martedì 31 ottobre 2023

UN CAOS "MULTIPOLARE"

Non vi è dubbio che vi siano degli ipocriti (inclusi dei sedicenti pacifisti) che cercano di sminuire la gravità dell'orrenda strage del 7 ottobre scorso, nonché del sequestro di civili innocenti, mescolando il vero e il falso, e che di fatto parteggiano per Hamas, il cui scopo non è quello di indurre Israele a risolvere politicamente la questione palestinese bensì quello di distruggere Israele ovvero di condurre una "guerra santa" (jihad) contro Israele.

Tuttavia, è anche vero che è assurdo giustificare il bombardamento di Gaza sostenendo che Israele ha il diritto di bombardare Gaza come gli angloamericani avevano il diritto di bombardare le città della Germania nazista.

Indipendentemente da quel che si può pensare del bombardamento di Dresda del 13-15 febbraio 1945 o di quello di Pforzheim del 23 febbraio  1945 (che causò la morte di circa 17.600 persone ossia del 30%  della popolazione di Pforzheim), il paragone tra la Germania nazista e una organizzazione paramilitare nazi-islamista come Hamas ovviamente "non regge" non solo sotto il profilo politico-strategico e militare ma anche sotto il profilo storico.

Nettamente diverso è infatti il contesto storico, dato che il conflitto israelo-palestinese e le sue cause non hanno nulla a che fare con la Seconda guerra mondiale e le sue cause, e nettamente diverso è il pericolo che Hamas rappresenta sia per Israele (o per gli ebrei) che per il mondo.* 

Nella guerra contro la Germania nazista obiettivo militare e scopo strategico erano perfettamente coincidenti e non vi era quindi la necessità di agire in modo tale che non divergessero, il che praticamente permise di dare carta bianca ai militari. Non a caso  la divergenza tra obiettivo militare e scopo politico si può considerare la principale ragione del fallimento politico-strategico degli Usa in Vietnam, in Iraq e in Afghanistan (e per la stessa ragione l'America o, se si preferisce, l'Occidente corre il rischio di un altro fallimento politico-strategico in Ucraina). 

Ma si tratta di una lezione che Israele sembra ignorare, anche se si deve riconoscere che Israele ha non solo il diritto ma il dovere di sconfiggere Hamas (ad una azione di guerra contro uno Stato, quest'ultimo non può non reagire con azioni di guerra, altrimenti viene meno la ragion d'essere dello Stato stesso).

D'altronde. è evidente non solo che politici come Netanyahu e Ben-Gvir sono i meno "adatti" a guidare Israele in questa guerra ma che l'attuale governo israeliano non ha nessuna strategia politica per risolvere, se e quando Hamas sarà sconfitto, la questione di Gaza o quella palestinese, tanto più che Hamas ha messo salde radici anche in Cisgiordania.

Ma è pure evidente che ormai ha poco senso parlare di diritto internazionale e a maggior ragione di ordine mondiale (casomai si dovrebbe parlare di caos globale o di caos multipolare) e che l'insipienza politico-strategica dell'Occidente neoliberale fa soltanto il gioco dei nemici non solo dell'Occidente neoliberale ma della stessa civiltà europeo-occidentale (democrazia inclusa naturalmente),** che solo gli stolti possono ritenere che "coincida" con l'Occidente neoliberale.

*A tale proposito si veda anche https://www.haaretz.com/israel-news/2023-10-31/ty-article/.premium/why-israel-should-not-compare-hamas-to-the-nazis/0000018b-8692-d055-afbf-b6b34f9e0000?fbclid=IwAR07KvN1boIDXfvBovIJqFq6m4eArRQ8_YW16J07Ye6jC0J9vACGSf6hxR8.

**Si corre quindi anche il pericolo che aumenti l'aggressività (peraltro già assai elevata) non solo dell'Iran ma anche della Russia e della Cina nei confronti dell'America (il cui declino, si badi, è solo relativo) e dei suoi alleati. D'altronde, non si può nemmeno escludere che l'azione di Hamas del 7 ottobre scorso mirasse anche a scatenare una "reazione a catena" per destabilizzare lo stesso mondo occidentale. 

domenica 22 ottobre 2023

DALLA PARTE DELLE VITTIME E DELLA RAGIONE

Tra i tanti se e i tanti ma che è necessario non dimenticare allorché si tratta del conflitto israelo-palestinese vi è pure la questione del rapporto tra Israele e l'America, perché criticare la politica di Israele in Cisgiordania ma evitare di fermarla quando se ne ha la possibilità (dato che Israele non può fare a meno degli aiuti dell'America), è solo ipocrisia o, nel migliore dei casi, incapacità di decidere, dato che si può ritenere che non tutti i politici americani che criticano la colonizzazione/annessione della Cisgiordania da parte di Israele non siano sinceri.

D'altronde, è innegabile che in Cisgiordania gli aggressori siano gli israeliani e gli aggrediti siano i palestinesi. Certo nemmeno il conflitto israelo-palestinese è un conflitto tra "buoni" e "cattivi". Nondimeno, è innegabile che la colonizzazione/annessione della Cisgiordania non abbia nulla a che fare con il diritto di Israele di difendersi (l'occupazione militare della Cisgiordania che dura dalla Guerra dei Sei Giorni è un problema diverso e in ogni caso ai militari si può sempre ordinare di ritirarsi). Gli eccessi ci sono (anche assai gravi), ma ci sono da entrambe le parti, anche se non risolvono nulla, anzi peggiorano solo la situazione.

Una questione diversa comunque è quella di Gaza. Non è infatti "resistenza" quella di Hamas e della Jihad islamica. Ed è ovvio che, dopo l'orribile strage di innocenti del 7 ottobre scorso, Israele cerchi di infliggere una sconfitta decisiva ad Hamas e alla Jihad islamica.* È proprio Hamas, del resto, che ha voluto mettere Israele nella condizione di non potere non reagire (che il 7 ottobre scorso lo scopo di Hamas fosse anche impedire l'accordo tra Israele e l'Arabia Saudita è più che probabile, ma verosimilmente lo scopo politico di Hamas è soprattutto scatenare una "guerra santa" di tutto il mondo musulmano contro Israele e i suoi alleati). 

Tuttavia, neppure quanto è accaduto il 7 ottobre scorso può giustificare un'altra strage di innocenti. I bambini di Gaza non sono meno innocenti dei bambini israeliani.  D'altra parte, è lo stesso conflitto israelo-palestinese ad insegnare che il terrorismo lo si deve combattere usando il "bisturi" anziché l'accetta, tanto più se si considera che Hamas e la Jihad islamica hanno dimostrato di essere capaci di strumentalizzare la disperazione e la rabbia di tanti giovani palestinesi, che ritengono che ormai non abbiano più nulla da perdere.

Pertanto, l'operazione militare che adesso l'IDF sta compiendo a Gaza rischia di moltiplicare i nemici di Israele.** Certo, se Israele adesso si dimostrasse debole, ben difficilmente si potrebbe evitare un "allargamento" del conflitto, ma vale pure l'opposto, ossia anche una reazione sproporzionata di Israele rischia di allargare il conflitto coinvolgendo Hezbollah e perfino l'Iran.

In definitiva, ad Israele - che non deve essere confuso con l'attuale  governo di Israele (indubbiamente il peggiore e più pericoloso di tutta la storia dello Stato di Israele) - non mancano certamente le risorse  materiali, morali e intellettuali per sconfiggere Hamas e la Jihad islamica secondo una prospettiva realistica, ma se dovesse lasciarsi "guidare" dal risentimento e dallo spirito di vendetta o dall'estremismo degli ultranazionalisti ortodossi non farebbe altro che il "gioco" dei suoi peggiori nemici.***

*Ciò nonostante, come ho già scritto in un altro articolo, non si può escludere che vi siano dei membri di Hamas che hanno idee diverse perfino sulla questione dello Stato di Israele ovvero siano disposti a riconoscere lo Stato di Israele. 

**Secondo T. L. Friedman "if Israel rushes headlong into Gaza now to destroy Hamas — and does so without expressing a clear commitment to seek a two-state solution with the Palestinian Authority and end Jewish settlements deep in the West Bank — it will be making a grave mistake that will be devastating for Israeli interests and American interests" (T. L. Friedman, Israel is About to Make a Terrible Mistake, "New York Times", 19/10/2023 https://www.nytimes.com/2023/10/19/opinion/biden-speech-israel-gaza.html).

*** Si veda anche Adam Shatz,  Vengeful Pathologies, "London Review of Books", Vol. 45 No. 21 · 2 November 2023  https://www.lrb.co.uk/the-paper/v45/n21/adam-shatz/vengeful-pathologies?fbclid=IwAR0xNAHJ2LZpINW_eySTYiJzFJ_1md0d6nug2wVkRex8rapXUuXDlbAlYbw Si può essere d'accordo o no con Shatz ma certo è necessario conoscere il contesto storico per capire perché può accadere l'orrore e soprattutto per impedire che accada l'orrore, non certo per giustificare l'orrore, che solo dei "devastati mentali" possono giustificare (per ragioni che poco o nulla hanno a che fare con la causa palestinese né con un ordine mondiale più giusto e rispettoso dei diritti dei popoli).

venerdì 20 ottobre 2023

UNA "GRANDE GUERRA"?

Siamo già nella Terza guerra mondiale? No, per fortuna. Tuttavia, dovrebbe essere chiaro a chiunque che siamo in un contesto bellico globale, caratterizzato dal conflitto tra un polo geopolitico atlantico egemonizzato dagli Stati Uniti e un polo geopolitico costituito da diverse potenze anti-egemoniche (ma che vede comunque la Cina in posizione dominante), e dalla presenza di diversi attori geopolitici regionali (sia pure di varia potenza militare ed economica), che cercano di sfruttare la crisi di egemonia dell'America per ampliare la propria sfera di influenza, mantenendo però rapporti (economici e/o militari) con entrambi i poli geopolitici in lotta sempre più aspra tra di loro.

In questo contesto il multipolarismo si configura inevitabilmente come una lotta per l'egemonia (a livello globale e regionale) che, ovviamente, ha ben poco a che fare con la creazione di un nuovo ordine mondiale incentrato sulla cooperazione internazionale, nonostante una certa retorica che (sotto vari aspetti e non a caso) ricorda quella delle cosiddette potenze have nots (ossia Germania, Giappone e Italia) della prima metà del secolo scorso.  

Anche allora, infatti, la crisi della potenza egemone, ossia l'impero britannico, creò le condizioni per la formazione di un multipolarismo che scatenò gli appetiti di potenze anti-egemoniche con conseguenze disastrose per l'intera umanità. 

La storia quindi in un certo senso si ripete ma in tragedia non in farsa  e si deve prendere atto che anche in questa prima metà del secolo la crisi della potenza egemone ovvero il suo declino "relativo" ha portato alla nascita di un multipolarismo ben diverso da quello che fino a qualche anno fa sembrava possibile e che, favorendo la crescita di un'autonomia strategica dell'Europa, avrebbe dovuto essere contraddistinto dalla presenza di un'Europa capace di "mediare" tra Occidente e Oriente e tra Nord e Sud del mondo.

Il rischio di una nuova "grande guerra" è pertanto alto e non saranno i pacifisti, veri o finti che siano, a poterla evitare. 

Solo il fatto che una "grande guerra" non convenga a nessuno può ancora evitare il peggio, anche se ormai il mondo sembra premiare soprattutto coloro che scambiano la propria immagine fasulla della realtà per la realtà.

lunedì 16 ottobre 2023

UNA GIUSTA MISURA

Chi avesse dubbi sul pericolo per la democrazia che rappresenta l'attuale destra italiana, dovrebbe leggere gli articoli pubblicati sui giornali di destra su quanto sta accadendo a Gaza. Del resto, pure dei politici di destra giustificano stermino. Si confonde così la necessità di infliggere una sconfitta decisiva ad Hamas con la barbarie.

Nondimeno, è ovvio che ci si debba chiedere come "debellare" Hamas. Non è soltanto una questione che concerne il diritto umanitario ma anche una questione politica e perfino militare, giacché è indubbio che il blocco di Gaza e le diverse operazioni militari contro Hamas compiute da Israele in questi ultimi anni (Piombo Fuso ecc.) hanno causato numerosi lutti e sofferenze alla popolazione di Gaza ma non hanno indebolito Hamas, che anzi il 7 ottobre scorso ha dimostrato di non essere una banda di miliziani inetti, bensì una temibile ed efficiente organizzazione militare.

Sopraffare in brevissimo tempo le difese israeliane non era infatti facile, anche se i miliziani di Hamas non si sono limitati a colpire obiettivi militari, ma hanno compiuto una orrenda strage di civili, che non rappresentavano alcuna minaccia  per Hamas.

D'altra parte, è innegabile che una occupazione militare di Gaza (ammesso che sia possibile) non solo porrebbe enormi problemi politici ma rischierebbe di essere una trappola strategica per Israele, tanto più che il governo  di Netanyahu - che nei mesi scorsi ha addirittura "spaccato" la stessa società israeliana e conta tra i suoi membri dei politici ultranazionalisti ortodossi, palesemente illiberali e razzisti - sembra disposto ad usare indiscriminatamente la forza (in un'area urbana in cui vivono oltre due milioni di palestinesi), anche per cercare di fare dimenticare la propria responsabilità di quanto è accaduto lo scorso 7 ottobre nonché la sua fallimentare strategia politica riguardo alla questione palestinese.  

In questo contesto (considerando anche che Netanyahu ha allargato la coalizione di governo al rivale Gantz) ci si deve quindi augurare (anche se rebus sic stantibus non si può certo essere ottimisti) che il conflitto non si estenda, coinvolgendo Hezbollah o addirittura l'Iran, ma anche che Israele sappia usare la propria punta distruttiva in modo "razionale", senza dimenticare cioè non solo che un conto è vincere una battaglia e un altro vincere una guerra, ma che pure vincere una guerra non necessariamente significa vincere la pace.*  

*PS. Si badi che l'intera Striscia di Gaza non è solo una prigione a cielo aperto ma anche una sorta di grande base militare, ragion per cui un'operazione militare come quella che Israele sta conducendo nella Striscia di Gaza non può non causare innumerevoli vittime civili. Ci si dovrebbe chiedere, dunque, se davvero sia questo l'unico modo di debellare Hamas, tanto più che Hamas gode ancora di un notevole consenso tra i palestinesi. Insomma, anche senza considerare il rischio di una catastrofe umanitaria, pare ovvio che sarebbe necessaria una strategia politica per infliggere una sconfitta decisiva ad Hamas, mentre da molti anni Israele per combattere il terrorismo palestinese punta solo su una strategia meramente militare, che ha reso sempre più difficile non solo giungere ad una soluzione politica della questione palestinese ma anche (di conseguenza) riuscire ad infliggere una sconfitta decisiva ad Hamas. 

sabato 14 ottobre 2023

VITTIME

Il 7 ottobre scorso è  crollata come un castello di carte la politica dei governi israeliani di questi ultimi lustri  e in particolare quella di Netanyahu (che si potrebbe sintetizzare così: "voi a Gaza fate quel che vi pare, mentre noi in Cisgiordania facciamo quel che ci pare"). Giocare, ancora una volta, la "carta" di Hamas contro l'ANP, delegittimandola e umiliandola (certo con la "complicità" dei dirigenti stessi, corrotti e inetti, dell'ANP), in modo da rendere sempre più difficile la nascita di uno Stato palestinese, si è quindi rivelata, com'era prevedibile, una strategia disastrosa (non si dovrebbe nemmeno dimenticare che il "blocco" di Gaza e le diverse operazioni militari israeliane effettuate dopo che Hamas aveva preso il potere a Gaza, non hanno indebolito Hamas, anche se hanno causato numerosi lutti e sofferenze ai gazesi, metà dei quali è costituita da minori).

Comunque sia, sembra ormai imminente una operazione militare di terra dell'IDF per "eliminare" Hamas (nonché la Jihad islamica) da Gaza. Del resto adesso nessuno può fermare Israele, che, comunque la si pensi, non può più permettere o tollerare che Gaza sia sotto il controllo di Hamas.

Nondimeno, un'operazione militare di terra a Gaza non è affatto facile sia perché Hamas e la Jihad islamica conoscono assai bene il terreno in cui si dovrà combattere, sia perché combattere in un'area urbana è sempre assai rischioso per chi attacca, tanto più se si considerano la densità di popolazione della Striscia di Gaza e i numerosi ostaggi, civili  e militari, che sono nelle mani dei terroristi palestinesi. Peraltro, è facile immaginare che Hamas e la Jihad islamica useranno pure i civili palestinesi come scudi umani. Il rischio quindi è che un'operazione militare di terra, se condotta male, possa causare una "catastrofe umanitaria".*

D’altronde, la sfida che Israele deve affrontare non è solo militare ma anche e soprattutto politica. Degno di nota, al riguardo, è che Amos Yadlin, ex capo dell'intelligence militare israeliana, ha dichiarato che "Israel sought to remove Hamas from Gaza, then transfer the territory to the Palestinian Authority, or another Arab entity, but that it would retain its right to still counter Palestinian militant buildup there, as it does in the West Bank".**

Tuttavia, né l'Egitto né altri Paesi arabi sembrano disposti ad assumersi la responsabilità di governare Gaza. Ed è chiaro che l'ANP non potrebbe accettare di governare Gaza per conto degli israeliani senza autodistruggersi. D’altra parte, la questione di Hamas è distinta da quella palestinese, benché sia “parte” di quest'ultima. Anche ammesso quindi che Israele riesca ad "eliminare" del tutto Hamas da Gaza (che però non è presente solo a Gaza), di per sé questo non risolverebbe la questione palestinese e, di conseguenza, nemmeno quella della "resistenza  palestinese" (terrorismo incluso).*** 

Sotto il profilo politico-strategico (che è sempre quello decisivo) una operazione militare per debellare Hamas pertanto avrebbe senso se Israele fosse disposto a "cambiare politica" non solo a Gaza ma pure in Cisgiordania. Certo, adesso i tempi non sono maturi per la nascita di uno Stato palestinese (benché - ed è triste ricordarlo - questo fosse possibile alla fine del secolo scorso). Gli israeliani, infatti, sostengono che se si ritirassero dalla West Bank sarebbe inevitabile che la Cisgiordania diventasse un "nuovo regno" di Hamas. Può darsi che gli israeliani abbiano ragione, ma un conto è la colonizzazione/annessione di Gerusalemme Est e della Cisgiordania, un altro un'occupazione militare "temporanea" della Cisgiordania (ai militari si può sempre ordinare di ritirarsi). 

In altri termini, non vi è una soluzione "meramente" militare della questione palestinese, mentre si può ritenere che sia proprio la colonizzazione/annessione di Gerusalemme Est e della Cisgiordania il maggiore ostacolo che si deve superare per giungere ad una soluzione (politica) della questione palestinese, sebbene si debba riconoscere che la possibilità di mettere fine al conflitto israelo-palestinese dipende non solo da Israele ma anche, ovviamente, dai palestinesi.


*Si badi che nella battaglia (combattuta dall'ottobre 2016 fino al luglio 2017) per conquistare Mosul, che contava un milione circa di abitanti, l'ISIS fu distrutto ma le vittime civili furono circa 11.000 (ossia circa l'1% della popolazione di Mosul). Non si può escludere quindi che un'operazione militare di terra a Gaza (in cui già si contano numerose vittime civili) potrebbe causare un numero perfino maggiore di vittime civili, anche nel caso che l'IDF cercasse di rispettare (come dovrebbe) il diritto internazionale umanitario. Si deve comunque temere il peggio non solo per gli ostaggi ma anche per la popolazione civile di Gaza, tenendo conto sia dell'odio che l'orrenda strage di civili israeliani (un vero e proprio pogrom) ha scatenato nei confronti dei palestinesi (come se fossero tutti terroristi) sia del "peso politico" che in questi ultimi anni hanno acquisito gli estremisti nazionalisti israeliani, come Ben-Gvir, l'attuale ministro israeliano per la Sicurezza Nazionale, che non è affatto meno fanatico dei capi di Hamas.

**Si veda Israel says it will end Hamas rule in Gaza as casualties soar, "Washington Post", 12/10/2023.

***A tale proposito si veda Nicholas Kristof, What Does Destroying Gaza Solve?, "New York Times", 14/10/2023.


domenica 8 ottobre 2023

IL "GIORNO NERO" DI ISRAELE

Chi scrive ha già espresso e motivato il suo giudizio sul conflitto israelo-palestinese nel libro Le guerre d'Israele e il nomos della terra, che non si può certo sintetizzare scrivendo un breve articolo.

Ci sarà comunque tempo per capire quali saranno le conseguenze di questo blitz di Hamas, che indubbiamente ha inferto un colpo terribile al prestigio dell'esercito israeliano, colto nettamente di sorpresa come il 6 ottobre 1973 (ossia il giorno che cominciò la Guerra dello Yom Kippur).

Comunque sia, solo chi ha la testa gonfia di ideologia maleolente o usa la bandiera palestinese per coprire un vergognoso  antisemitismo può giustificare una strage di civili  (si ritiene che centinaia di civili inermi siano stati massacrati ieri dai miliziani di Hamas e che molti altri civili siano stati presi come ostaggi) e credere che la "politica criminale" di Hamas possa giovare alla causa palestinese.

Non si dovrebbe, del resto, dimenticare che negli anni Novanta del secolo scorso, ossia dopo la prima Intifada, sembrava che finalmente fosse possibile una coesistenza pacifica tra i due popoli.

Arafat però commise allora il disastroso errore di rifiutare il piano di pace israeliano e americano, che garantiva ai palestinesi di vivere in uno Stato palestinese con capitale Gerusalemme Est (non era tutto quel che i palestinesi chiedevano, ma era l'unica soluzione possibile dopo la Guerra dei Sei Giorni che aveva cambiato per sempre il volto geopolitico del Medio Oriente), preferendo (di fatto) schierarsi dalla parte di Hamas, che insieme alla Jihad islamica scatenò una serie di attacchi terroristici contro gli  israeliani, mettendo così fine ad ogni processo di pace.

Da allora i palestinesi hanno sempre più perso terreno (in senso proprio e figurato), anche se Hamas ha preso il controllo di Gaza, scacciando con la forza l'Anp (ovverosia dopo lo scontro con Fatah), che ormai non conta quasi più nulla, mentre i coloni israeliani adesso sono circa mezzo milione (cui si devono aggiungere 300.000 israeliani che vivono a Gerusalemme Est). E gli scontri tra coloni (appoggiati dall'esercito israeliano) e palestinesi sono sempre più frequenti. (Perfino la questione dell'acqua caratterizza il conflitto israeliano-palestinese, dato che la maggior parte dell'acqua della Cisgiordania, in cui il tasso di povertà e disoccupazione giovanile è altissimo, è consumata dagli israeliani; del resto secondo le Nazioni Unite anche a Gaza - in cui Hamas spadroneggia insieme con la Jihad islamica - il 95% della popolazione non ha accesso regolare all'acqua potabile e otto abitanti su dieci vivono in condizioni di povertà).

Dovrebbe essere ovvio, pertanto, che una organizzazione come Hamas non può che rafforzare l'estremismo nazionalista israeliano (che è enormemente cresciuto negli ultimi lustri) e di conseguenza peggiorare la condizione del popolo palestinese e rendere sempre più difficile difendere la causa palestinese.*

In definitiva, la stessa condanna della colonizzazione/annessione della Cisgiordania da parte degli israeliani ha senso solo se si riconosce il diritto di Israele di esistere.

È significativo che anche in Israele vi sia chi critica apertamente Netanyahu per avere favorito Hamas (nonostante il "blocco" e i numerosi bombardamenti di Gaza) al fine di indebolire sempre più l'Anp e impedire la nascita di uno Stato palestinese:  "For years, the various governments led by Benjamin Netanyahu took an approach that divided power between the Gaza Strip and the West Bank — bringing Palestinian Authority President Mahmoud Abbas to his knees while making moves that propped up the Hamas terror group. The idea was to prevent Abbas — or anyone else in the Palestinian Authority’s West Bank government — from advancing toward the establishment of a Palestinian state" https://www.timesofisrael.com/for-years-netanyahu-propped-up-hamas-now-its-blown-up-in-our-faces/.

POST SCRIPTUM

Era prevedibile che l'occupazione militare e soprattutto la colonizzazione/annessione della Cisgiordania da parte degli israeliani avrebbe favorito il terrorismo palestinese. Non è questo in discussione, come non è in discussione che la politica di Israele dopo la Seconda Intifada abbia contribuito a creare le condizioni perché non fosse più possibile la nascita di uno Stato palestinese. 

Pertanto, solo una destra rozza, ignorante e insipiente può affermare che chi critica la politica di prepotenza Israele è "amico di Hamas", anche se gli "amici di Hamas" ci sono e in particolare sono quelli (inclusi "intellettuali" che sproloquiano su tutto) che, in pratica, ritengono responsabili di questo orribile massacro gli israeliani e naturalmente gli "amerikani" (al punto che riescono a strumentalizzare perfino questa strage per fare l'apologia della Russia, della Cina o dell'Iran). Non a caso identificare la causa del popolo palestinese con la politica criminale di Hamas  è ciò che hanno in comune gli estremisti nazionalisti israeliani e gli "amici di Hamas".

Comunque sia, Hamas, che è una organizzazione nazionalista e islamista, non è l'Olp con cui si poteva e doveva trattare. Lo scopo politico di Hamas, infatti, non è mai stato (solo) quello di difendere i diritti dei palestinesi bensì la distruzione dello Stato di Israele (che Teheran non a caso definisce "entità sionista"). Ovviamente è un obiettivo che Hamas sa che è pressoché impossibile raggiungere, ma anche se non si può escludere che vi siano dei membri di Hamas che hanno idee diverse perfino sulla questione dello Stato di Israele, per Hamas e la Jihad islamica la guerra contro Israele è (anche) una "guerra santa" e quindi in un certo senso è essa stessa lo scopo politico di Hamas e della Jihad islamica. 

Dovrebbe essere scontato  comunque che riconoscere il diritto di Israele di esistere e difendersi non equivale a giustificare la politica di prepotenza di Israele (basti pensare alla questione della colonizzazione/annessione della Cisgiordania). Mai come ora sarebbe necessario che l'America (che è l'unico Paese che Israele "ascolta") facesse pressione su Israele perché rispetti il diritto umanitario (nei limiti del possibile, s'intende, dato che è scontato che una operazione militare, soprattutto di terra, in un'aerea densamente popolata causi anche numerose vittime civili), giacché nemmeno la ferocia di Hamas può giustificare un massacro di civili palestinesi (anche se si deve tenere presente che Hamas, come la Jihad islamica, nasconde le rampe dei missili tra le abitazioni civili, che usa pure per nascondere armi e munizioni),* tanto più che, anche senza considerare la spinosa questione degli ostaggi nelle mani di Hamas, in un'ottica realistica dovrebbe essere evidente non solo che Hamas (indipendentemente dal consenso di cui può godere)** di fatto è un nemico della causa del popolo palestinese ma che la politica di prepotenza di Israele non può non rivolgersi anche contro lo stesso Israele.

Insomma, tenere conto del contesto storico è sempre necessario, a patto che non significhi giustificare la barbarie, perché con la scusa di tener conto del contesto storico si sono giustificati tutti gli orrori del Novecento.

* Peraltro, la situazione nella striscia di Gaza è già drammatica, dato che Israele ha tagliato l'elettricità e l'acqua e interrotto la fornitura di carburante e cibo. Inoltre, il bombardamento aereo ha già causato molte vittime e non c'è alcun posto sicuro in cui i civili possano recarsi. 

** Si ricordi comunque che da quando Hamas vinse le elezioni (ossia nel 2006) non ci sono più state elezioni politiche a Gaza.

sabato 7 ottobre 2023

WISHFUL THINKING

Solo i cosiddetti "risikisti" possono pensare che i difficili problemi (geo)politici, sociali, economici e perfino culturali dell'Europa possa risolverli un attore (geo)politico non europeo. 

D'altronde, è noto che il termine Europa non designa alcun autentico "soggetto (geo)politico". In particolare l'Europa baltica e l'Europa orientale sono nettamente diverse sotto il profilo geopolitico dai principali Paesi dell'Europa occidentale (ossia Germania, Francia, Italia  e Spagna).  

In altri termini, contrariamente a quel che pensano coloro che fanno l'apologia di un antiamericanismo da fiera paesana (da distinguere da una critica necessaria ma rigorosa e obiettiva dell'atlantismo), attualmente non conta tanto la differenza tra l'Europa e l'America quanto piuttosto la differenza tra le diverse "Europe", ad ulteriore conferma che un "vincolo esterno" presuppone un "vincolo interno" (anche se l'America può strumentalizzare questa differenza e, di fatto, la strumentalizza).

Pertanto, chi si augura che l'Ucraina "crolli" ovvero un fallimento politico-militare della Nato in Ucraina (che non si deve confondere con la necessità di arrivare ad un cessate il fuoco o, come si afferma, di "congelare" il conflitto russo-ucraino il prima possibile)*, perché solo così l'Europa potrebbe "smarcarsi" dall'egemonia dell'America, è ovvio che scambia lucciole per lanterne.

Infatti, se l'Ucraina dovesse "crollare", non vi è dubbio (anche senza prendere in considerazione quale potrebbe essere la reazione dell'America, dato che sarebbe in gioco l'esistenza stessa della Nato) che la tensione tra l'Europa "russofoba" (Gran Bretagna e Olanda incluse) e la Russia salirebbe alle stelle, destabilizzando il Vecchio Continente o, meglio, trasformandolo in un campo di battaglia anche nel caso che non si arrivasse ad una "guerra guerreggiata" contro la Russia. 

In sostanza, l'Europa non potrà smarcarsi dagli Usa, finché non ci sarà "una Europa" ovverosia i problemi dell'Europa possono risolverli solo gli europei. Certo, è lecito ritenere che attualmente in Europa non vi siano né la volontà politica né la capacità di risolverli ma, se si è obiettivi, si dovrebbe riconoscere che oggi è proprio questo il problema principale dell'Europa. 

* Se si arrivasse adesso ad un "congelamento del conflitto" l'Ucraina in pratica non avrebbe perso la guerra, ma solo una piccola parte del suo territorio, perché la Russia finora non ha conseguito nessuno dei suoi obiettivi strategici. Si tenga presente che la Russia non è riuscita ad insediare un governo filorusso a Kiev, né ad impedire all'Ucraina di avere un accesso al mare, né a conquistare Kharkiv e nemmeno tutto il Donbass. Inoltre la Nato si sta rafforzando e la sua pressione ai confini occidentali della Russia è aumentata con l'ingresso nella Nato della Finlandia e con quello (più che probabile) della Svezia. Insomma, perfino il Mar Baltico è diventato una sorta di "lago atlantico", mentre il Mar d'Azov era già diventato un "lago russo" dopo l'annessione della Crimea alla Russia nel 2014. Per di più alla Russia sono stati "congelati" oltre 300 miliardi di dollari e sono state imposte sanzioni durissime, che non possono non danneggiare l'economia russa (specialmente nel medio periodo) e che in ogni caso hanno già reso la Russia più dipendente da Paesi stranieri come la Cina e l'India. Perciò, rebus sic stantibus, non è affatto scontato che Mosca accetterebbe un "congelamento del conflitto" (del resto si dovrebbe garantire all'Ucraina che la Russia non possa più aggredirla).