev) e ha pure contribuito a fare crescere l'estremismo nazionalista russo (che, peraltro, a sua volta ha contribuito alla crescita dell'estremismo nazionalista ucraino). Insomma, nulla giustifica l'aggressione russa contro l'Ucraina, che ha anche gravemente danneggiato l'Europa occidentale, ma che vi fosse una sorta di guerra ibrida dell'Occidente atlantista e neoliberale contro la Russia per ragioni geopolitiche è innegabile. Per i "falchi atlantisti", infatti, era ed è la Russia stessa a rappresentare un "nemico geopolitico", non solo cioè il regime autocratico di Putin, che pure sta condannando la Russia a rimanere prigioniera di una storia che ha causato terribili lutti e sofferenze anche al popolo russo.  


lunedì 13 novembre 2023

DUE PESI E DUE MISURE

La Cisgiordania, com’è noto, è sottoposta dal 1967 ad una occupazione militare che priva i palestinesi di diritti fondamentali. Ma ben peggiore della occupazione militare è la colonizzazione/annessione della Cisgiordania, in cui coloni e militari israeliani commettono ogni sorta di sopruso, di angheria e di soperchieria contro la popolazione palestinese. Ed è una violenza quotidiana che, creando disperazione e rabbia, rischia di trasformare un'intera generazione di palestinesi in nemici irriducibili di Israele.  


Certo, il terrorismo non porta da nessuna parte e genera solo altra violenza ossia altre vittime, palestinesi e israeliane. D’altronde, Israele non è rappresentato solo da Netanyahu e dai coloni ultranazionalisti ortodossi, e la stessa storia del conflitto israelo-palestinese non è la storia dei buoni contro i cattivi. Ed è innegabile che Israele, come qualsiasi altro Stato, abbia anche il diritto di difendersi.  


Tuttavia, non può sorprendere che siano sempre più numerosi i giovani palestinesi convinti che la resistenza armata contro l'occupante è l'unica scelta che possono fare se non vogliono rassegnarsi a vivere come prigionieri nella loro terra. Del resto, si devono tenere anche presenti le varie  operazioni militari israeliane (Piombo Fuso ecc.) che hanno causato migliaia di vittime civili a Gaza, trasformata in una sorta di prigione a cielo aperto dopo che Hamas ne aveva acquisito il totale controllo E come non capire che l’attuale governo di estrema destra israeliano anche a Gaza sta praticamente attuando una spaventosa punizione collettiva? Non è solo questione di diritto umanitario internazionale ma anche di strategia, perché anche la storia recente insegna che si può e si deve sconfiggere il terrorismo usando il bisturi non certo l’accetta.*


Non è quindi affatto facile convincere i giovani palestinesi di Gaza e di Cisgiordania che Hamas e la Jihad islamica in realtà sono dei nemici della causa palestinese e che pure i dirigenti palestinesi in passato di errori ne hanno commessi molti, anzi troppi, tanto più che l'Occidente neoliberale dice una cosa e ne fa un'altra e usa due pesi e due misure.


Sia chiaro, non si tratta di condividere la solita melensa retorica anti-occidentale che confonde la civiltà europeo-occidentale con la prepotenza dell'Occidente neoliberale e che "ignora" i crimini e la prepotenza del cosiddetto "resto del mondo". Questa stessa retorica peraltro non è che una sorta di "sottoprodotto politico-culturale" dell'Occidente neoliberale. 


Si tratta invece di capire che è lo stesso Occidente neoliberale che si contrappone in modo sempre più netto alla civiltà europeo-occidentale, facendola apparire a gran parte del mondo come una maschera che cela una realtà ben diversa.

*Lo scopo del governo israeliano sembra chiaro: trasformare l'intera Cisgiordania in una "colonia" israeliana e creare deliberatamente una catastrofe umanitaria a Gaza, per costringere l'Egitto ad aprire "le porte" agli abitanti di Gaza (le cui case peraltro sono state  in gran parte distrutte dall'esercito israeliano). In altri termini lo scopo non è solo sconfiggere Hamas, ma, strumentalizzando quanto accaduto il 7 ottobre scorso (un massacro che certo non si può non condannare), rendere impossibile la nascita di uno Stato palestinese.


martedì 7 novembre 2023

DRESDA?

 Sul "Messaggero" (07/11/23) Francesco Adornato, pur riconoscendo che quanto sta accadendo a Gaza è una tragedia, si chiede (cito a memoria): "chi potrebbe negare che il bombardamento di Dresda, che causò 135.000 vittime [in realtà le stime più attendibili oscillano tra 20.000 e 35.000 vittime], fu necessario per sconfiggere la Germania nazista?"

A questa domanda retorica, si può rispondere senza problemi: "chi conosce la storia della Seconda guerra mondiale". Difatti, il bombardamento di Dresda non era affatto necessario sotto il profilo militare, dato che la Germania ormai era in ginocchio. D'altronde, Dresda allora aveva scarsa importanza militare ed era soprattutto una città in cui affluivano i profughi tedeschi da Est.

Inoltre, la Luftwaffe si era praticamente "giocata tutto" nell'operazione Bodenplatte del 1° gennaio 1945 e quindi non aveva più alcuna possibilità di contrastare l'aviazione angloamericana, tanto che ai caccia angloamericani fu dato ordine di volare a bassissima quota e di sparare su qualunque essere vivente (animali inclusi).*

Insomma, come sempre la democrazia liberale viene usata come una foglia di fico  per coprire tutte le vergogne liberali o neoliberali. Certo, nonostante tutto è meglio una democrazia liberale - anche se è sempre più simile ad una oligarchia neoliberale - di un  regime autocratico o dispotico. Tuttavia, è pur  vero che ci si dimentica che l'attuale governo israeliano è un governo con marcati tratti neofascisti  e razzisti e che ha pure messo in pericolo lo Stato di diritto.

 Il bombardamento di Gaza, peraltro, è simile  (non identico) a quelli di Grozny, di Aleppo o di Mariupol.** Pertanto, anche se ovviamente è diverso il contesto storico e politico e Hamas usa i civili come scudi umani, sempre di bombardamento indiscriminato si tratta (come implicitamente ha riconosciuto anche l'America che ha chiesto a Israele di usare altri tipi di bombe  e altre tattiche). 

Comunque sia, anche se si deve riconoscere che Israele ha il diritto di sradicare Hamas da Gaza,*** a tutto c'è un limite, e se si sorpassa il limite ovvero la "giusta misura", come ben sapevano i Greci, allora non solo non si può più parlare di giustizia ma il "contraccolpo" è inevitabile.

*Vedi, ad esempio, Max Hastings, Apocalisse tedesca, Milano, 2006.

**Degno di nota è che, nel dicembre scorso, un'indagine scientifica dell'AP ha dimostrato che a Mariupol vi erano oltre 10.000 nuove fosse comuni (https://apnews.com/article/russia-ukraine-war-erasing-mariupol-499dceae43ed77f2ebfe750ea99b9ad9).

*** Naturalmente, degli sciacalli che cercano di sminuire (con bufale ecc.) la gravità dell'orrendo pogrom del 7 ottobre scorso non vale neppure la pena di parlare, benché si debba essere consapevoli che rappresentano un serio problema politico e sociale. Un'altra questione è la condanna decisa e netta della violenza dei coloni, appoggiati dal governo di Israele, contro i palestinesi in Cisgiordania, che non può non favorire Hamas.

domenica 5 novembre 2023

UNA "NUOVA NAKBA"?

Stare dalla parte delle vittime (di tutte le vittime) non basta, ma è la premessa fondamentale da condividere, se non si è accecati dall'odio o dall'ideologia, per capire il conflitto israelo-palestinese e in particolare questo nuovo tragico capitolo del conflitto israelo-palestinese.

Ormai, infatti, sembra che il governo di Israele (o perlomeno Netanyahu e i ministri ultranazionalisti) cerchi di sfruttare l'orribile pogrom del 7 ottobre scorso non solo per infliggere una sconfitta decisiva ad Hamas (com'è giusto, tranne ovviamente per quegli antisionisti che in realtà sono antisemiti) ma per fare una sorta di pulizia etnica non solo in Cisgiordania ma pure a Gaza.*

È lecito suppore cioè che a Gaza Israele stia effettuando un bombardamento indiscriminato (anche se i miliziani di Hamas usano  i civili come scudi umani, è evidente che Israele, se deve colpire Hamas, lo fa senza preoccuparsi "troppo" dei civili), di modo che si renda necessario, per motivi "umanitari", lasciare entrare in Egitto almeno buona parte della popolazione di Gaza (un "trasferimento temporaneo" o permanente?).

Si può comunque  dubitare che il governo israeliano riesca a realizzare un tale disegno politico, perché pare assai difficile che non solo l'Egitto ma anche l'America  possa permettere una "nuova Nakba"**.

*Al riguardo si veda il sito (o la pagina Facebook) di B'Tselem (The Israel Information Center for Human Rights in the Occupied Territories)https://www.btselem.org/ In Cisgiordania, secondo B’Tselem, nelle ultime tre settimane 858 palestinesi provenienti da 32 diverse comunità, e 13 intere comunità in totale, sono stati sfollati con la forza. I numeri aumentano ogni giorno. Vedi anche https://www.theguardian.com/world/2023/oct/31/west-bank-palestinian-villages-israeli-army-settlers?fbclid=IwAR0TADI4ELom6TybNRLsf_UGqOvmu_-nipLSd71bmJh1cyU3tcUiP4qlMzk.

**Vedi anche https://www.timesofisrael.com/blinken-blasts-settler-violence-tells-abbas-gazans-must-not-be-forcibly-displaced/ e https://www.nytimes.com/2023/11/05/world/middleeast/israel-egypt-gaza.html.


martedì 31 ottobre 2023

UN CAOS "MULTIPOLARE"

Non vi è dubbio che vi siano degli ipocriti (inclusi dei sedicenti pacifisti) che cercano di sminuire la gravità dell'orrenda strage del 7 ottobre scorso, nonché del sequestro di civili innocenti, mescolando il vero e il falso, e che di fatto parteggiano per Hamas, il cui scopo non è quello di indurre Israele a risolvere politicamente la questione palestinese bensì quello di distruggere Israele ovvero di condurre una "guerra santa" (jihad) contro Israele.

Tuttavia, è anche vero che è assurdo giustificare il bombardamento di Gaza sostenendo che Israele ha il diritto di bombardare Gaza come gli angloamericani avevano il diritto di bombardare le città della Germania nazista.

Indipendentemente da quel che si può pensare del bombardamento di Dresda del 13-15 febbraio 1945 o di quello di Pforzheim del 23 febbraio  1945 (che causò la morte di circa 17.600 persone ossia del 30%  della popolazione di Pforzheim), il paragone tra la Germania nazista e una organizzazione paramilitare nazi-islamista come Hamas ovviamente "non regge" non solo sotto il profilo politico-strategico e militare ma anche sotto il profilo storico.

Nettamente diverso è infatti il contesto storico, dato che il conflitto israelo-palestinese e le sue cause non hanno nulla a che fare con la Seconda guerra mondiale e le sue cause, e nettamente diverso è il pericolo che Hamas rappresenta sia per Israele (o per gli ebrei) che per il mondo.* 

Nella guerra contro la Germania nazista obiettivo militare e scopo strategico erano perfettamente coincidenti e non vi era quindi la necessità di agire in modo tale che non divergessero, il che praticamente permise di dare carta bianca ai militari. Non a caso  la divergenza tra obiettivo militare e scopo politico si può considerare la principale ragione del fallimento politico-strategico degli Usa in Vietnam, in Iraq e in Afghanistan (e per la stessa ragione l'America o, se si preferisce, l'Occidente corre il rischio di un altro fallimento politico-strategico in Ucraina). 

Ma si tratta di una lezione che Israele sembra ignorare, anche se si deve riconoscere che Israele ha non solo il diritto ma il dovere di sconfiggere Hamas (ad una azione di guerra contro uno Stato, quest'ultimo non può non reagire con azioni di guerra, altrimenti viene meno la ragion d'essere dello Stato stesso).

D'altronde. è evidente non solo che politici come Netanyahu e Ben-Gvir sono i meno "adatti" a guidare Israele in questa guerra ma che l'attuale governo israeliano non ha nessuna strategia politica per risolvere, se e quando Hamas sarà sconfitto, la questione di Gaza o quella palestinese, tanto più che Hamas ha messo salde radici anche in Cisgiordania.

Ma è pure evidente che ormai ha poco senso parlare di diritto internazionale e a maggior ragione di ordine mondiale (casomai si dovrebbe parlare di caos globale o di caos multipolare) e che l'insipienza politico-strategica dell'Occidente neoliberale fa soltanto il gioco dei nemici non solo dell'Occidente neoliberale ma della stessa civiltà europeo-occidentale (democrazia inclusa naturalmente),** che solo gli stolti possono ritenere che "coincida" con l'Occidente neoliberale.

*A tale proposito si veda anche https://www.haaretz.com/israel-news/2023-10-31/ty-article/.premium/why-israel-should-not-compare-hamas-to-the-nazis/0000018b-8692-d055-afbf-b6b34f9e0000?fbclid=IwAR07KvN1boIDXfvBovIJqFq6m4eArRQ8_YW16J07Ye6jC0J9vACGSf6hxR8.

**Si corre quindi anche il pericolo che aumenti l'aggressività (peraltro già assai elevata) non solo dell'Iran ma anche della Russia e della Cina nei confronti dell'America (il cui declino, si badi, è solo relativo) e dei suoi alleati. D'altronde, non si può nemmeno escludere che l'azione di Hamas del 7 ottobre scorso mirasse anche a scatenare una "reazione a catena" per destabilizzare lo stesso mondo occidentale. 

domenica 22 ottobre 2023

DALLA PARTE DELLE VITTIME E DELLA RAGIONE

Tra i tanti se e i tanti ma che è necessario non dimenticare allorché si tratta del conflitto israelo-palestinese vi è pure la questione del rapporto tra Israele e l'America, perché criticare la politica di Israele in Cisgiordania ma evitare di fermarla quando se ne ha la possibilità (dato che Israele non può fare a meno degli aiuti dell'America), è solo ipocrisia o, nel migliore dei casi, incapacità di decidere, dato che si può ritenere che non tutti i politici americani che criticano la colonizzazione/annessione della Cisgiordania da parte di Israele non siano sinceri.

D'altronde, è innegabile che in Cisgiordania gli aggressori siano gli israeliani e gli aggrediti siano i palestinesi. Certo nemmeno il conflitto israelo-palestinese è un conflitto tra "buoni" e "cattivi". Nondimeno, è innegabile che la colonizzazione/annessione della Cisgiordania non abbia nulla a che fare con il diritto di Israele di difendersi (l'occupazione militare della Cisgiordania che dura dalla Guerra dei Sei Giorni è un problema diverso e in ogni caso ai militari si può sempre ordinare di ritirarsi). Gli eccessi ci sono (anche assai gravi), ma ci sono da entrambe le parti, anche se non risolvono nulla, anzi peggiorano solo la situazione.

Una questione diversa comunque è quella di Gaza. Non è infatti "resistenza" quella di Hamas e della Jihad islamica. Ed è ovvio che, dopo l'orribile strage di innocenti del 7 ottobre scorso, Israele cerchi di infliggere una sconfitta decisiva ad Hamas e alla Jihad islamica.* È proprio Hamas, del resto, che ha voluto mettere Israele nella condizione di non potere non reagire (che il 7 ottobre scorso lo scopo di Hamas fosse anche impedire l'accordo tra Israele e l'Arabia Saudita è più che probabile, ma verosimilmente lo scopo politico di Hamas è soprattutto scatenare una "guerra santa" di tutto il mondo musulmano contro Israele e i suoi alleati). 

Tuttavia, neppure quanto è accaduto il 7 ottobre scorso può giustificare un'altra strage di innocenti. I bambini di Gaza non sono meno innocenti dei bambini israeliani.  D'altra parte, è lo stesso conflitto israelo-palestinese ad insegnare che il terrorismo lo si deve combattere usando il "bisturi" anziché l'accetta, tanto più se si considera che Hamas e la Jihad islamica hanno dimostrato di essere capaci di strumentalizzare la disperazione e la rabbia di tanti giovani palestinesi, che ritengono che ormai non abbiano più nulla da perdere.

Pertanto, l'operazione militare che adesso l'IDF sta compiendo a Gaza rischia di moltiplicare i nemici di Israele.** Certo, se Israele adesso si dimostrasse debole, ben difficilmente si potrebbe evitare un "allargamento" del conflitto, ma vale pure l'opposto, ossia anche una reazione sproporzionata di Israele rischia di allargare il conflitto coinvolgendo Hezbollah e perfino l'Iran.

In definitiva, ad Israele - che non deve essere confuso con l'attuale  governo di Israele (indubbiamente il peggiore e più pericoloso di tutta la storia dello Stato di Israele) - non mancano certamente le risorse  materiali, morali e intellettuali per sconfiggere Hamas e la Jihad islamica secondo una prospettiva realistica, ma se dovesse lasciarsi "guidare" dal risentimento e dallo spirito di vendetta o dall'estremismo degli ultranazionalisti ortodossi non farebbe altro che il "gioco" dei suoi peggiori nemici.***

*Ciò nonostante, come ho già scritto in un altro articolo, non si può escludere che vi siano dei membri di Hamas che hanno idee diverse perfino sulla questione dello Stato di Israele ovvero siano disposti a riconoscere lo Stato di Israele. 

**Secondo T. L. Friedman "if Israel rushes headlong into Gaza now to destroy Hamas — and does so without expressing a clear commitment to seek a two-state solution with the Palestinian Authority and end Jewish settlements deep in the West Bank — it will be making a grave mistake that will be devastating for Israeli interests and American interests" (T. L. Friedman, Israel is About to Make a Terrible Mistake, "New York Times", 19/10/2023 https://www.nytimes.com/2023/10/19/opinion/biden-speech-israel-gaza.html).

*** Si veda anche Adam Shatz,  Vengeful Pathologies, "London Review of Books", Vol. 45 No. 21 · 2 November 2023  https://www.lrb.co.uk/the-paper/v45/n21/adam-shatz/vengeful-pathologies?fbclid=IwAR0xNAHJ2LZpINW_eySTYiJzFJ_1md0d6nug2wVkRex8rapXUuXDlbAlYbw Si può essere d'accordo o no con Shatz ma certo è necessario conoscere il contesto storico per capire perché può accadere l'orrore e soprattutto per impedire che accada l'orrore, non certo per giustificare l'orrore, che solo dei "devastati mentali" possono giustificare (per ragioni che poco o nulla hanno a che fare con la causa palestinese né con un ordine mondiale più giusto e rispettoso dei diritti dei popoli).

venerdì 20 ottobre 2023

UNA "GRANDE GUERRA"?

Siamo già nella Terza guerra mondiale? No, per fortuna. Tuttavia, dovrebbe essere chiaro a chiunque che siamo in un contesto bellico globale, caratterizzato dal conflitto tra un polo geopolitico atlantico egemonizzato dagli Stati Uniti e un polo geopolitico costituito da diverse potenze anti-egemoniche (ma che vede comunque la Cina in posizione dominante), e dalla presenza di diversi attori geopolitici regionali (sia pure di varia potenza militare ed economica), che cercano di sfruttare la crisi di egemonia dell'America per ampliare la propria sfera di influenza, mantenendo però rapporti (economici e/o militari) con entrambi i poli geopolitici in lotta sempre più aspra tra di loro.

In questo contesto il multipolarismo si configura inevitabilmente come una lotta per l'egemonia (a livello globale e regionale) che, ovviamente, ha ben poco a che fare con la creazione di un nuovo ordine mondiale incentrato sulla cooperazione internazionale, nonostante una certa retorica che (sotto vari aspetti e non a caso) ricorda quella delle cosiddette potenze have nots (ossia Germania, Giappone e Italia) della prima metà del secolo scorso.  

Anche allora, infatti, la crisi della potenza egemone, ossia l'impero britannico, creò le condizioni per la formazione di un multipolarismo che scatenò gli appetiti di potenze anti-egemoniche con conseguenze disastrose per l'intera umanità. 

La storia quindi in un certo senso si ripete ma in tragedia non in farsa  e si deve prendere atto che anche in questa prima metà del secolo la crisi della potenza egemone ovvero il suo declino "relativo" ha portato alla nascita di un multipolarismo ben diverso da quello che fino a qualche anno fa sembrava possibile e che, favorendo la crescita di un'autonomia strategica dell'Europa, avrebbe dovuto essere contraddistinto dalla presenza di un'Europa capace di "mediare" tra Occidente e Oriente e tra Nord e Sud del mondo.

Il rischio di una nuova "grande guerra" è pertanto alto e non saranno i pacifisti, veri o finti che siano, a poterla evitare. 

Solo il fatto che una "grande guerra" non convenga a nessuno può ancora evitare il peggio, anche se ormai il mondo sembra premiare soprattutto coloro che scambiano la propria immagine fasulla della realtà per la realtà.

lunedì 16 ottobre 2023

UNA GIUSTA MISURA

Chi avesse dubbi sul pericolo per la democrazia che rappresenta l'attuale destra italiana, dovrebbe leggere gli articoli pubblicati sui giornali di destra su quanto sta accadendo a Gaza. Del resto, pure dei politici di destra giustificano stermino. Si confonde così la necessità di infliggere una sconfitta decisiva ad Hamas con la barbarie.

Nondimeno, è ovvio che ci si debba chiedere come "debellare" Hamas. Non è soltanto una questione che concerne il diritto umanitario ma anche una questione politica e perfino militare, giacché è indubbio che il blocco di Gaza e le diverse operazioni militari contro Hamas compiute da Israele in questi ultimi anni (Piombo Fuso ecc.) hanno causato numerosi lutti e sofferenze alla popolazione di Gaza ma non hanno indebolito Hamas, che anzi il 7 ottobre scorso ha dimostrato di non essere una banda di miliziani inetti, bensì una temibile ed efficiente organizzazione militare.

Sopraffare in brevissimo tempo le difese israeliane non era infatti facile, anche se i miliziani di Hamas non si sono limitati a colpire obiettivi militari, ma hanno compiuto una orrenda strage di civili, che non rappresentavano alcuna minaccia  per Hamas.

D'altra parte, è innegabile che una occupazione militare di Gaza (ammesso che sia possibile) non solo porrebbe enormi problemi politici ma rischierebbe di essere una trappola strategica per Israele, tanto più che il governo  di Netanyahu - che nei mesi scorsi ha addirittura "spaccato" la stessa società israeliana e conta tra i suoi membri dei politici ultranazionalisti ortodossi, palesemente illiberali e razzisti - sembra disposto ad usare indiscriminatamente la forza (in un'area urbana in cui vivono oltre due milioni di palestinesi), anche per cercare di fare dimenticare la propria responsabilità di quanto è accaduto lo scorso 7 ottobre nonché la sua fallimentare strategia politica riguardo alla questione palestinese.  

In questo contesto (considerando anche che Netanyahu ha allargato la coalizione di governo al rivale Gantz) ci si deve quindi augurare (anche se rebus sic stantibus non si può certo essere ottimisti) che il conflitto non si estenda, coinvolgendo Hezbollah o addirittura l'Iran, ma anche che Israele sappia usare la propria punta distruttiva in modo "razionale", senza dimenticare cioè non solo che un conto è vincere una battaglia e un altro vincere una guerra, ma che pure vincere una guerra non necessariamente significa vincere la pace.*  

*PS. Si badi che l'intera Striscia di Gaza non è solo una prigione a cielo aperto ma anche una sorta di grande base militare, ragion per cui un'operazione militare come quella che Israele sta conducendo nella Striscia di Gaza non può non causare innumerevoli vittime civili. Ci si dovrebbe chiedere, dunque, se davvero sia questo l'unico modo di debellare Hamas, tanto più che Hamas gode ancora di un notevole consenso tra i palestinesi. Insomma, anche senza considerare il rischio di una catastrofe umanitaria, pare ovvio che sarebbe necessaria una strategia politica per infliggere una sconfitta decisiva ad Hamas, mentre da molti anni Israele per combattere il terrorismo palestinese punta solo su una strategia meramente militare, che ha reso sempre più difficile non solo giungere ad una soluzione politica della questione palestinese ma anche (di conseguenza) riuscire ad infliggere una sconfitta decisiva ad Hamas. 

sabato 14 ottobre 2023

VITTIME

Il 7 ottobre scorso è  crollata come un castello di carte la politica dei governi israeliani di questi ultimi lustri  e in particolare quella di Netanyahu (che si potrebbe sintetizzare così: "voi a Gaza fate quel che vi pare, mentre noi in Cisgiordania facciamo quel che ci pare"). Giocare, ancora una volta, la "carta" di Hamas contro l'ANP, delegittimandola e umiliandola (certo con la "complicità" dei dirigenti stessi, corrotti e inetti, dell'ANP), in modo da rendere sempre più difficile la nascita di uno Stato palestinese, si è quindi rivelata, com'era prevedibile, una strategia disastrosa (non si dovrebbe nemmeno dimenticare che il "blocco" di Gaza e le diverse operazioni militari israeliane effettuate dopo che Hamas aveva preso il potere a Gaza, non hanno indebolito Hamas, anche se hanno causato numerosi lutti e sofferenze ai gazesi, metà dei quali è costituita da minori).

Comunque sia, sembra ormai imminente una operazione militare di terra dell'IDF per "eliminare" Hamas (nonché la Jihad islamica) da Gaza. Del resto adesso nessuno può fermare Israele, che, comunque la si pensi, non può più permettere o tollerare che Gaza sia sotto il controllo di Hamas.

Nondimeno, un'operazione militare di terra a Gaza non è affatto facile sia perché Hamas e la Jihad islamica conoscono assai bene il terreno in cui si dovrà combattere, sia perché combattere in un'area urbana è sempre assai rischioso per chi attacca, tanto più se si considerano la densità di popolazione della Striscia di Gaza e i numerosi ostaggi, civili  e militari, che sono nelle mani dei terroristi palestinesi. Peraltro, è facile immaginare che Hamas e la Jihad islamica useranno pure i civili palestinesi come scudi umani. Il rischio quindi è che un'operazione militare di terra, se condotta male, possa causare una "catastrofe umanitaria".*

D’altronde, la sfida che Israele deve affrontare non è solo militare ma anche e soprattutto politica. Degno di nota, al riguardo, è che Amos Yadlin, ex capo dell'intelligence militare israeliana, ha dichiarato che "Israel sought to remove Hamas from Gaza, then transfer the territory to the Palestinian Authority, or another Arab entity, but that it would retain its right to still counter Palestinian militant buildup there, as it does in the West Bank".**

Tuttavia, né l'Egitto né altri Paesi arabi sembrano disposti ad assumersi la responsabilità di governare Gaza. Ed è chiaro che l'ANP non potrebbe accettare di governare Gaza per conto degli israeliani senza autodistruggersi. D’altra parte, la questione di Hamas è distinta da quella palestinese, benché sia “parte” di quest'ultima. Anche ammesso quindi che Israele riesca ad "eliminare" del tutto Hamas da Gaza (che però non è presente solo a Gaza), di per sé questo non risolverebbe la questione palestinese e, di conseguenza, nemmeno quella della "resistenza  palestinese" (terrorismo incluso).*** 

Sotto il profilo politico-strategico (che è sempre quello decisivo) una operazione militare per debellare Hamas pertanto avrebbe senso se Israele fosse disposto a "cambiare politica" non solo a Gaza ma pure in Cisgiordania. Certo, adesso i tempi non sono maturi per la nascita di uno Stato palestinese (benché - ed è triste ricordarlo - questo fosse possibile alla fine del secolo scorso). Gli israeliani, infatti, sostengono che se si ritirassero dalla West Bank sarebbe inevitabile che la Cisgiordania diventasse un "nuovo regno" di Hamas. Può darsi che gli israeliani abbiano ragione, ma un conto è la colonizzazione/annessione di Gerusalemme Est e della Cisgiordania, un altro un'occupazione militare "temporanea" della Cisgiordania (ai militari si può sempre ordinare di ritirarsi). 

In altri termini, non vi è una soluzione "meramente" militare della questione palestinese, mentre si può ritenere che sia proprio la colonizzazione/annessione di Gerusalemme Est e della Cisgiordania il maggiore ostacolo che si deve superare per giungere ad una soluzione (politica) della questione palestinese, sebbene si debba riconoscere che la possibilità di mettere fine al conflitto israelo-palestinese dipende non solo da Israele ma anche, ovviamente, dai palestinesi.


*Si badi che nella battaglia (combattuta dall'ottobre 2016 fino al luglio 2017) per conquistare Mosul, che contava un milione circa di abitanti, l'ISIS fu distrutto ma le vittime civili furono circa 11.000 (ossia circa l'1% della popolazione di Mosul). Non si può escludere quindi che un'operazione militare di terra a Gaza (in cui già si contano numerose vittime civili) potrebbe causare un numero perfino maggiore di vittime civili, anche nel caso che l'IDF cercasse di rispettare (come dovrebbe) il diritto internazionale umanitario. Si deve comunque temere il peggio non solo per gli ostaggi ma anche per la popolazione civile di Gaza, tenendo conto sia dell'odio che l'orrenda strage di civili israeliani (un vero e proprio pogrom) ha scatenato nei confronti dei palestinesi (come se fossero tutti terroristi) sia del "peso politico" che in questi ultimi anni hanno acquisito gli estremisti nazionalisti israeliani, come Ben-Gvir, l'attuale ministro israeliano per la Sicurezza Nazionale, che non è affatto meno fanatico dei capi di Hamas.

**Si veda Israel says it will end Hamas rule in Gaza as casualties soar, "Washington Post", 12/10/2023.

***A tale proposito si veda Nicholas Kristof, What Does Destroying Gaza Solve?, "New York Times", 14/10/2023.


domenica 8 ottobre 2023

IL "GIORNO NERO" DI ISRAELE

Chi scrive ha già espresso e motivato il suo giudizio sul conflitto israelo-palestinese nel libro Le guerre d'Israele e il nomos della terra, che non si può certo sintetizzare scrivendo un breve articolo.

Ci sarà comunque tempo per capire quali saranno le conseguenze di questo blitz di Hamas, che indubbiamente ha inferto un colpo terribile al prestigio dell'esercito israeliano, colto nettamente di sorpresa come il 6 ottobre 1973 (ossia il giorno che cominciò la Guerra dello Yom Kippur).

Comunque sia, solo chi ha la testa gonfia di ideologia maleolente o usa la bandiera palestinese per coprire un vergognoso  antisemitismo può giustificare una strage di civili  (si ritiene che centinaia di civili inermi siano stati massacrati ieri dai miliziani di Hamas e che molti altri civili siano stati presi come ostaggi) e credere che la "politica criminale" di Hamas possa giovare alla causa palestinese.

Non si dovrebbe, del resto, dimenticare che negli anni Novanta del secolo scorso, ossia dopo la prima Intifada, sembrava che finalmente fosse possibile una coesistenza pacifica tra i due popoli.

Arafat però commise allora il disastroso errore di rifiutare il piano di pace israeliano e americano, che garantiva ai palestinesi di vivere in uno Stato palestinese con capitale Gerusalemme Est (non era tutto quel che i palestinesi chiedevano, ma era l'unica soluzione possibile dopo la Guerra dei Sei Giorni che aveva cambiato per sempre il volto geopolitico del Medio Oriente), preferendo (di fatto) schierarsi dalla parte di Hamas, che insieme alla Jihad islamica scatenò una serie di attacchi terroristici contro gli  israeliani, mettendo così fine ad ogni processo di pace.

Da allora i palestinesi hanno sempre più perso terreno (in senso proprio e figurato), anche se Hamas ha preso il controllo di Gaza, scacciando con la forza l'Anp (ovverosia dopo lo scontro con Fatah), che ormai non conta quasi più nulla, mentre i coloni israeliani adesso sono circa mezzo milione (cui si devono aggiungere 300.000 israeliani che vivono a Gerusalemme Est). E gli scontri tra coloni (appoggiati dall'esercito israeliano) e palestinesi sono sempre più frequenti. (Perfino la questione dell'acqua caratterizza il conflitto israeliano-palestinese, dato che la maggior parte dell'acqua della Cisgiordania, in cui il tasso di povertà e disoccupazione giovanile è altissimo, è consumata dagli israeliani; del resto secondo le Nazioni Unite anche a Gaza - in cui Hamas spadroneggia insieme con la Jihad islamica - il 95% della popolazione non ha accesso regolare all'acqua potabile e otto abitanti su dieci vivono in condizioni di povertà).

Dovrebbe essere ovvio, pertanto, che una organizzazione come Hamas non può che rafforzare l'estremismo nazionalista israeliano (che è enormemente cresciuto negli ultimi lustri) e di conseguenza peggiorare la condizione del popolo palestinese e rendere sempre più difficile difendere la causa palestinese.*

In definitiva, la stessa condanna della colonizzazione/annessione della Cisgiordania da parte degli israeliani ha senso solo se si riconosce il diritto di Israele di esistere.

È significativo che anche in Israele vi sia chi critica apertamente Netanyahu per avere favorito Hamas (nonostante il "blocco" e i numerosi bombardamenti di Gaza) al fine di indebolire sempre più l'Anp e impedire la nascita di uno Stato palestinese:  "For years, the various governments led by Benjamin Netanyahu took an approach that divided power between the Gaza Strip and the West Bank — bringing Palestinian Authority President Mahmoud Abbas to his knees while making moves that propped up the Hamas terror group. The idea was to prevent Abbas — or anyone else in the Palestinian Authority’s West Bank government — from advancing toward the establishment of a Palestinian state" https://www.timesofisrael.com/for-years-netanyahu-propped-up-hamas-now-its-blown-up-in-our-faces/.

POST SCRIPTUM

Era prevedibile che l'occupazione militare e soprattutto la colonizzazione/annessione della Cisgiordania da parte degli israeliani avrebbe favorito il terrorismo palestinese. Non è questo in discussione, come non è in discussione che la politica di Israele dopo la Seconda Intifada abbia contribuito a creare le condizioni perché non fosse più possibile la nascita di uno Stato palestinese. 

Pertanto, solo una destra rozza, ignorante e insipiente può affermare che chi critica la politica di prepotenza Israele è "amico di Hamas", anche se gli "amici di Hamas" ci sono e in particolare sono quelli (inclusi "intellettuali" che sproloquiano su tutto) che, in pratica, ritengono responsabili di questo orribile massacro gli israeliani e naturalmente gli "amerikani" (al punto che riescono a strumentalizzare perfino questa strage per fare l'apologia della Russia, della Cina o dell'Iran). Non a caso identificare la causa del popolo palestinese con la politica criminale di Hamas  è ciò che hanno in comune gli estremisti nazionalisti israeliani e gli "amici di Hamas".

Comunque sia, Hamas, che è una organizzazione nazionalista e islamista, non è l'Olp con cui si poteva e doveva trattare. Lo scopo politico di Hamas, infatti, non è mai stato (solo) quello di difendere i diritti dei palestinesi bensì la distruzione dello Stato di Israele (che Teheran non a caso definisce "entità sionista"). Ovviamente è un obiettivo che Hamas sa che è pressoché impossibile raggiungere, ma anche se non si può escludere che vi siano dei membri di Hamas che hanno idee diverse perfino sulla questione dello Stato di Israele, per Hamas e la Jihad islamica la guerra contro Israele è (anche) una "guerra santa" e quindi in un certo senso è essa stessa lo scopo politico di Hamas e della Jihad islamica. 

Dovrebbe essere scontato  comunque che riconoscere il diritto di Israele di esistere e difendersi non equivale a giustificare la politica di prepotenza di Israele (basti pensare alla questione della colonizzazione/annessione della Cisgiordania). Mai come ora sarebbe necessario che l'America (che è l'unico Paese che Israele "ascolta") facesse pressione su Israele perché rispetti il diritto umanitario (nei limiti del possibile, s'intende, dato che è scontato che una operazione militare, soprattutto di terra, in un'aerea densamente popolata causi anche numerose vittime civili), giacché nemmeno la ferocia di Hamas può giustificare un massacro di civili palestinesi (anche se si deve tenere presente che Hamas, come la Jihad islamica, nasconde le rampe dei missili tra le abitazioni civili, che usa pure per nascondere armi e munizioni),* tanto più che, anche senza considerare la spinosa questione degli ostaggi nelle mani di Hamas, in un'ottica realistica dovrebbe essere evidente non solo che Hamas (indipendentemente dal consenso di cui può godere)** di fatto è un nemico della causa del popolo palestinese ma che la politica di prepotenza di Israele non può non rivolgersi anche contro lo stesso Israele.

Insomma, tenere conto del contesto storico è sempre necessario, a patto che non significhi giustificare la barbarie, perché con la scusa di tener conto del contesto storico si sono giustificati tutti gli orrori del Novecento.

* Peraltro, la situazione nella striscia di Gaza è già drammatica, dato che Israele ha tagliato l'elettricità e l'acqua e interrotto la fornitura di carburante e cibo. Inoltre, il bombardamento aereo ha già causato molte vittime e non c'è alcun posto sicuro in cui i civili possano recarsi. 

** Si ricordi comunque che da quando Hamas vinse le elezioni (ossia nel 2006) non ci sono più state elezioni politiche a Gaza.

sabato 7 ottobre 2023

WISHFUL THINKING

Solo i cosiddetti "risikisti" possono pensare che i difficili problemi (geo)politici, sociali, economici e perfino culturali dell'Europa possa risolverli un attore (geo)politico non europeo. 

D'altronde, è noto che il termine Europa non designa alcun autentico "soggetto (geo)politico". In particolare l'Europa baltica e l'Europa orientale sono nettamente diverse sotto il profilo geopolitico dai principali Paesi dell'Europa occidentale (ossia Germania, Francia, Italia  e Spagna).  

In altri termini, contrariamente a quel che pensano coloro che fanno l'apologia di un antiamericanismo da fiera paesana (da distinguere da una critica necessaria ma rigorosa e obiettiva dell'atlantismo), attualmente non conta tanto la differenza tra l'Europa e l'America quanto piuttosto la differenza tra le diverse "Europe", ad ulteriore conferma che un "vincolo esterno" presuppone un "vincolo interno" (anche se l'America può strumentalizzare questa differenza e, di fatto, la strumentalizza).

Pertanto, chi si augura che l'Ucraina "crolli" ovvero un fallimento politico-militare della Nato in Ucraina (che non si deve confondere con la necessità di arrivare ad un cessate il fuoco o, come si afferma, di "congelare" il conflitto russo-ucraino il prima possibile)*, perché solo così l'Europa potrebbe "smarcarsi" dall'egemonia dell'America, è ovvio che scambia lucciole per lanterne.

Infatti, se l'Ucraina dovesse "crollare", non vi è dubbio (anche senza prendere in considerazione quale potrebbe essere la reazione dell'America, dato che sarebbe in gioco l'esistenza stessa della Nato) che la tensione tra l'Europa "russofoba" (Gran Bretagna e Olanda incluse) e la Russia salirebbe alle stelle, destabilizzando il Vecchio Continente o, meglio, trasformandolo in un campo di battaglia anche nel caso che non si arrivasse ad una "guerra guerreggiata" contro la Russia. 

In sostanza, l'Europa non potrà smarcarsi dagli Usa, finché non ci sarà "una Europa" ovverosia i problemi dell'Europa possono risolverli solo gli europei. Certo, è lecito ritenere che attualmente in Europa non vi siano né la volontà politica né la capacità di risolverli ma, se si è obiettivi, si dovrebbe riconoscere che oggi è proprio questo il problema principale dell'Europa. 

* Se si arrivasse adesso ad un "congelamento del conflitto" l'Ucraina in pratica non avrebbe perso la guerra, ma solo una piccola parte del suo territorio, perché la Russia finora non ha conseguito nessuno dei suoi obiettivi strategici. Si tenga presente che la Russia non è riuscita ad insediare un governo filorusso a Kiev, né ad impedire all'Ucraina di avere un accesso al mare, né a conquistare Kharkiv e nemmeno tutto il Donbass. Inoltre la Nato si sta rafforzando e la sua pressione ai confini occidentali della Russia è aumentata con l'ingresso nella Nato della Finlandia e con quello (più che probabile) della Svezia. Insomma, perfino il Mar Baltico è diventato una sorta di "lago atlantico", mentre il Mar d'Azov era già diventato un "lago russo" dopo l'annessione della Crimea alla Russia nel 2014. Per di più alla Russia sono stati "congelati" oltre 300 miliardi di dollari e sono state imposte sanzioni durissime, che non possono non danneggiare l'economia russa (specialmente nel medio periodo) e che in ogni caso hanno già reso la Russia più dipendente da Paesi stranieri come la Cina e l'India. Perciò, rebus sic stantibus, non è affatto scontato che Mosca accetterebbe un "congelamento del conflitto" (del resto si dovrebbe garantire all'Ucraina che la Russia non possa più aggredirla).

venerdì 22 settembre 2023

WHAT IS THE PLAN FOR VICTORY?

"What is the plan for victory?”, ha chiesto McCarthy, speaker della Camera dei Rappresentanti degli Usa. Domanda semplice ma che "mette il dito sulla piaga" perché, com'è noto, non vi è alcun piano per la vittoria. Vi sono soltanto delle analisi militari dei vari think tank angloamericani, che, per quanto possano essere rigorose (certo assai diverse da quelle di patetici e ridicoli "youtuber" italiani), ben poco o nulla hanno a che fare con un'analisi strategica e (geo)politica.* 

Eppure in guerra contano soprattutto i fattori (geo)politici e strategici (altrimenti la Germania con ogni probabilità avrebbe vinto entrambe le guerre mondiali). Vale a dire che "navigare a vista" non è una strategia razionale, sempre che non si ritenga razionale giocarsi la vita alla roulette russa o cercare di arricchirsi giocando al lotto, solo perché è possibile che si vinca.

In sostanza, sperare che Mosca prima o poi sia costretta a gettare la spugna, raccontando(si) la "favola" di una Russia isolata, è solo wishful thinking. D'altronde, la domanda di McCarthy è quella che si sono già posti gli americani durante la guerra del Vietnam e poi in Iraq e in Afghanistan. E si sa come è andata a finire.

Pare lecito pertanto affermare che l'Ucraina e la Nato, preferendo una strategia offensiva anziché una strategia difensiva, rischiano di fare il passo più lungo della gamba. In altri termini, rinunciare a "capitalizzare" i notevoli successi di Kiev nel primo anno di guerra, per cercare di infliggere una "sconfitta totale" alla Russia, lo si può comprendere sotto il profilo ideologico, ma difficilmente lo si può definire un agire razionale  sotto il profilo (geo)politico. 

Del resto, non si dovrebbe dimenticare che trattare non significa arrendersi (ad esempio, nella guerra di Corea le trattative per giungere ad un armistizio cominciarono nel luglio del 1951 e si conclusero nel luglio del 1953),** né che nel suo libro I mille giorni di John F. Kennedy alla Casa Bianca Arthur M. Schlesinger Jr. ricorda che secondo il famoso storico militare britannico Liddell Hart non bisogna mai mettere un nemico con le spalle al muro ma si deve sempre dargli la possibilità di salvare la faccia ("Never corner an opponent, and always assist him to save his face").

D'altra parte, è ovvio che non è possibile imporre alla Russia di Putin una unconditional surrender come alle potenze dell'Asse (Germania, Giappone e Italia) nella Seconda guerra mondiale. Comunque sia, anche se la controffensiva ucraina ottenesse dei risultati significativi, ciò non si potrebbe considerare una "vittoria totale" dell'Ucraina (si badi che questo è il "punto" in discussione). E se anche crollasse il regime di Putin (che sta già pagando il costo della decisione di inglobare con la forza l'Ucraina nello spazio geopolitico russo) non si può ritenere che sarebbe sostituito da un regime filo-occidentale (non si deve cioè confondere la Russia con il regime di Putin), 

Certo il realismo geopolitico non ha lo scopo di far trionfare la giustizia sulla terra ma, proprio perché non ignora la realtà, si basa sull'etica della responsabilità, da cui dipende pure il futuro dell'Ucraina, tanto più che l’indipendenza e la sicurezza dell’Ucraina (come la sicurezza della stessa Europa) non necessariamente dipendono, se non in un’ottica nazionalista, dalla riconquista di tutti i territori ucraini occupati dalla Russia.

*Vi sono alcune eccezioni, ovviamente, come gli articoli di Richard Haass e Charles Kupchan The West Needs a New Strategy in Ukraine ("Foreign Affairs") e di Samuel Charap An Unwinnable War. Washington Needs an Endgame in Ukraine  ("Foreign Affairs").

**In pratica non sarebbe impossibile negoziare e al tempo stesso combattere al fine di ottenere una situazione il più possibile vantaggiosa per l'Ucraina. Si tenga comunque presente che se si arrivasse adesso ad un cessate il fuoco non si potrebbe certo parlare di vittoria russa o di sconfitta dell'Ucraina.

domenica 17 settembre 2023

CHE COS’È LA GEOPOLITICA?

Non passa giorno senza che vi sia chi cerca di suscitare il plauso della platea euro-atlantista sparando a zero contro  quelli che ritiene essere  degli agenti al servizio di Putin, tanto che perfino Lucio  Caracciolo, il direttore di Limes, è uno dei  bersagli degli euro-atlantisti. 

Ovviamente, che Caracciolo sia putiniano solo perché non è un propagandista della Nato lo può pensare solo chi sostiene che la guerra russo-ucraina non è "anche" (si badi: anche) una guerra per procura della Nato contro la Russia, ma al tempo stesso afferma che la Nato (e quindi pure l'Italia) è in guerra contro la Russia 

Comunque, a parte il disordine mentale che sembra caratterizzare il pensiero dei nostri "Amerikani nati in Italy", il problema più serio per costoro sarebbe non tanto che esista una rivista come Limes quanto piuttosto la geopolitica stessa.

Per alcuni "Amerikani nati in Italy" infatti la geopolitica sarebbe una pseudoscienza ossia una mera ideologia che vorrebbe  giustificare una concezione deterministica della storia e in sostanza  fascista o addirittura nazista.

Certo la geopolitica non è una scienza, dato che si avvale di contributi di varie scienze o discipline: la storia (in specie politica e militare), la geografia (non solo fisica ma economica e politica), la teoria delle relazioni internazionali, la demografia, la storia delle religioni, l'antropologia culturale, la filosofia politica e via dicendo.*

In sostanza, la geopolitica è caratterizzata da un "approccio multidisciplinare" al fine di elaborare un'analisi razionale del rapporto tra il Politico (quindi soprattutto i regni, gli imperi, gli Stati ecc.) e lo spazio o, meglio, la terra (ragion per cui il concetto di terra è duplice: da un lato denota l'ambiente in cui e grazie a cui i "mortali" possono vivere, dall'altro denota la terra in quanto "spazio" diverso dal mare, dal cielo e dal "vuoto cosmico").

In questa prospettiva, è lecito - almeno per chi scrive - intendere la geopolitica come l'analisi  dei diversi modi in cui si configura "nel corso della storia" il rapporto tra il Politico e i modi in cui i mortali abitano la terra (e quindi con ciò che Carl Schmitt definisce come Nomos della terra: l'occupazione di una terra, la sua spartizione e la sua "messa a frutto").

Pertanto, tenendo presente che l'uomo è un animale sia sociale che politico, essenziali sono non la cosiddetta "razza" o altre chimere ideologiche, bensì la storia e la cultura di un popolo (incluso l'ambiente - la "geo-grafia" - in cui un popolo "dimora") e il modo in cui si  "intrecciano" con la storia e la cultura di altri popoli. In altri termini, una concezione geopolitica è giustificata proprio dal fatto che di necessità i mortali abitano politicamente la terra.

*Per fare qualche esempio si pensi ad opere come Terra e Mare di  Carl Schmitt, Ascesa e declino delle grandi potenze di Paul Kennedy o The Grand Chessboard di Zbigniew Brzezinski.

lunedì 11 settembre 2023

I DUE "VOLTI" DELLA GUERRA RUSSO-UCRAINA

Ormai sembra evidente che il Comando ucraino e la NATO siano convinti che una guerra di logoramento  possa portare ad un "punto di rottura" della macchina bellica russa ovvero ad un cedimento dell'esercito russo in Ucraina tale da costringere la Russia a gettare la spugna.

Una strategia simile, del resto, caratterizzò l'America nella guerra del Vietnam. Dato che allora per gli americani  non era possibile invadere il Vietnam del Nord - puntando quindi direttamente su Hanoi - senza scatenare una guerra contro la Cina e la Russia, l'America decise di sostenere militarmente il Vietnam del Sud cercando di infliggere ai vietcong e ai nordvietnamiti perdite così gravi da costringere Hanoi a gettare la spugna (si trattava del cosiddetto "conto dei morti"). 

Com'è noto questa strategia funzionò per così dire "alla rovescia", giacché fu l'esercito americano che rischiò di arrivare ad un "punto di rottura", nonostante i numerosi successi tattici conseguiti dai soldati americani. Peraltro, la maggior parte degli americani si convinse che era assurdo continuare una guerra in cui non vi erano in gioco nemmeno interessi vitali degli Stati Uniti, tanto più che il regime di Saigon era un regime feroce e corrotto, non certo una democrazia liberale, di modo che per un buon numero di americani il vero nemico si trovava non ad Hanoi ma a Saigon e a Washington.

La guerra del Vietnam finì quindi con un completo fallimento politico e strategico degli Usa e con la totale sconfitta del Vietnam del Sud, nonostante gli Stati Uniti godessero di un'enorme superiorità militare ed economica rispetto al Vietnam del Nord.

L'attuale contesto storico ovviamente è del tutto diverso da quello che esisteva al tempo della guerra del Vietnam e soprattutto la guerra che si combatte in Ucraina è del tutto differente da quella del Vietnam, ma la questione che qui conta è se mediante una guerra di logoramento (poiché è praticamente impossibile che l'esercito ucraino con l'appoggio della Nato possa mirare ad occupare Mosca) sia possibile costringere il Cremlino a gettare la spugna. 

Chiaramente, il Comando ucraino e la NATO ne sono convinti per varie ragioni. 

Infatti, la Russia, secondo stime attendibili, ha già sparato 10-11 milioni di proiettili di artiglieria ossia una media di circa 20.000 al giorno (di vario calibro naturalmente). Si tratta di una cifra enorme, pari a tutti i proiettili di artiglieria che la Russia avrebbe prodotto o "riciclato" dopo il 2015, di modo che (anche senza prendere in considerazione la questione dell'usura delle canne, che concerne pure i pezzi di artiglieria ucraina ma di cui si sa assai poco) l'esercito russo non potrebbe più permettersi di continuare a sparare un numero così grande di colpi di artiglieria, neanche se la Russia nel 2024 producesse e "riciclasse"  due milioni di proiettili di artiglieria. 

D'altra parte, si stima che il numero di carri armati che la Russia può produrre o "recuperare" in un anno sia inferiore a mille (di cui solo 240-325 nuovi) ossia una cifra nettamente inferiore alle perdite di carri armati subite dalla Russia in questa guerra, per non parlare del fatto che l'esercito russo sta già impiegando numerosi carri armati obsoleti.

Vi è poi da considerare che l'esercito russo, oltre ad avere già perso gran parte dei suoi ufficiali e dei suoi soldati professionisti o semi-professionisti, continua a "soffrire" a causa di gravi difetti dell'apparato di controllo, comando e comunicazioni nonché di quello di intelligence militare, mentre le sanzioni starebbero già penalizzando la macchina bellica russa, dato che notoriamente l'industria russa dipende in notevole misura dalle tecnologia occidentale.

In sostanza, se l'aiuto militare ed economico dell'Occidente all'Ucraina non viene meno, si ritiene che l'esercito ucraino abbia buone probabilità di infliggere una sconfitta decisiva alla Russia. D'altronde, l'esercito ucraino può già contare su un sistema di artiglieria non solo più potente di quello di cui Kiev disponeva nei primi mesi di guerra ma soprattutto assai più preciso e "performante" di quello russo. 

Inoltre, l'aviazione di Kiev il prossimo anno dovrebbe  disporre di un discreto numero di aerei da combattimento occidentali, che potrebbero contrastare con successo le operazioni dell'aviazione russa, il cui livello operativo continua ad essere tutt'altro che elevato, nonostante goda di una netta superiorità numerica e qualitativa rispetto all'attuale forza aerea ucraina.

Tuttavia, se si è obiettivi, si deve prendere in considerazione anche l'altra "faccia della medaglia".

Le sanzioni possono "fare male" alla Russia, ma la Russia non è affatto isolata, anzi gode ancora di ottimi rapporti (politici ed economici) con buona parte del mondo (perfino con Paesi, come l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi, che si riteneva di potere "includere" nell'area di influenza americana od occidentale). Insomma, il "collo di bottiglia" può essere assai stretto ma non tanto da impedire alla macchina bellica russa di continuare questa guerra. 

Peraltro, anche se in Occidente si ritiene che le perdite russe (morti, feriti e dispersi) siano nettamente superiori a quelle ucraine, queste ultime sono più gravi considerando che la popolazione russa è il quadruplo o addirittura il quintuplo dell'attuale popolazione ucraina e che (almeno per ora) non vi sono seri segni di cedimento della Russia né sotto il profilo politico né sotto quello militare, sebbene vi siano delle forti "tensioni" all'interno dell'élite dominante russa (come ha dimostrato lo stesso "caso Prigozhin"). Comunque sia, è pure difficile immaginare che si potrebbe formare un governo russo filo-occidentale anche nel caso (non impossibile ma nemmeno probabile) che si verificasse una grave crisi politica del regime di Putin.

D'altro canto, non è scontato che l'aiuto occidentale all'Ucraina non possa incontrare degli "ostacoli" se la guerra dovesse durare a lungo. Nell'America stessa cresce il numero di coloro che temono che questo conflitto possa essere un "altro Afghanistan", anche perché non vi è una chiara strategia politica occidentale per porre fine alla guerra. Ma è pure noto che per molti americani Washington dovrebbe non impegnarsi eccessivamente nell'aiuto all'Ucraina ma concentrare i propri mezzi e le proprie risorse militari nell'Indo-Pacifico per fare fronte alla sfida la Cina (il governo americano è invece convinto che il sostegno degli Usa all'Ucraina sia essenziale per il rafforzamento di un "blocco occidentale" senza il quale sarebbe assai più difficile per l'America fare fronte con successo alla sfida con la Cina).

In definitiva, anche se è innegabile che l'Occidente sia riuscito ad impedire che l'Ucraina venisse inglobata con la forza nello spazio geopolitico russo, nessuno può sapere che cosa potrebbe accadere se la guerra dovesse durare a lungo. Indubbiamente è difficile che l'esercito russo  possa arrivare fino a Kiev o negare l'accesso al mare all'Ucraina, ma certamente non è neppure facile infliggere alla Russia una sconfitta tale da costringere Mosca a gettare la spugna. In altri termini, se oggi esistono le condizioni per "capitalizzare" o, meglio, cercare di "capitalizzare" (perché questo ovviamente dipende pure dalla Russia) il sostanziale fallimento politico-strategico della cosiddetta "Operazione militare speciale in Ucraina", non si può escludere che tra un anno o due - ossia nel caso che la guerra dovesse durare a lungo - la situazione possa essere decisamente peggiore per la Russia di quanto lo sia adesso ma nemmeno che possa essere assai meno favorevole all’Ucraina.


BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Samuel Charap, An Unwinnable War. Washington Needs an Endgame in Ukraine (FOREIGN AFFAIRS).

Samuel Charap, Miranda Priebe, Avoiding a Long War U.S. Policy and the Trajectory of the Russia-Ukraine Conflict (RAND CORPORATION).

Seth G. Jones, Alexander Palmer,  Joseph S. Bermudez Jr, Ukraine’s Offensive Operations. Shifting the Offense-Defense Balance (CSIS).

Michael Kofman, Rob Lee, Perseverance and Adaptation: Ukraine's Counteroffensive at Three Months, (WAR ON THE ROCKS).

Rochan's Report, Ukraine Counteroffensive. Initial Assessment (June-August 2023). (ROCHAN CONSULTING).

Paul Schwartz, A War of Attrition. Assessing the Impact of Equipment Shortages on Russian Military Operations in Ukraine (CSIS).

Jack Watling, Nick Reynolds, Stormbreak: Fighting Through Russian Defences in Ukraine’s 2023 Offensive (RUSI).

Jack Watling, Nick Reynolds, Meatgrinder: Russian Tactics in the Second Year of Its Invasion of Ukraine (RUSI).

Jack Watling, Oleksandr V Danylyuk e Nick Reynolds, Preliminary Lessons from Russia’s Unconventional Operations During the Russo- Ukrainian War, February 2022–February 2023 (RUSI).

Mykhaylo Zabrodskyi, Jack Watling, Oleksandr V Danylyuk e Nick Reynolds, Preliminary Lessons in Conventional Warfighting from Russia’s Invasion of Ukraine: February–July 2022 (RUSI).


mercoledì 6 settembre 2023

LA CONTROFFENSIVA UCRAINA E LA RESISTENZA DEI RUSSI

Più passa il tempo e più è evidente che non è probabile che la controffensiva ucraina riesca a conseguire un reale successo tattico-operativo prima che cominci la cattiva stagione. Non è solo questione di estesi campi minati, di poche forze corazzate o meccanizzate e di pochi aerei da combattimento. Indubbiamente l'esercito ucraino si trova davanti una difesa russa troppo profonda per essere superata in breve tempo, considerando anche i non molti mezzi di cui dispongono gli ucraini per condurre un attacco contro le formidabili linee fortificate russe (sebbene le forze russe non siano scaglionate in profondità ma concentrate nei punti in cui attaccano gli ucraini). Ma è soprattutto l'ostinata resistenza dei soldati russi che è un ostacolo difficile da superare. 


Difatti, è innegabile che i soldati russi - o perlomeno la maggior parte di loro -, nonostante i gravi difetti dell'esercito russo (che, si badi, dipendono in buona misura proprio dai difetti del regime di Putin), si battano con notevole determinazione. In sostanza, l'esercito russo non saprà condurre una guerra offensiva ma sta dimostrando di sapere difendersi assai bene. Pertanto, contrariamente a quello che il Comando ucraino e i vertici della Nato si auguravano nella scorsa primavera, non si può ritenere probabile, nonostante il valore e il coraggio dei soldati ucraini, che si verifichi un “crollo” dell'esercito russo. Non a caso in Occidente già si parla della necessità di una nuova controffensiva ucraina la prossima primavera.


Certo, nelle prossime settimane gli ucraini continueranno ad attaccare per arrivare perlomeno fino alla ferrovia che collega Tokmok con Donetsk (sembra però che i russi adesso usino soprattutto degli autocarri per trasportare le munizioni dalle stazioni ferroviarie della Crimea al fronte), ma dovranno evitare sia di subire perdite troppo numerose (che l'esercito di Kiev non può permettersi) sia di essere attaccati sui fianchi, dato che il piccolo saliente che hanno creato nelle difese russe nella zona di Robotine-Verbove è ancora assai "stretto" (in pratica i russi potrebbero circondare le brigate ucraine più avanzate). Peraltro, non si deve dimenticare che si combatte aspramente anche in altri settori del fronte (in specie a Kupiansk, a Bachmut e nella zona di Velyka Novosilka).*


Insomma, anche se in guerra regna l'incertezza ed è quindi presto per parlare di un totale fallimento della controffensiva ucraina, è indubbio che non si stia assistendo ad un successo ucraino come quello dell'estate scorsa. D'altronde, i russi hanno avuto parecchi mesi di tempo per rafforzare il proprio esercito e costruire un sistema difensivo che sarebbe un ostacolo assai difficile da superare anche per un esercito molto più forte e numeroso di quello ucraino. Questo ovviamente è un serio un problema militare ma è anche e soprattutto un serio problema politico.

*Si veda comunque l'analisi di Michael Kofman e Rob Lee  https://warontherocks.com/2023/09/perseverance-and-adaptation-ukraines-counteroffensive-at-three-months/

Michael Kofman e Rob Lee concludono la loro analisi (rigorosa e dettagliata) della controffensiva ucraina affermando: "Western support thus far has been sufficient to avert a Ukrainian defeat, and arguably has imposed a strategic defeat on Russia, but not enough to ensure a Ukrainian victory. Independent of the outcome of this offensive, Western countries need to be clear-eyed about the fact that this will be a long war. Taken together, Western industrial and military potential greatly exceeds Russia’s, but without the political will, potential alone will not translate into results."

Ma avere evitato la sconfitta dell'Ucraina e avere conseguito una vittoria strategica contro la Russia (che non è riuscita ad insediare un governo filorusso a Kiev, né ad occupare Kharkiv, né a negare l'accesso al mare all'Ucraina, né ad occupare tutto il Donbass, che deve far fronte ad una Nato più forte, che ha rotto i ponti con l'Europa occidentale, che dipende sempre più dalla Cina, che ha seri problemi economici e sociali e via dicendo), non equivarrebbe ad una vittoria politico-strategica dell'Ucraina, se Kiev ottenesse garanzie politiche e militari dall'Occidente tali da impedire alla Russia di potere aggredire nuovamente l'Ucraina senza rischiare di scatenare una guerra mondiale?


giovedì 31 agosto 2023

LA GUERRA RUSSO-UCRAINA E LA LOTTA PER L'EGEMONIA

Non si può dare torto, se si è intellettualmente onesti, a chi sostiene che gli atlantisti vedono putiniani dappertutto. Ovviamente i putiniani ci sono e sono coloro che, anche se rifiutano di essere chiamati putiniani, fanno l'apologia del regime di Putin e dell'invasione russa dell'Ucraina, giacché sono convinti che la Russia di Putin possa liberare l’Europa dal "male americano", tanto che si limitano a ripetere a pappagallo la più insulsa propaganda del Cremlino. In realtà la Russia aggredendo l’Ucraina ha offerto all'America la possibilità di rafforzare la sua egemonia sul Vecchio Continente, necessaria soprattutto per fare fronte alla sfida con la Cina, che la notevole riduzione dell'influenza americana (in specie in Medio Oriente e perfino in America Latina) e il declino dell'egemonia occidentale nel continente africano (in cui è soprattutto è la sfera di influenza della Francia che si è ridotta)  rendono certamente assai più difficile e complessa.

Nondimeno, il fatto che il regime di Putin assomigli sempre più ad un regime “mafioso”, non implica che il regime ucraino (come del resto quello polacco e altri regimi dell'Europa baltica) non sia un regime nazionalista e russofobo. D’altronde, è evidente che sia per l’Ucraina che per la Russia il costo (non solo economico) della guerra sta superando “il livello di guardia”.

Le perdite russe ammonterebbero, infatti, ad oltre 300.000 morti, feriti gravi e dispersi (i morti sarebbero circa 120.000) e per il ministero della Difesa russo è sempre più difficile reclutare volontari, anche se la paga è ottima (è assai più di quanto guadagna un funzionario pubblico). In pratica, Mosca è ancora in grado di arruolare volontari soltanto nelle regioni più povere della Federazione Russa. Del resto, pure i soldati russi sono esseri umani, anche se in Occidente vi è chi pensa che siano degli orchi. 

Certo, l’economia russa regge, dato che la Russia non è affatto isolata (si sa che per almeno una parte “resto del mondo” questa guerra è solo una guerra per procura della Nato contro la Russia e quindi si tratta di un problema che concerne soprattutto l’Europa) anche se dipende sempre più dalla Cina e dalla importazione di tecnologia occidentale (chips americani compresi). Del resto, il costo di questa guerra non potrà che aggravare una situazione sociale ed economica già caratterizzata da scarso sviluppo (tranne in alcuni settori che però anch’essi dipendono in buona misura dalla tecnologia occidentale o cinese) nonché da inefficienza e da un alto livello di corruzione.

Ma se la Russia piange, certo l’Ucraina non ride, tanto è vero che Kiev nelle scorse settimane ha dovuto licenziare tutti i funzionari responsabili del reclutamento, che in cambio di tangenti offrivano esenzioni dal servizio di leva. Chiaramente anche ai giovani ucraini fa paura una guerra che avrebbe già causato all’Ucraina la perdita di circa 200.000 soldati (almeno 70.000 morti e circa 120.000 feriti gravi). Peraltro, si stima che adesso le Forze armate ucraine siano composte da circa 500.000 soldati, mentre le Forze armate della Federazione Russa ne dovrebbero contare 1.300.000 e com’è noto la popolazione russa è molto più numerosa di quella ucraina, di modo che le perdite ucraine “pesano” più di quelle russe.*

Si tratta comunque di perdite colossali per entrambi i belligeranti (si pensi, ad esempio, che le stime dei militari iracheni morti nella guerra dell’Iraq contro l’Iran, che durò dal 1980 al 1988, variano da un minimo di 105.000 ad un massimo di 500.000 ossia una media di circa 60.000 caduti ogni anno nel caso che si ritenga corretta la stima di 500.000 militari iracheni deceduti in una guerra contraddistinta anch’essa da battaglie simili a quelle della Grande Guerra. Si tenga anche presente che il numero dei militari iraniani deceduti in questo conflitto è simile a quello dei caduti iracheni).

Nondimeno, ucraini e russi continuano a combattere, perché sia a Kiev che a Mosca si è convinti di vincere la guerra, sebbene sia sempre più evidente che né gli ucraini né i russi possono ottenere una “vittoria totale. D’altra parte, L’Ucraina, anche grazie all’aiuto militare ed economico dell’Occidente, è riuscita è frustrare le ambizioni imperiali della Russia e questo dovrebbe contare assai più della “riconquista militare” di tutti i territori ucraini occupati dalla Russia (diversa ovviamente è la questione del riconoscimento politico di tale occupazione).

In questa prospettiva, è dunque lecito ritenere che per l’Ucraina sarebbe essenziale ottenere dall’Occidente le garanzie e gli aiuti necessari per impedire alla Russia di tentare di nuovo di aggredire l’Ucraina, dato che la controffensiva ucraina può sì conseguire qualche successo significativo (ad esempio, l’esercito ucraino potrebbe “tagliare” la ferrovia che collega la Crimea e il Donbass o addirittura giungere al confine con la Crimea)** ma è tutt’altro che probabile che sia in grado di “mettere al tappeto” la Russia, sebbene vi sia chi, confondendo il wishful thinking con una strategia politica e militare razionale ossia ciò che è meramente possibile con ciò che è probabile, ritiene che l’intero sistema politico e militare russo possa crollare. (Naturalmente non si può escludere che se si arrivasse ad una situazione militare favorevole all'Ucraina, la Russia potrebbe essere indotta a negoziare. Tuttavia, indipendentemente da come potrebbe reagire la Russia nel caso che la controffensiva ucraina avesse successo, si deve prendere atto che attualmente non vi è una strategia politica chiara e condivisa da Kiev e dalla Nato su come porre termine a questa guerra. Naturalmente è soprattutto l'America che potrebbe fare la "differenza" sotto questo profilo, dato che detiene le "chiavi strategiche della difesa dell'Ucraina).

Comunque sia, la razionalità rispetto al valore è certo importante, ma non si può nemmeno trascurare la questione del rapporto costi/benefici. Questo vale non solo per l’Ucraina e la Russia, ma anche per l’Occidente e in particolare  per la “Vecchia Europa”, i cui interessi, peraltro, sono diversi non solo da quelli dell’America ma pure da quelli della “Nuova Europa”. 

D’altra parte, indipendentemente dal fatto che pure la Cina si sta imbattendo nei propri limiti, la stessa America sotto il profilo politico-sociale sembra un gigante dai piedi argilla. Il cosiddetto “trumpismo”, infatti, è la conseguenza di un crisi del sistema politico-sociale americano che dipende anche dalla crisi di egemonia degli Stati Uniti ma che a sua volta ha aggravato la crisi di egemonia della maggiore potenza occidentale. Del resto, pure la relativa deindustrializzazione degli Stati Uniti e in generale dell’Occidente contribuisce a rendere più grave una crisi del sistema liberal-capitalista occidentale, che non può non incidere anche sui rapporti tra l’Occidente e il “resto del mondo” (come dimostra anche il recente “allargamento” dei Brics). 

In questo contesto, la trasformazione della guerra russo-ucraina in una guerra per procura della Nato contro la Russia (una trasformazione resa possibile dall’eccezionale resistenza opposta dagli ucraini all’esercito russo nella primavera dell’anno scorso, dato che non si deve dimenticare che per la maggioranza degli ucraini questa guerra è una guerra di liberazione nazionale) rischia di creare una situazione internazionale in cui nessun “ordine mondiale” sarà possibile, tanto più che un “ordine mondiale” multipolare è “mera utopia” allorché (nonostante la retorica sulla necessità di una cooperazione a livello internazionale, di rapporti di scambio “equi” e via dicendo) è in corso un’aspra lotta per l’egemonia tra le maggiori potenze mondiali, come insegna la stessa storia del Novecento. Peraltro, non si può nemmeno ignorare che i principali Stati che si oppongono all’attuale potenza egemonica (ossia gli Usa) sono sempre più contraddistinti da un nazionalismo aggressivo e da una cultura politica antidemocratica e “illiberale” (ovverosia si è in presenza di una situazione internazionale che, mutatis mutandis, ricorda anch’essa la trasformazione del pianeta in una sorta di “santabarbara” nella prima metà del secolo scorso).

In definitiva, si corre il rischio che questa guerra nel cuore dell'Europa non sia la continuazione della politica con altri mezzi ma che la politica non sia altro che la continuazione di questa guerra. In altri termini, come si era già evidenziato allorché la guerra russo-ucraina era appena cominciata, si rischia di dimenticare che anche la lotta per l’egemonia ha le sue “leggi” e che solo il realismo (geo)politico e l’etica della responsabilità possono evitare che la sua meccanica diventi irreversibile.


*In Occidente diversi analisti sono convinti che la guerra possa durare a lungo. Pertanto, sarebbe necessario prendere in considerazione che l'Ucraina, in una guerra lunga e di logoramento contro un Paese la cui popolazione oggi  è almeno il quadruplo di quella dell'Ucraina, rischia di dissanguarsi.

**Vedi ad esempio la Nota sulla controffensiva ucraina pubblicata su questo blog.


domenica 20 agosto 2023

IL LABIRINTO UCRAINO

 Che pure in questa guerra si debba distinguere tra un aggressore, la Russia, e un aggredito, l'Ucraina, è pacifico, tranne per i cosiddetti "putiniani" ossia coloro che fanno l'apologia della invasione russa dell'Ucraina.   

D'altra parte, è difficile negare che Putin abbia cercato di approfittare di una serie di circostanze storiche (il fallimento strategico degli Usa in Afghanistan, il declino dell'egemonia degli Usa in varie regioni del mondo, la sempre più grave situazione interna dell'America, l'insignificanza geopolitica dell'Ue ecc.) per scatenare una guerra nel cuore dell'Europa, convinto che bastasse dare un calcio alla "baracca marcia" per farla crollare, tanto più che è evidente la Nato non era preparata per combattere una guerra ad alta intensità.

Tuttavia, c'è sempre un molteplicità di responsabilità soggettive e di fattori oggettivi che rendono possibile una guerra. Non è l'eccezione ma la norma nella storia. E non si può neppure negare che questa guerra sia una "guerra a più dimensioni", tanto che è diventata pure una guerra per procura della Nato - e in specie di alcuni Paesi della Nato - contro la Russia, grazie alla resistenza ucraina che ha impedito ai russi di insediare un governo filorusso a Kiev. 

Del resto, è indubbio che l'invasione russa dell'Ucraina abbia  offerto agli Usa la possibilità di tagliare i ponti tra la Russia e l'Europa occidentale (in particolare tra la Russia e la Germania) e di formare un blocco occidentale (il cosiddetto "Occidente collettivo") necessario soprattutto per fare fonte alla sfida contro la Cina.

Certo, l'America non ha alcuna intenzione di arrivare ad uno scontro diretto con la Russia. E una guerra lunga e di logoramento tra la Russia e l’Ucraina non premetterebbe agli Usa di concentrare le proprie risorse nell'Indo-Pacifico, che per l'America è diventato il teatro geopolitico principale.

Nondimeno,  anche se è vero che le decisioni degli attori geopolitici contano, non si deve dimenticare che gli attori geopolitici sono pur sempre degli "interpreti" di una molteplicità di fattori oggettivi e che di conseguenza "ignorare" la complessità di tali fattori può favorire solo i "cattivi interpreti" della storia e della geopolitica.