martedì 28 marzo 2023

NÉ CON LA NATO NÉ CON PUTIN?

 Oggi l'Europa si trova in una situazione simile, anche se non identica, a quella che nel 1938 Carl Schmitt definì come  una “abnorme situazione intermedia tra guerra e pace, in cui tutte e due le cose sono mischiate”.

Eppure è noto che secondo Cicerone (ottava filippica) “inter pacem et bellum nihil est medium” ossia tra pace e guerra non c'è una via di mezzo (si veda l'articolo di N. Irti, Tra pace e guerra non c'è una via di mezzo , "Ilsole24ore", 27-06-2022, pubblicato in rete).


Tuttavia, Schmitt si riferiva alla estensione dell’idea di guerra alle attività non militari (economiche,  propagandistiche ecc.) che sempre più caratterizzano la politica internazionale e che in sostanza si basano, come in guerra, sulla distinzione/contrapposizione tra amico e nemico.

Ancora più rilevante però è che la situazione che caratterizzava l'Europa nel 1938 non durò a lungo. Pace e guerra quindi non furono più mischiate e si impose l'alternativa o amico o nemico. 

                                                                               ***

In questa prospettiva, si può prendere anche in considerazione la tesi secondo cui  non si deve stare né con la Nato né con Putin.

In teoria si tratta di una posizione politica che si potrebbe condividere, anche se in pratica è assai difficile non stare con la Nato quando si fa parte della Nato. Nondimeno, vi è pure da considerare il problema della difesa dell'Ucraina. 

Non aiutare militarmente l'Ucraina, infatti, equivale a stare dalla parte di Putin e poiché non c'è una difesa europea degna di questo nome, solo la Nato (ossia soprattutto l'America) può aiutare l'Ucraina a difendersi dall'aggressione russa (peraltro, anche se si può certo mettere in discussione la politica della Nato e in particolare dell'America riguardo all'Ucraina anche prima di Euromaidan, ormai è evidente che la Russia non ha mai veramente riconosciuto l'indipendenza politica dell'Ucraina).

Invero, non è tanto la questione dei difetti del regime nazionalista di Kiev (comunque di gran lunga meno gravi e meno pericolosi di quelli del regime di Putin) a rendere difficile per molti stare dalla parte dell'Ucraina, quanto piuttosto il fatto che l'Ucraina sia aiutata dalla Nato e in specie dall'America.

Tuttavia, essere alleati non significa necessariamente essere "amici" (i sovietici erano alleati degli angloamericani nella Seconda guerra mondiale ma certo non erano "amici"; lo stesso, del resto,  si può dire dei partigiani comunisti o di giustizia e libertà che erano solo alleati con i partigiani bianchi e in pratica pure con i "badogliani").

Si tratta quindi di una differenza politica che dovrebbe "orientare" la politica dei principali Paesi della Ue in senso diverso da quella della Gran Bretagna e dei Paesi dell'Europa orientale (che sembrano ormai una sorta di appendice dell'America nel Vecchio Continente) anche riguardo alla difesa dell'Ucraina, facendo dipendere la  questione territoriale dell'Ucraina da quella della sicurezza e indipendenza dell'Ucraina e non viceversa, lasciando che la questione del regime di Putin sia risolta soprattutto dai russi, e al tempo stesso impegnandosi a dar vita ad una difesa europea degna di questo di nome, senza la quale nessuna autonomia strategica dell'Europa è possibile.

Ridurre la "dipendenza" geopolitica dell'Europa (perlomeno di gran parte dell'Europa occidentale) dall'America e adoperarsi per un diverso e più equo rapporto con il "resto del mondo"  è certo necessario, ma senza cedere ai ricatti e alla prepotenza della Russia di Putin ossia senza "sacrificare" la sicurezza e l'indipendenza dell'Ucraina che, comunque la si pensi, è un Paese europeo  (e pure questo conta sotto il profilo geopolitico) che sta combattendo una guerra di liberazione nazionale.

In altri termini si dovrebbe difendere una posizione davvero europeista, anziché meramente euro-atlantista, secondo una prospettiva realistica basata su un'etica della responsabilità.




venerdì 24 marzo 2023

QUALE OCCIDENTE?

È innegabile che il mondo stia cambiando rapidamente anche se l’Europa sembra non rendersene conto, al punto che continua ad identificare la comunità internazionale con il mondo occidentale. Pure la questione delle sanzioni imposte dall’Occidente alla Russia dimostra quanto sia rilevante e significativa la differenza tra l’Occidente e gran parte del cosiddetto “resto del mondo” che non intende più sacrificare i propri interessi per difendere gli interessi dell’Occidente né tollera più che l’America sia l’arbitro della politica internazionale e della economia mondiale.

I neoliberali sostengono che i regimi autocratici non sono un'alternativa valida al sistema liberal-capitalista ma "ignorano" che per gran parte del mondo il problema è che il sistema liberal-capitalista non rappresenta più una alternativa valida ai regimi autocratici.  Del resto, gli stessi interessi del mondo occidentale in realtà sono gli interessi delle classi dominanti occidentali che sostengono di difendere valori e principi che dovrebbero essere condivisi da tutti anche se non esitano a calpestarli ogni volta che contrastano con i loro interessi.  

D’altronde, è proprio Occidente neoliberista e tecnocratico che si sta rivelando incompatibile con gli stessi principi della civiltà europeo-occidentale, democrazia inclusa, che più passa il tempo più si rivela una sorta di foglia di fico per nascondere una realtà ben diversa da quella che la parola “democrazia” dovrebbe designare. Non ci si può allora sorprendere che gran parte del mondo non tolleri più il vergognoso doppiopesismo dell’Occidente e consideri la stessa questione dei diritti umani come uno “strumento” della politica di potenza dell’Occidente. Pertanto anche la contrapposizione tra sistema liberal-capitalista e regimi autocratici appare non come una lotta tra democrazia e autocrazia ma solo come una lotta per l'egemonia tra diversi gruppi dominanti.

In sostanza, si dovrebbe riconoscere che il multipolarismo esige un mutamento del rapporto tra Occidente e resto del mondo che è possibile solo superando il sistema liberal-capitalistico. Necessaria sarebbe pertanto una ridefinizione dello stesso concetto di "potenza" alla luce di un "nomos della terra" incentrato sulla giustizia sociale, sulla cooperazione internazionale e sul dialogo tra differenti tradizioni e forme di vita, tale da favorire anche un rapporto più “agile” e libero con la tecnica e più “maturo” e responsabile con lo stesso ambiente in cui e grazie a cui l’uomo vive.

 In questo senso, la contrapposizione tra democrazia e autocrazia presuppone dei principi di libertà e di giustizia che, sebbene non possano che essere “negati” da un regime autocratico (poco importa sotto questo aspetto di quale "colore politico" sia), sono anche diversi da quelli che caratterizzano l’attuale società di mercato occidentale e di conseguenza il modo stesso in cui l’Occidente neoliberale (in particolare la potenza egemone occidentale) intende il rapporto con il resto del mondo. Peraltro, è proprio la questione del rapporto tra Occidente e “resto del mondo” che conferma che il sistema politico-culturale e sociale che contraddistingue i diversi attori geopolitici non è affatto irrilevante nemmeno sotto il profilo geopolitico. 

In questa prospettiva è lecito affermare che anche la contrapposizione tra neoliberalismo e autocrazia acquisisce un significato diverso nella misura in cui una società (neo)liberale di mercato può trasformarsi in una “società con mercato” (quindi in una formazione sociale in cui il mercato sia “al servizio” del benessere morale e materiale dei “molti” ovverosia della giustizia sociale che è il presupposto per un diverso e più "giusto" rapporto tra Occidente e "resto del mondo") in un quadro statale tale da rispettare e tutelare i diritti fondamentali della persona che (almeno in linea di principio) caratterizzano lo stesso sistema liberal-capitalistico, non certo un regime autocratico.

giovedì 23 marzo 2023

QUALE PACE?

Si può considerare pace quella che i russi vorrebbero imporre agli ucraini con la violenza e il terrore? Ovviamente no.

D'altronde, non si può non riconoscere che non ci si può difendere dagli invasori con le ciance, dato che per combattere una guerra di liberazione nazionale c'è comunque bisogno di armi (questa è una "amara verità" ma è pur sempre "verità" o si pensa che i partigiani italiani non usassero le armi?).

Al riguardo si deve essere netti e chiari, perché se è vero che vi sono delle serie ragioni geopolitiche che rendono necessario trovare una soluzione diplomatica di questo conflitto, è innegabile che una “vera pace” con un regime come quello di Putin ormai non è più possibile.

In realtà, anche questa guerra ha evidenziato che il problema che si dovrebbe risolvere è la mancanza di una reale autonomia strategica dell’Europa e in specie dell’Europa Occidentale continentale - condizione necessaria, del resto, anche per un "diverso" e più "giusto" rapporto dell'Occidente con il cosiddetto “resto del mondo” - ma la "dipendenza" dell'Europa dagli Usa non la si riduce certo ignorando la geopolitica e gli affari militari.

Comunque sia, battersi per la pace significa sì anche riconoscere che in una prospettiva realistica vi sono dei "limiti" che non si possono superare senza rischiare di distruggere quello che si vuole e si deve difendere, ma significa anche e soprattutto battersi perché siano riconosciute (non solo a parole, si intende) le "ragioni" politiche e culturali di chi lotta contro l'oppressore o l'invasore, non viceversa, perché fin dal tempo dei Sumeri la pace “a qualunque costo” è solo quella che il "padrone" vuole imporre al "servo".

In definitiva non c'è pace senza giustizia ed è quindi alla luce della questione della giustizia - (geo)politica e sociale - che la parola pace acquisisce il suo vero significato.

martedì 14 marzo 2023

LA NEBBIA DELLA GUERRA E IL LABIRINTO UCRAINO

 “Kiev deve vincere” hanno dichiarato Biden e Sunak ma che significhi “vincere la guerra” non lo hanno certo chiarito. Un conto, infatti, è ritenere che sia giusto e necessario sostenere anche militarmente la resistenza dell’Ucraina contro l’esercito russo*, un altro chiarire quali sono gli scopi politico-strategici che ci si propone di perseguire, e quindi chiarire quali siano i “limiti” che Kiev non può superare senza mettere a repentaglio gli interessi e la sicurezza dell’Europa (ossia dei Paesi della Ue, di cui peraltro l’Ucraina dovrebbe fare parte). 

Affermare che vi è un aggressore (la Russia di Putin) e un aggredito (l'Ucraina) è vero - meglio precisarlo - ma non annulla la differenza tra la difesa della sicurezza dell'Ucraina e il perseguimento di fini geopolitici che hanno poco a che fare con la sicurezza dell'Ucraina, né basta per spiegare un conflitto che dura da nove anni. La responsabilità politica e militare di questa guerra è certo della Russia ma è indubbio che pure l’America abbia gettato benzina sul fuoco, rafforzando sia l’estremismo nazionalista ucraino sia l’estremismo nazionalista russo (al riguardo è sempre degno di nota l'articolo di H. Kissinger "How the Ukraine crisi ends" pubblicato sul Washington Post il 5 marzo 2014).

Del resto, condannare la Russia per avere aggredito l’Ucraina non basta neppure per definire una strategia politica razionale, che tenga pure conto degli interessi di tutti gli attori politici coinvolti in questo conflitto (che è al tempo stesso una guerra di liberazione nazionale, una guerra civile e uno scontro tra la Nato e la Russia), tanto più che la minoranza ucraina filorussa o etnicamente russa del Donbas e della Crimea non può certo considerare gli ucraini come dei “liberatori”. 

Comunque sia, si deve anche tener conto della situazione militare, che non è così “chiara e semplice” come sostengono gli euro-atlantisti, che si limitano a fare tifo per l’Ucraina come i filoputiniani fanno il tifo per la Russia (di Putin, si intende) ripetendo a pappagallo la propaganda di Mosca. Invero da entrambe le parti prevale una “lettura” meramente ideologica della questione ucraina anche per quanto concerne gli aspetti militari (del resto, se gli euro-atlantisti strumentalizzano pure questa guerra per fare l’apologia dell’Occidente neoliberale, i filoputiniani cianciano di libertà di espressione e di democrazia sociale ma fanno il tifo per un regime di polizia caratterizzato da una ideologia nazional-militarista o nazional-imperialista).    

Peraltro, non si combatte solo a Bakhmut ma su un fronte lungo centinaia di miglia, dato che la pressione russa è forte anche nei settori di Kupiansk e di Adviika, ossia a nord e a sud del settore di Bakhmut, che comunque è la zona in cui da diversi mesi lo scontro tra russi e ucraini è più violento e intenso. E se un articolo del NYT (“Russian Attacks Along a Wide Arc of Ukraine Yield Little but Casualties”) evidenzia le numerose (e ormai note)  difficoltà e carenze dell’esercito russo, che nonostante tutti gli “sforzi” compiuti in questi mesi è riuscito solo a rosicchiare un po’ di terreno ucraino a costo di perdite gravissime, secondo un articolo del WP (“Ukraine short of skilled troops and munitions as losses and pessimism grow”) pure l’esercito di Kiev è in difficoltà dato che è a corto di soldati esperti e di munizioni. 

La guerra di attrito che si combatte nel Donbas da vari mesi ha ovviamente causato più perdite agli attaccanti che ai difensori, ma pure Kiev sta pagando un prezzo assai alto per respingere gli attacchi dei russi (secondo stime della Nato i russi avrebbero perso complessivamente 200.000 soldati circa, mentre gli ucraini avrebbero perso non meno di 120.000 soldati). Per i vertici politici e militari di Kiev è il prezzo che l’Ucraina deve pagare per guadagnare il tempo necessario per addestrare le unità militari che dovranno condurre una controffensiva la prossima primavera, ma per i veterani ucraini che sono in prima linea la situazione al fronte è sempre più preoccupante dato che scarseggiano le munizioni e le perdite (particolarmente gravi quelle di ufficiali subalterni e di sottufficiali esperti) vengono colmate da Kiev con l’invio al fronte di soldati inesperti, di modo che è sempre più difficile resistere agli attacchi dell’esercito russo.

D’altronde, anche diversi analisti militari occidentali, benché non abbiano dubbi per quanto concerne le capacità e la superiore motivazione dell’esercito ucraino e siano convinti che Kiev sarà in grado di condurre un'altra controffensiva, ritengono che non sarà facile sfondare le difese russe e che l’esercito ucraino non potrà comunque riconquistare tutti i territori perduti, se non ci sarà un vero e proprio crollo dell’esercito russo. D’altra parte, è noto che chi si difende ha un vantaggio netto rispetto a chi deve attaccare.

“La nebbia della guerra” impedisce comunque di fare previsioni, anche se è lecito ritenere che il filo di Arianna per uscire dal “labirinto ucraino”, ameno per ora, non lo abbia nessuno. Tuttavia, si tenga conto che la scelta di una strategia meramente reattiva rischia di creare le condizioni perché si verifichi quello che si vorrebbe evitare, dato che praticamente equivale a lasciare l'iniziativa strategica al nemico.

Quindi delle due l'una: o si ritiene che non esistano le condizioni per una strategia più "energica" al fine di impedire alla Russia di sconfiggere l'Ucraina, e allora meglio arrivare subito ad un cessate il fuoco accettando un compromesso territoriale sulla base della attuale situazione militare, o si ritiene che questo sia inaccettabile, e allora si devono dare a Kiev il più velocemente possibile i mezzi e le risorse necessari per riconquistare i territori - o perlomeno gran parte di essi - perduti in questa guerra (ovviamente in una prospettiva geopolitica realistica la questione dell'esistenza della Federazione Russa o del regime di Putin non è nemmeno da prendere in considerazione), in cui il tempo è il fattore decisivo, dato che una guerra di logoramento può favorire solo la Russia.

Se invece si continua a preferire un agire strategico "tentennante" o che si limita a reagire alle mosse del nemico si arriverà ad una situazione simile a quella che gli scacchisti definiscono zugzwang, che si verifica allorché un giocatore, qualsiasi mossa faccia, subirà uno scacco matto o perderà del materiale prezioso.

*Ci si potrebbe chiedere perché si deve sostenere (militarmente, si intende) la lotta del popolo ucraino e non quella di altri popoli (gli esempi certo non mancano). Invero, si potrebbe affermare che non c'è giustificazione etica o politico-culturale per questa differenza, ma solo  una giustificazione di carattere "geopolitico". Tuttavia, si deve tenere presente che perlomeno per quanto concerne i rapporti tra l'America e l'Europa (un discorso diverso si deve fare per i rapporti tra gli Usa e l'America Latina) non si può parlare di imperialismo (ossia, in sostanza, di dominio) ma di egemonia americana, che in quanto tale presuppone il consenso degli europei (occorre quindi distinguere tra egemonia e dominio, anche se si deve tener conto che una egemonia può implicare anche il ricorso a metodi che sono caratteristici di un rapporto di dominio). Viceversa la guerra di aggressione della Russia contro l'Ucraina è tipica di uno Stato che agisce secondo una politica imperialistica e che rappresenta un pericolo tanto maggiore per l'Europa se si considera non solo che il regime di Putin è un'autocrazia con caratteristiche di un regime di polizia ma che cosa ha significato la politica (imperialistica) di regimi illiberali per la storia dell'Europa nel secolo scorso.  

sabato 11 marzo 2023

UNA LINEA ROSSA "GIUSTA"

Che gli ucraini abbiano il diritto di resistere e di essere aiutati a resistere all'invasione russa e che la Russia di Putin, aggredendo l'Ucraina, abbia gravemente danneggiato l'Europa occidentale (Italia inclusa) che pure mirava ad inserire la Russia nel quadro politico europeo, rafforzato la “dipendenza” del Vecchio Continente dagli Usa (proprio quando l'egemonia americana è in crisi in buona parte del mondo anche per la crescita di varie potenze a livello regionale) e perfino offerto alla Polonia e ai Paesi baltici la possibilità di svolgere all'interno della Ue un ruolo politico di gran lunga maggiore dei principali Paesi della Ue, possono negarlo solo i filoputiniani che scambiano la fantapolitica per la geopolitica o addirittura pensano che i gravi problemi dell'Occidente neoliberale possano essere risolti da un’autocrazia come la Russia di Putin, che è sempre più simile ad uno Stato di polizia.

Tuttavia, la condanna della prepotenza della Russia di Putin non giustifica certo la prepotenza dell'Occidente atlantista* né implica che si debbano ignorare i deliri di politici polacchi e baltici ultranazionalisti e russofobi (benché si debba tener conto che ci sono delle precise ragioni storiche che inducono baltici e polacchi a diffidare dei russi) o i gravi “difetti” del regime nazionalista di Kiev, inclusa la presenza in Ucraina di una pericolosa criminalità organizzata (che mantiene pure rapporti con la criminalità  filorussa) e di gruppi di estrema destra (ultranazionalisti, neofascisti o neonazisti) che, benché la loro forza elettorale sia minima, si sono infiltrati negli apparati dello Stato ucraino, al punto da condizionare la politica di Kiev e generare perfino una certa tensione tra Washington e Kiev a causa di alcune azioni compiute nel territorio della Federazione Russa (probabilmente avvalendosi anche del sostegno di estremisti di destra russi ma “antiputiniani”)**.

Peraltro, il nazionalismo ucraino rischia di far dipendere la questione della sicurezza dell’Ucraina dalla questione territoriale (cioè dalla riconquista di tutti i territori che appartengono all'Ucraina), favorendo così delle scelte che potrebbero (il condizionale è d’obbligo considerando che l'esercito di Kiev ha dimostrato di essere non solo valoroso ma pure assai capace) rivelarsi errate sotto il profilo militare, tanto più che la stessa strategia della Nato per quanto concerne il sostegno politico-militare all’Ucraina contro la Russia è tutt’altro che chiara, dato che la Nato corre il rischio di “fare i conti senza l’oste”, nella misura in cui non prende in seria considerazione che questa guerra è una guerra esistenziale per il regime di Putin (benché non lo sia per la Russia e al riguardo la politica fin qui seguita da Washington è indubbiamente “razionale”, dato che Washington ha ben chiaro che non si tratta di mettere a repentaglio l'esistenza della Federazione Russa, sebbene la "strategia reattiva" fin qui seguita da Washington potrebbe ritorcersi contro la stessa America, qualora l'esercito ucraino dovesse essere costretto a rinunciare alla possibilità di condurre una controffensiva nel più breve tempo possibile onde evitare una guerra di logoramento che può avvantaggiare solo la Russia).

D’altronde, almeno per ora, in Russia non sembrano esserci le condizioni politiche per mettere fine al regime di Putin e quindi ci sono ben poche possibilità che il Cremlino non sia in grado di imporre alla società russa notevoli sacrifici per potere condurre una guerra lunga. Del resto, la Russia non è affatto isolata, anzi non si può non prendere atto che le sanzioni imposte alla Russia hanno “accentuato” la differenza tra l’Occidente e gran parte del cosiddetto “resto del mondo”, che, pur non condividendo la decisione di Mosca di annettere una parte dell’Ucraina, ritiene che nel conflitto russo-ucraino siano in gioco soprattutto gli interessi del mondo occidentale e soprattutto non tollera più il vergognoso “doppiopesismo” che caratterizza la politica dell’Occidente atlantista.

Insomma, considerando che una guerra lunga difficilmente può avvantaggiare l’Ucraina, che ormai “sopravvive” solo grazie agli aiuti dell’Occidente (e pure questo condizionerà non poco il futuro dell’Ucraina),  fare dipendere la sicurezza e l’indipendenza dell’Ucraina dalla scomparsa del regime di Putin o comunque da una sconfitta disastrosa della Russia (che è pur sempre una superpotenza nucleare) rischia non solo di portare acqua al mulino dello “zar russo” (che ha tutto l’interesse a presentare questa guerra come una guerra esistenziale per la Russia stessa, di modo che non solo per gli ucraini ma anche per i russi la guerra in Ucraina diventi una guerra patriottica) ma di rendere sempre più problematici i rapporti tra il mondo occidentale e il “resto del mondo”, danneggiando di conseguenza la stessa Ucraina, benché il governo di Kiev sembri non rendersene conto. 

Comunque sia, in una prospettiva realistica si dovrebbe tener presente che la Russia ha già fallito il suo disegno strategico, che, com’è noto, consisteva nell’insediare un governo filorusso a Kiev e inglobare l’Ucraina nello spazio geopolitico della Russia. In sostanza, benché non si possano sacrificare gli interessi e i diritti del popolo ucraino sull’altare del realismo geopolitico, non si deve nemmeno ignorare che anche un’etica della responsabilità è incompatibile con un agire strategico che non tenga conto del realismo geopolitico. Limitarsi allora ad affermare che è solo “Kiev che deve decidere”, benché sia comprensibile e giustificabile dal punto di vista morale (soprattutto tenendo conto che gli ucraini difendono la loro terra - perché è indubbiamente terra ucraina, non certo russa, quella che gli ucraini difendono - con una tenacia e uno spirito di sacrificio non comuni) significa poco sotto il profilo geopolitico dato che le chiavi strategiche del conflitto russo-ucraino di fatto le possiedono i russi e gli americani. 

In altri termini, pur riconoscendo che è necessario frustrare le ambizioni imperiali o, se si preferisce, imperialistiche della Russia di Putin e quindi che si deve aiutare l'esercito di Kiev a respingere l'attacco dell'esercito russo, non è chiaro che significhi che si deve aiutare Kiev “finché sarà necessario”. Vale a dire che sono proprio dei Paesi europei (in particolare la Francia, la Spagna, l’Italia e la Germania) che dovrebbero adoperarsi perché venga tracciata una sorta di “linea rossa”***, contando pure sul fatto che l’America non può permettere che si crei una spaccatura all’interno della Nato. Si dovrebbe allora precisare fino a che punto è necessario aiutare (militarmente) l’Ucraina affinché possa respingere l'attacco russo (sempre che sia davvero questo lo scopo che l’Occidente atlantista vuole perseguire) e di conseguenza “vincolare” l’aiuto militare all’Ucraina al raggiungimento di scopi politici “razionali” (lasciando quindi che la questione del regime di Putin sia risolta dai russi) ovverosia tali da non mettere a repentaglio la sicurezza e gli interessi vitali dell’Europa (che non sono diversi da quelli dell’Ucraina se quest’ultima deve essere parte dell’Ue).

In definitiva, pure la legittima difesa, per quanto possa essere giusta e necessaria, non può superare certi “limiti” (d'altra parte non si può non considerare che vi è anche una minoranza filorussa in Ucraina  e in specie nel Donbas) anche e soprattutto perché è ormai palese che il pericolo che si corre è che sia l’America che la Russia “si spingano così avanti” che non possano più fare un passo indietro senza subire conseguenze disastrose e allora potrebbe non essere più la razionalità politica a guidare il loro agire strategico. In pratica (meglio precisarlo, onde evitare equivoci) occorrerebbe, anche a costo di scegliere una strategia più "energica" per quanto concerne gli aiuti militari all'Ucraina, cercare di arrivare ad una situazione il più possibile favorevole all'Ucraina sotto il profilo politico-strategico nel più breve tempo possibile, distinguendo nettamente tra sconfitta delle ambizioni imperiali di Putin e riconquista di tutto il Donbas e della Crimea o addirittura disgregazione della Federazione Russa.


*Ad esempio, nonostante che non si debba confondere la critica della prepotenza dell'Occidente atlantista con l'antiamericanismo da “fiera paesana”, che l’America pretenda di essere giocatore e arbitro al tempo stesso della politica e (di conseguenza) dell’economia mondiale è sufficiente conoscere la storia dell’America Latina per comprenderlo. Del resto, è indubbio che se ci fosse un Tribunale Penale Internazionale imparziale sul banco degli imputati non dovrebbero sedere solo russi, siriani o iraniani ma americani, francesi, israeliani, turchi, sauditi, birmani e via dicendo. 

**Sulla questione della criminalità organizzata si vedano M. Galeotti, A. Arutunyan, “Rebellion As Racket. Crime And The Donbas Conflict, 2014-2022”, Global Iniatiative. Against Transnational Organized Crime (GIATOC), luglio 2022, e “New Front Lines. Organized Criminal Economies in Ukraine in 2022”, GIATOC, febbraio 2023.  Per quanto concerne  la questione dei gruppi di estrema destra si vedano V. Likhachev, “The Far Right in the Conflict between Russia and Ukraine”, Russia/NEI Center, luglio 2016, e M. Colborne (Gruppo Bellingcat), “From The Fires Of War: Ukraine's Azov Movement And The Global Far Right”, Ibidem Press, marzo 2022. Comunque è degno di nota che anche in Russia vi siano dei gruppi neonazisti come ad esempio il Gruppo Rusich che combatte insieme con il Gruppo Wagner (su quest’ultimo e i “legami” tra apparati dello Stato russo e criminalità organizzata si veda J. Stanyard, T. Vircoulon, J. Rademeyer, “The Grey Zone. Russia’s military, mercenary and criminal engagement in Africa”, GIATOC, febbraio 2023).

*** Al riguardo di notevole interesse, anche se opinabile sotto alcuni aspetti, è lo studio di S. Charap, M. Priebe, “Avoiding a Long War” (pubblicato sul sito della Rand Corporation) secondo cui ben difficilmente l’Ucraina può ottenere una “vittoria totale” contro la Russia e viceversa (si veda il mio articolo “Un anno di guerra” pubblicato su questo blog) e in ogni caso una guerra lunga può solo danneggiare gli interessi dell’America (ma si deve aggiungere che a maggior ragione danneggerebbe gli interessi dell’Europa occidentale). Secondo Charap, dunque ci si dovrebbe impegnare per arrivare ad una soluzione politica del conflitto russo-ucraino in un tempo ragionevolmente breve (ossia entro la fine di quest'anno).  



venerdì 3 marzo 2023

UN VASO DI COCCIO TRA VASI DI FERRO

Non è certo difficile criticare l'America perché mira a ridefinire i rapporti con l'Ue badando a difendere in primo luogo i propri interessi economici e geopolitici anziché quelli dell'Europa (ma in un certo senso si tratta della "scoperta dell'acqua calda"). Né è difficile immaginare che la situazione per l'Europa potrebbe pure peggiorare se la tensione tra gli Stati Uniti e la Cina dovesse continuare a salire.

Nondimeno, gli europei dovrebbero criticare soprattutto sé stessi (del resto è noto che un vincolo esterno dipende da un vincolo interno) per avere creato una Unione competitiva europea e avere creduto che una moneta comune senza uno Stato potesse dar vita ad una vera Unione (geo)politica europea e che ciascun Paese europeo, difendendo il proprio interesse anche a scapito degli interessi degli altri Paesi europei, potesse contribuire a trasformare l'Ue in un attore geopolitico.

Non dovrebbe stupire quindi che adesso un'Europa "imbelle" (e soprattutto la Germania, che ora paga il costo della sua miopia strategica, tanto che attualmente il suo ruolo sulla scacchiera geopolitica è perfino inferiore a quello della Polonia o della Gran Bretagna) si trovi a partecipare ad un "gioco geopolitico" in cui conta poco o nulla.

In altri termini, adesso l’Europa "paga" le conseguenze di una ottusa concezione economicistica e non saranno certo le marce per la pace a creare le condizioni perché vi sia la pace. Peraltro, non si può nemmeno escludere che non solo il fallimento americano in Afghanistan ma la stessa debolezza militare dell'Europa abbia, perlomeno in qualche misura, indotto Mosca a ritenere che fosse possibile risolvere la questione ucraina con le armi, senza che la Nato potesse aiutare in modo significativo l'esercito ucraino, mentre in realtà la scellerata decisione di Mosca di invadere l’Ucraina per insediare un governo filorusso a Kiev ha solo rafforzato la Nato nonché la stessa egemonia dell’America sull’Europa e in particolare sull’Europa occidentale*.

D’altronde, chi scrive ha sempre evidenziato la tracotanza atlantista e pure le "ragioni geopolitiche" della Russia, ma secondo una prospettiva geopolitica e politico-culturale ben diversa da quella della Russia di Putin (sempre più simile ad una caserma o ad una prigione), la cui prepotenza non è certo inferiore a quella dell’America di George W. Bush, dacché non si può giustificare - sempre che non si voglia ripetere a pappagallo l'insulsa e grottesca propaganda di Mosca, come fanno i "nostri putiniani" - il modo in cui il Cremlino intende far  valere le "ragioni geopolitiche" della Russia o, meglio, quelle che secondo il Cremlino sarebbero le "ragioni geopolitiche" della Russia  nei confronti dell'Ucraina, che per il Cremlino evidentemente  ha il diritto di esistere solo come parte della “Grande Russia”.

Del resto, se è vero che la Russia ormai è una sorta di "junior partner" della Cina (il cui ruolo geopolitico è sempre maggiore come pure la sua spesa militare) e in certo senso pure dell'India, giacché la Russia di Putin è una superpotenza nucleare ma con un'economia simile all'economia di un Paese del cosiddetto "terzo mondo", al punto che sotto il profilo tecnologico dipende quasi del tutto dall'estero, è pure vero che il multipolarismo ha il "vento in poppa", anche se gli euro-atlantisti continuano a scambiare il mondo occidentale per il mondo. (Si badi però che una "fase multipolare" non è affatto sinonimo di un'età di pace. D'altra parte non è neppure chiaro quale sia il ruolo geopolitico che la Cina intende svolgere sulla scacchiera geopolitica, anche se finora ha puntato soprattutto sul commercio; al riguardo basta pensare alla "spinosa" questione di Taiwan nonché alla posizione della Cina per quanto concerne la guerra russo-ucraina).

Comunque sia, è chiaro che le "chiavi strategiche" della guerra russo-ucraina sono possedute dalla Russia e dall'America (dato che è evidente che la difesa dell'Ucraina dipende soprattutto dagli aiuti americani, nonostante che si debba riconoscere che la stragrande maggioranza degli ucraini è decisa a battersi con valore e a compiere qualsiasi sacrificio pur di difendere la propria terra e la propria indipendenza), non certo dall’Ue, che sotto il profilo geopolitico sembra un vaso di coccio tra vasi di ferro.

*Si noti che un'analisi non si deve basare su ciò che è "meramente" possibile, ma su ciò che è possibile tenendo conto della realtà. Naturalmente, se quest'ultima cambia allora cambiano anche gli scenari possibili.