venerdì 28 aprile 2023

UN BAGNO DI REALTÀ

Secondo il New York Times non solo l'esportazione di gas russo è calata dopo l’invasione dell'Ucraina ma si prevede che quest'anno sarà appena la metà dello scorso anno. Tuttavia, la Russia costruirà una centrale nucleare in Bangladesh e ha appena finito di costruirne un’altra in Turchia. Inoltre la Russia, grazie alle "triangolazioni", riesce ad importare un buon numero di prodotti tecnologici, mentre continua a commerciare con buona parte del mondo e migliora le sue posizioni nel continente africano*.

Insomma, che la Russia  abbia ancora risorse sufficienti per condurre la guerra contro l'Ucraina è ben difficile metterlo in dubbio. D'altronde, l'Ucraina quest'anno può “sparare” un solo colpo e nessuno sa che accadrebbe se non andasse bene. 

In ogni caso, se non fosse un colpo "letale" per l'esercito russo ci vorrebbe almeno un anno per riarmare l'esercito di Kiev, dato che la Nato non era affatto preparata per questo genere di guerra (il paragone tra il Pil dei Paesi occidentali e quello russo è certamente significativo, ma si badi che nel 1943 le spese per difesa dell’America ammontarono al 42% del Pil e quelle della Gran Bretagna al 55% del Pil)**.  

Peraltro, l'esercito ucraino comincia ad avere pure seri problemi di uomini, tanto che le brigate della difesa territoriale ucraine sono impiegate fuori dalla zona del loro reclutamento, anche se la legge ucraina lo vieta (non si deve nemmeno dimenticare che in Ucraina, considerando che non si devono contare i profughi e i filorussi, attualmente vi dovrebbero essere non più di 25-30 milioni abitanti ovverosia circa il 20% della popolazione russa). Per di più alti ufficiali americani ritengono che il regime di Putin potrebbe non gettare la spugna anche nel caso che la controffensiva ucraina avesse successo (probabile ma non certo).

Questa quindi è la realtà con cui si devono fare i conti (anche chi scrive si augura che il "il volto politico" della Russia possa cambiare - sarebbe meglio per tutti, russi inclusi - ma raramente la realtà è come dovrebbe essere, tanto più se è frutto di una storia complessa e particolare come quella della Russia).

D'altro canto l'America ha perso un anno di tempo. Se le armi che arrivano adesso in Ucraina fossero arrivate alla fine della scorsa primavera, forse (il dubbio rimane) la controffensiva ucraina alla fine dell'estate scorsa avrebbe creato  una situazione militare tale da non consentire a Mosca di decidere di annettere ben quattro regioni ucraina (si deve comunque considerare che gli Usa, anche per quanto concerne l'invio di armi all'Ucraina, hanno cercato di evitare che si giungesse ad una pericolosa escalation, dato che la Russia, com'è noto, possiede circa 6.000 testate nucleari).

Comunque sia, adesso è tutto più difficile. La prepotenza del regime di Putin è indubbia ma certo non sarà  il "wishful thinking" - che non è mai stato una strategia vincente dal tempo dei Sumeri (anche se sembra che pure l'Iraq, la Libia e l'Afghanistan non abbiano insegnato nulla all'Occidente euro-atlantista) - a risolvere la questione ucraina.

Impedire a Mosca di inglobare con la forza l'Ucraina nello spazio geopolitico russo è una strategia politica giusta e razionale (non è questo in discussione né lo può essere la condanna della politica criminale nei confronti del popolo ucraino), ma pretendere di “mettere K.O.” un Paese come la Russia rischia solo di ottenere l'opposto di quel che ci si propone. 

 In definitiva, è lecito ritenere che cercare di risolvere la questione ucraina secondo una prospettiva basata sul realismo geopolitico***, anziché sull'ideologia, sia la migliore strategia politico-militare per difendere la sovranità e l'indipendenza dell'Ucraina.

*Sull'azienda russa Rosatom si veda Patricia Cohen, Why Russia has a Such Strong Grip on Europe's Nuclear Power, "New York Times", 10-03-2023. Sulla importazione di tecnologia in Russia si vedano, ad esempio, Ana Swanson, Russia Sidesteps Western Punishment, With Help From Friends, "New York Times", 31-01-2023, e Ana Swanson, Matina Stevis-Gridneff, Russia is importing Western Weapons Technology, Bypassing Sanctions,"New York Times", 18-04-2023. Peraltro è noto che comprano petrolio russo, benché ad un prezzo inferiore a quello di mercato, non solo la Cina e l'India ma anche altri Paesi, tra cui gli Emirati Arabi e Singapore. Le sanzioni certo fanno male alla Russia (e in particolare alla società russa) e ne faranno di più con il passare del tempo, ma per ora non ci sono elementi tali da indurre a ritenere che la Russia non possa continuare la guerra contro l'Ucraina  a causa delle sanzioni.

**Si veda M. Harrison (a cura di), The Economics of World War II, Cambridge, 1998.

*** Si veda, ad esempio, l'analisi di Samuel Charap e Miranda Priebe, Avoiding a Long War, pubblicata sul sito della Rand Corporation.

martedì 25 aprile 2023

25 APRILE 2023

 Affermare di essere antifascisti significa chiarire quel che non si è, non quel che si è, perché vi erano e vi sono diversi e perfino opposti modi di intendere l'antifascismo. Antifascisti, ad esempio, erano sia i democratici anticomunisti che i comunisti, sia i liberali che i socialisti, sia dei repubblicani sia dei monarchici e via dicendo. In questa prospettiva, conta più ciò che si è di ciò che non si è, come dimostra la stessa storia dell'Italia repubblicana 

Analogo discorso (benché, ovviamente, solo in un certo senso) si può fare per quanto concerne il neoliberalismo. Un conto infatti è non essere neoliberali, un altro sono le ragioni per cui non si è neoliberali. Del resto, c'è una netta differenza tra "superare" qualcosa (inclusa la modernità) e rifiutare qualcosa, perché per potere "superare" qualcosa occorre prima raggiungerla. 

Sotto questo aspetto, quindi, non conta che non si sia neoliberali, perché non neoliberali lo sono pure i neofascisti, i comunisti (neostalinisti o no), i cosiddetti "putiniani", i "trumpisti" e via dicendo, ossia coloro che, proprio come i fascisti, non solo non sono all'altezza (benché per ragioni diverse) delle sfide del neoliberalismo (sotto il profilo politico-culturale, si intende) ma nemmeno di quelle del liberalismo, che pure esige di essere "superato", anche alla luce dello stesso liberalismo antico, che non ignorava che il singolo individuo, in quanto non può non essere membro di una comunità, di necessità è incastonato in un complesso ventaglio di relazioni sociali e culturali.

Certo, questa è una strada difficile da percorrere, tanto più se si considerano le sfide ecologiche, cui non è possibile sottrarsi, e quelle di una tecnoscienza che moltiplica il potere dei gruppi dominanti ogni giorno che passa. Tuttavia, proprio la Resistenza, nonostante le differenze ideologiche che la caratterizzarono, seppe indicare qual era la direzione giusta da prendere, dando vita ad una Costituzione che non solo nella sua stessa "essenza" è antifascista ma che, perlomeno nelle sue parti più significative, riconosce il "primato" della persona intesa come individuo sociale e quindi che non vi è vera libertà senza  giustizia sociale né vera giustizia sociale senza libertà.


domenica 23 aprile 2023

VINCERE LA GUERRA O VINCERE LA PACE (SENZA PERDERE LA GUERRA)?

Le sanzioni imposte alla Russia non fanno certo bene all’economia e alla società russa ma rischiano di essere anche un'arma a doppio taglio, dato che sono troppi i Paesi che non intendono o non possono tagliare i ponti con la Russia, che peraltro continua a vendere petrolio, sia pure a prezzo inferiore a quello di mercato, non solo alla Cina e all'India ma pure alla Turchia, a Singapore e agli Emirati Arabi, che aumentano le esportazioni di prodotti petroliferi raffinati verso i Paesi occidentali, di modo che praticamente le sanzioni contro il petrolio russo vengono aggirate. 

D'altronde, non solo perfino il Bangladesh nei giorni scorsi  ha concluso un contratto con l'azienda russa Rosatom per la costruzione di un impianto nucleare del valore di alcune centinaia di milioni di dollari - che peraltro il Bangladesh pagherà in yuan anziché in dollari -, ma anche in Africa l'Occidente, per avere seminato vento, adesso raccoglie tempesta.

In sostanza,  è il problema di una vasta area geoeconomica non più egemonizzata dagli Usa o in generale dall'Occidente che gli euro-atlantisti non possono risolvere continuando ad agire come se il mondo occidentale fosse il mondo, nonostante che il Pil dei Brics sia già leggermente superiore a quello dei Paesi del G7.  Insomma, è ovvio che il multipolarismo, comunque la si pensi, è una realtà geopolitica di cui non si può non tenere conto.

D'altronde, anche se la storia del secolo scorso ha insegnato che la prepotenza del liberal-capitalismo non la si può combattere né con imperialismo, né con l'estremismo nazionalista (rosso o nero che sia), né con la soppressione di ogni forma di pluralismo e di dissenso, è innegabile che il neoliberalismo favorisca una interpretazione meramente ideologica dell'attuale fase storica che rischia di avere conseguenze disastrose per la stessa Europa (Ucraina inclusa). Del resto, la stessa contrapposizione tra democrazia e autocrazia (indipendentemente dal fatto - tutt'altro che irrilevante - che l'Occidente neoliberale "ignora" che i diritti sociali ed economici sono anch'essi diritti umani) non elimina affatto la necessità di un agire strategico razionale.

Invero, benché non vi siano dubbi che la Russia di Putin sia un attore geopolitico con ambizioni “imperiali(stiche)”, non si dovrebbe dimenticare che la stessa razionalità rispetto al valore si muta in pericoloso irrazionalismo allorché non si tiene in debito conto l'etica della responsabilità, che invece sembra mancare anche per quanto concerne il modo in cui l'Occidente cerca di risolvere la questione ucraina, perlomeno nella misura in cui l'Occidente, anziché limitarsi ad impedire - com’è certo necessario - che l'Ucraina venga inclusa con la forza nello spazio geopolitico della Russia*, mira ad infliggere una disastrosa sconfitta militare alla Russia, ossia a dissanguarla, o addirittura cerca di “strumentalizzare” la questione ucraina per cancellare la differenza tra europeismo ed euro-atlantismo, di modo da rendere impossibile una autonomia strategica dell'Europa. 

Posto, dunque, che non è possibile imporre alla Russia una resa senza condizioni, piantando la bandiera ucraina sul Cremlino, ci si deve chiedere con Lucio Caracciolo (ma se lo devono chiedere soprattutto coloro che hanno - giustamente - a cuore la difesa della sovranità e dell'indipendenza dell'Ucraina) se lo scopo dell'Occidente sia vincere la guerra o vincere la pace (senza perdere la guerra, si intende), perché non è neppure impossibile che si vinca la guerra ma si perda la pace.

*Si badi che anche sotto il profilo geopolitico il "peso" della Russia è già notevolmente minore rispetto a quello che la Russia aveva prima che aggredisse l'Ucraina. Un agire strategico razionale dovrebbe di conseguenza non solo cercare di arrivare ad una situazione militare che non sia sfavorevole all'Ucraina, ma pure tener conto che sotto il profilo politico-strategico si è già ottenuto un risultato notevole, che però una guerra di attrito e di lunga durata potrebbe compromettere.

mercoledì 12 aprile 2023

LA QUESTIONE UCRAINA ALLA LUCE DELLA DIFFERENZA TRA EUROPEISMO ED EURO-ATLANTISMO

Sorprende (ma fino ad un certo punto, considerando il livello intellettuale che contraddistingue da alcuni decenni l'Occidente per quanto concerne l'analisi del Politico) che in pratica non vi sia nessuna analisi politico-strategica di questa guerra, tranne qualche eccezione come quella di due analisti della Rand Corporation (discutibile ma certo importante)*. Nel migliore dei casi, infatti, ci si limita ad evidenziare i numerosi difetti che caratterizzano la macchina da guerra russa e in particolare il regime di Putin o ad analizzare il conflitto sotto il profilo tattico-operativo (chiaramente mi riferisco solo alle analisi serie e documentate come quelle dell’Isw, del Rusi o di Michael Kofman e Rob Lee, non certo a quelle dei “nostri analisti” che -  tranne pochi - tutt’al più sono degli “esperti” di industria bellica e di sistemi d’arma).

Eppure, dovrebbe essere evidente a chiunque che il maggiore errore compiuto dal Cremlino è stato di credere, basandosi su una immagine del tutto fasulla dell'Ucraina e, in un certo senso, perfino della stessa Russia, di potere risolvere una questione politica e geopolitica complessa come quella ucraina con le armi. Del resto, non si dovrebbe dimenticare che anche l'America non è riuscita a "chiudere" con un netto successo alcuna guerra dopo la Seconda guerra mondiale (non vi riuscì nella guerra di Corea né nella guerra del Vietnam, in cui subì pure una netta sconfitta, e un fallimento politico-strategico americano sono state pure le guerre contro l'Iraq e l'Afghanistan) ma non certo per insufficienza di risorse e mezzi militari ed economici, a conferma che il fattore decisivo in guerra è sempre quello politico-strategico**.

D’altra parte, in Occidente prevale una interpretazione meramente ideologica di questa guerra, che viene quindi rappresentata come una conflitto tra autocrazia  e democrazia (anche se di democrazia in Occidente ve n'è ormai ben poca, se per democrazia si intende un regime politico che difende gli interessi dei molti anziché quello dei pochi), di modo che pure la scellerata e perfino criminale guerra scatenata dal regime di Putin viene di fatto strumentalizzata dagli atlantisti neoliberali per fare l'apologia del sistema liberal-capitalista (di fatto oligarchico e tecnocratico) ossia del capitalismo predatore occidentale che nel giro di pochi decenni ha fatto “crescere il deserto” nello stesso mondo occidentale.

Comunque sia, è pure difficile definire l'Ucraina uno Stato democratico, dato che, nonostante che Kiev abbia il sacrosanto diritto di respingere l'aggressione russa (non è questo in discussione), non  è nemmeno uno Stato di diritto ed è pure indubbio che il regime di Kiev sia caratterizzato non solo da una notevole corruzione ma anche da una pericolosa (per la stessa Ucraina) ideologia nazionalista (peraltro non è neppure un mistero, tranne per chi preferisce ficcare la testa sotto la sabbia per non vedere la realtà, che gli estremisti nazionalisti ucraini, sebbene il loro peso elettorale sia insignificante,  si sono infiltrati in tutti i gangli vitali dello Stato ucraino, al punto da condizionare non poco la politica del governo di Kiev, sia pure - non si può non riconoscerlo - grazie soprattutto alla politica di prepotenza della Russia di Putin).

Assai più semplice, pertanto, limitarsi a criticare  il grottesco filoputinismo della cosiddetta "area del dissenso" (che invero è contraddistinta da una mescolanza di putinismo, trumpismo, neofascismo, nazi-populismo, nazional-comunismo, neostalinismo, "panciafichismo", no vax e chi più ne ha più ne metta)  anziché cercare di fare un'analisi politico-strategica come quella degli analisti della Rand Corporation (secondo i quali questa guerra non può finire con una vittoria totale né dell'Ucraina né della Russia e che se fosse di lunga durata danneggerebbe gli interessi dell'America, e quindi - si deve aggiungere - a maggior a ragione quelli dei principali Paesi della Ue) che hanno perlomeno il merito di avere chiarito che la questione territoriale (ossia la riconquista di tutti i territori che appartengono all'Ucraina) debba dipendere da quella ben più rilevante della indipendenza e della sicurezza dell'Ucraina.

In questa prospettiva, è pure comprensibile che ci si limiti ad affermare che è Kiev che deve decidere, benché l’Ucraina in realtà dipenda totalmente dagli aiuti economici e militari dell’Occidente e in particolare degli Usa e quindi non possa decidere alcunché contro il parere degli Usa, sempre che l’Ucraina non voglia autodistruggersi. Né si comprende (per non parlare di quale sarebbe la condizione dei cittadini etnicamente russi o russofili che vivono in Crimea) come la riconquista della Crimea (ammesso che sia possibile) possa garantire la sicurezza e l’indipendenza dell’Ucraina anziché generare nel popolo russo un desiderio di rivincita che difficilmente potrebbe scomparire anche se scomparisse Putin.

In sostanza, un conto è cercare di risolvere (anche con le armi, si intende) la questione ucraina frustrando le ambizioni “imperiali(stiche)” della Russia di Putin (come certo è necessario), un altro è la strumentalizzazione (ideologica e geopolitica) di questa guerra per perseguire uno scopo politico-strategico ben diverso. D’altro canto, è innegabile che vi siano buone ragioni per ritenere che lo scopo politico della Nato non sia solo quello di difendere l’Ucraina dalla aggressione russa. In questo caso si spiegherebbe meglio pure la ragione per cui non vi è una strategia (geo)politica chiara e precisa della Nato per risolvere definitivamente la questione ucraina, dato che per l’élite euro-atlantista lo scopo politico di questa guerra non sarebbe solo quello di punire la Russia di Putin per la guerra di aggressione contro l’Ucraina (scopo, peraltro, che almeno in buona parte si è già raggiunto dando la possibilità all’Ucraina di non venire inglobata con la forza nello spazio geopolitico russo) ma di spostare il “baricentro” della Ue da ovest ad est per impedire che l’Ue possa acquisire una reale autonomia strategica e diventare un attore geopolitico indipendente sulla scacchiera globale.

Insomma, se al tempo della guerra fredda la “filosofia” della Nato era “l’America dentro, la Russia fuori e la Germania sotto” oggi è lecito ritenere che la “filosofia” della Nato sia “l’America dentro, la Russia fuori e l’Ue (ma specialmente il “nucleo centrale” della Ue ossia la Germania, la Francia, l'Italia e la Spagna) sotto”. Consapevole che l’Europa corre questo rischio è indubbiamente Emmanuel Macron che in una intervista a “Politico” e a due giornalisti transalpini ha dichiarato che l’Europa deve ridurre la sua dipendenza dagli Stati Uniti ed evitare di essere trascinata in uno scontro tra Cina e Stati Uniti su Taiwan. In altri termini, per il presidente francese l’Europa deve evitare di essere coinvolta "in crisi che le impediscono di costruire la sua autonomia strategica”. 

Per quanto si possa ritenere che l’europeismo di Macron sia anche espressione di un certo nazionalismo che, com’è noto, è un tratto distintivo la politica della Francia, al presidente francese (indipendentemente dalla questione di Taiwan, su cui Macron doveva essere più "cauto"), come del resto già a Charles de Gaulle, non sfugge l’importanza di distinguere l’euro-atlantismo dall’europeismo***, sebbene Macron sia anche consapevole dei legami di amicizia che uniscono l’Europa all’America e comunque della necessità di un agire strategico basato su una concezione realistica del politico, come dimostra il sostegno  netto  e chiaro della Francia all’Ucraina. 

D’altronde, per la Francia (come per la Germania) è necessario non recidere del tutto i legami con la Russia, in quanto non vi può essere nessuna reale sicurezza collettiva europea - e quindi nemmeno una soluzione definitiva della questione ucraina – se si rinuncia ad inserire la Russia nel quadro (geo)politico europeo, anche se naturalmente ciò sarà possibile solo quando la Russia rinuncerà o sarà costretta a rinunciare alle sue ambizioni “imperiali(stiche)”. Comunque anche sotto questo aspetto la differenza tra la posizione della Francia e quella di Paesi europei come la Gran Bretagna, la Polonia e i Paesi baltici, per i quali non tanto la Russia di Putin quanto piuttosto la Russia stessa è il nemico, non potrebbe essere più netta.

Difatti, il problema più difficile da risolvere non è quello che concerne i rapporti tra l’Europa e l’America bensì quello che concerne i rapporti tra i diversi Paesi dell’Ue e che condiziona pure i rapporti tra l’Ue e l’America. Tuttavia, va da sé che attualmente nemmeno la Francia è all’altezza di una sfida politica così impegnativa (perfino l’aspra lotta sociale che attualmente infuria in Francia lo conferma), benché in un certo senso sia la storia stessa ad esigere una radicale ridefinizione dell’architettura (geo)politica dell’Ue. Del resto, la Francia (ma lo stesso vale pure per la Germania) non può risolvere la questione dell’autonomia strategica dell’Europa senza che almeno i principali Paesi dell’Europa continentale occidentale condividano una concezione davvero europeista.

Certo, ormai non si può più rimediare all’errore compiuto negli anni Novanta del secolo scorso, ossia di avere permesso ad altri Paesi di entrare nella Ue prima che l’Ue avesse acquisito una reale autonomia strategica. Ciò nonostante, nulla vieta che i Paesi che già facevano parte della Ue prima del crollo dell’Unione Sovietica (tranne la Gran Bretagna si intende) si possano impegnare per costituire una nuova “Eurozona”, contraddistinta anziché dall’adozione dell’euro da una politica estera e da una difesa comune, e che su questa base si possano ridefinire i rapporti sia con la Nato che con gli altri Paesi europei. Mezzi e risorse, del resto, non mancano, ciò che manca invece è la "volontà politica" (si badi che il Pil complessivo della Francia, della Germania, dell'Italia e della Spagna è di circa 11.000 miliardi di euro, di modo che anche solo il 2% del Pil di questi Paesi sarebbe più che sufficiente per una difesa europea tutt'altro che insignificante). In altri termini, si deve riconoscere che in Europa attualmente non ci sono le condizioni politiche per dar vita ad un simile disegno geopolitico, anche a prescindere dai “limiti” oggettivi della Francia e del suo presidente (in specie sotto il profilo politico-sociale). Difatti, un simile disegno geopolitico presuppone che si condivida anche una concezione politico-culturale e perfino economica e sociale dell’Europa affatto diversa da quella neoliberale, senza la quale nella attuale fase storica l’euro-atlantismo difficilmente sarebbe possibile. 

In definitiva, si deve prendere atto che, sebbene un agire strategico abbia delle caratteristiche che non variano nel tempo, un attore geopolitico necessariamente non può non difendere principi, valori e interessi che lo contraddistinguono sotto il profilo politico-culturale e sociale. Pertanto, anche la questione ucraina assume un significato non solo geopolitico ma politico-culturale che, se da un lato rende praticamente impossibile non prendere posizione contro la Russia di Putin e in generale contro la prepotenza di regimi illiberali, dall’altro evidenzia che la distinzione tra europeismo ed euro-atlantismo concerne anche e soprattutto la necessità di ridefinire la relazione tra il Politico e l’Economico alla luce di principi e valori assai diversi da quelli difesi dalla élite neoliberale euro-atlantista.



*Vedi il breve saggio di S. Charap, M. Priebe, “Avoiding a Long War”, disponibile sul sito della Rand Corporation.

** Nemmeno l'intervento della aviazione della Nato contro la Serbia e la Libia di Gheddafi si può considerare un netto successo politico-strategico, anche se quello contro la Serbia ha creato le condizioni per l'indipendenza del Kosovo. Comunque sia, non si dovrebbe neppure dimenticare che in tutte queste guerre gli americani si sono macchiati di numerosi crimini per i quali non sono mai stati condannati da nessuna Corte penale internazionale, come del resto non sono mai stati condannati per gli innumerevoli crimini e misfatti compiuti nell'America Latina. A tale proposito si deve tenere però presente anche quanto è scritto nella nota all'articolo "Il labirinto ucraino" pubblicato su questo blog. Data la sua importanza per comprendere la reazione del mondo occidentale all'aggressione russa dell'Ucraina  la riporto di seguito: 

Ci si potrebbe chiedere perché si deve sostenere (militarmente, si intende) la lotta del popolo ucraino e non quella di altri popoli (gli esempi certo non mancano). Invero, si potrebbe affermare che non c'è giustificazione etica o politico-culturale per questa differenza, ma solo  una giustificazione di carattere "geopolitico". Tuttavia, si deve tenere presente che perlomeno per quanto concerne i rapporti tra l'America e l'Europa (un discorso diverso si deve fare per i rapporti tra gli Usa e l'America Latina) non si può parlare di imperialismo (ossia, in sostanza, di dominio) ma di egemonia americana, che in quanto tale presuppone il consenso degli europei (occorre quindi distinguere tra egemonia e dominio, anche se si deve tener conto che una egemonia può implicare anche il ricorso a metodi che sono caratteristici di un rapporto di dominio). Viceversa la guerra di aggressione della Russia contro l'Ucraina è tipica di uno Stato che agisce secondo una politica imperialistica e che rappresenta un pericolo tanto maggiore per l'Europa se si considera non solo che il regime di Putin è un'autocrazia con caratteristiche di un regime di polizia ma che cosa ha significato la politica (imperialistica) di regimi illiberali per la storia dell'Europa nel secolo scorso.

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***Al riguardo mi permetto di rimandare al mio articolo “Europeismo contro euro-atlantismo” pubblicato su “Academia.edu”.

domenica 2 aprile 2023

NAVIGARE A VISTA. LA GUERRA E IL DECLINO (RELATIVO) DELL'OCCIDENTE

Secondo il capo di Stato maggiore americano "è improbabile che l'Ucraina riesca a cacciare tutte le forze russe dal suo territorio entro quest'anno". Difficile dargli torto, nonostante che l'offensiva russa non abbia conseguito alcun successo. 

Difatti, l’attacco russo nei settori del fronte di Svatove-Kreminna, di Avdiivka e di Vuhledar, sebbene sia stato condotto anche con forze corazzate e meccanizzate (in specie  a Vuhledar) non è riuscito ad aprire alcuna breccia nelle difese ucraine e perfino a Bakhmut, dove si combatte da più di sette mesi un'aspra battaglia di fanteria e in cui il Gruppo Wagner ha impiegato come carne da cannone decine di migliaia di detenuti, i russi non sono riusciti a fare collassare le difese ucraine, di modo che con ogni probabilità gli ucraini sarebbero in grado di respingere un attacco russo in direzione di Kramatorsk e Slovjansk, anche se i russi dovessero conquistare tutta la città di Bakhmut.

In sostanza, la guerra di attrito che i russi, non essendo capaci di condurre con successo una vera guerra di movimento, cercano di imporre agli ucraini non ha dato i frutti che il Comando russo sperava, tanto è vero che si ritiene che il rapporto tra le perdite (di mezzi e uomini) russe e ucraine sia nettamente favorevole agli ucraini (si deve comunque tener presente non si dispone di dati precisi sulle perdite dei due eserciti). Il Comando ucraino in pratica ha imposto un durissimo sacrificio alle brigate di fanteria leggera e della difesa territoriale, impiegando le brigate mobili per condurre contrattacchi locali in supporto alla fanteria ucraina, di modo da guadagnare tempo per rafforzare la sua riserva strategica, contando anche sui soldati addestrati in Occidente negli ultimi mesi e sull'arrivo in Ucraina di blindati e carri armati occidentali. Pertanto secondo gli analisti militari una controffensiva dell'esercito ucraino (probabilmente nella tarda primavera o nell'estate prossima) non solo sarebbe possibile ma potrebbe infliggere un altro duro colpo all'esercito russo, che ormai è composto perlopiù da mobilitati e coscritti. 

Nondimeno, anche se coraggio e capacità non mancano agli ucraini, si deve tenere conto che non sarebbe più l'esercito ucraino, se attaccasse, ma l'esercito russo a potere sfruttare il fattore difesa. Per di più i russi in questi ultimi mesi hanno costruito diverse linee di difesa "in profondità", di modo che, anche se fossero in grado di opporre solo una "difesa statica" all'attacco ucraino, potrebbero comunque infliggere numerose perdite agli ucraini. Peraltro, l'esercito ucraino, dovrebbe sfondare le difese russe con un numero assai limitato di brigate mobili (anche nel caso che non abbia consumato buona parte della sue brigate mobili per difendere Bakhmut e Avdiivka come temono alcuni analisti militari occidentali), senza nemmeno potere contare su un significativo appoggio da parte della propria aviazione, che dispone di troppo pochi aerei da combattimento per potere rappresentare un reale pericolo per l’esercito russo. 

Ragion per cui anche se si ritiene che una controffensiva ucraina nei prossimi mesi sia probabile e possa anche conseguire risultati notevoli, al tempo stesso si pensa che sia improbabile che l'esercito ucraino sia in grado di infliggere un colpo davvero letale all'esercito russo. Tuttavia, diversi "euro-atlantisti" sono convinti che pure una guerra lunga e di logoramento possa favorire l'Ucraina (sebbene, in un'ottica "realistica", sia lecito ritenere che, una volta scelto di aiutare militarmente l'Ucraina, si sarebbero dovuti dare all'esercito di Kiev i mezzi necessari - blindati, carri armati ecc. - per ottenere una vittoria decisiva nell'estate scorsa ossia il prima possibile).

Orbene, è indubbio che  le sanzioni imposte alla Russia creino dei seri problemi anche alla macchina bellica russa e che gli effetti delle sanzioni siano ancora più gravi a causa della corruzione e della inefficienza del regime di Putin, ma è pure ovvio che se la  Russia non avesse i mezzi e le risorse per combattere una guerra lunga, sarebbe proprio Mosca a fare il primo passo per arrivare al più presto ad una soluzione negoziale di questo conflitto, sempre che non si ritenga che al Cremlino siano tutti ubriachi di vodka. Ma, almeno per ora, non vi sono segni che la Russia intenda gettare la spugna, né vi sono segni che l'industria bellica russa sia prossima al collasso, anche perché solo coloro che credono che il mondo sia il mondo occidentale possono credere che la Russia sia davvero "isolata". Quel che arriva in Russia non sarà molto ma evidentemente è sufficiente per consentire all'esercito russo di continuare a combattere questa guerra. (Chiaramente, se si verificasse un crollo del regime di Putin si sarebbe in presenza di uno scenario politico-strategico del tutto diverso ma non necessariamente  privo di nuovi pericoli).

D'altronde, si deve prendere in considerazione anche l'altra faccia della medaglia. Più passa il tempo, infatti, e più è probabile che il mondo occidentale "vacilli" (per ragioni economiche e non solo economiche). Peraltro, in America esiste perfino un nutrito gruppo di repubblicani "trumpiani" che fanno più o meno apertamente il tifo per la Russia o comunque contro l'Ucraina (considerata quasi una sorta di "feudo" dei dem) ed è anche aumentato il numero di americani che ritengono eccessivo il sostegno militare americano all'Ucraina, anche perché per non pochi americani il vero "nemico" degli Stati Uniti non è la Russia ma la Cina e quindi ritengono che non si debbano sprecare delle risorse preziose per difendere l'Ucraina.

Inoltre, è ormai è evidente  che la Nato non era affatto preparata per una guerra di questo genere, tanto che, nonostante l'indiscutibile potenza della macchina militare americana (certamente assai superiore a quella russa), per potenziare la stessa industria bellica americana (in specie per quanto concerne la produzione di munizioni di artiglieria, di missili ecc.) occorreranno non alcuni mesi ma alcuni anni (si veda al riguardo il notevole articolo di E. Lipton, From Rockets to Ball Bearings, Pentagon Struggles to Feed War Machine, pubblicato sul NYT il 24 marzo scorso), in cui potrebbe succedere di tutto, inclusa una grave crisi politica in America a causa della lotta senza esclusioni di colpi tra dem e "trumpiani" che caratterizza da alcuni anni la vita politica e sociale americana. 

Né si deve dimenticare che questa guerra praticamente si combatte solo in Ucraina, un Paese che sta subendo danni giganteschi di ogni genere (anche ambientali dato che sono inquinati terreni agricoli, fiumi, foreste e forse perfino delle falde acquifere in certe regioni dell'Ucraina orientale) e che dipende totalmente dagli aiuti militari ed economici dell'Occidente (aiuti che certo non sono "gratis"). Ci vuol poco quindi a capire che più questa guerra durerà e più sarà salato il costo che l'Ucraina (comprese le generazioni future dell'Ucraina) dovrà pagare.

Pertanto, una analisi obiettiva di questa guerra non può prendere in considerazione solo gli aspetti tattico-operativi (che pure contano), ma deve tener conto di molteplici fattori, compresi quelli politico-strategici e geopolitici che caratterizzano l'attuale fase storica, resa più complessa dalla crisi della egemonia dell'America (anche, ma non solo, per la presenza di un'area geoeconomica non più "egemonizzata" dagli Usa) nonché dalla netta differenza tra Occidente e buona parte del "resto del mondo" anche per quanto concerne la “questione ucraina”.

Insomma, anche ammesso che gli ucraini possano lanciare con successo una controffensiva contro l'esercito russo, senza un (assai poco probabile, benché non impossibile) crollo totale dell'esercito russo o del regime di Putin, vi sarebbe sempre da risolvere la "questione ucraina" sotto il profilo politico-strategico (non a caso si parla anche di una "soluzione coreana" che non sarebbe ovviamente una soluzione definitiva della "questione ucraina", ma degno di nota è pure che l'errore più grave commesso della Russia è stato proprio quello di ritenere di potere risolvere una questione politica e geopolitica complessa come quella ucraina con le armi).

Certo, la Russia ha fallito il suo principale scopo politico-strategico, che consisteva, com'è noto, nell'imporre un governo filorusso all'Ucraina, e l'esercito russo ha dimostrato di essere di gran lunga meno potente ed efficiente di quanto si potesse immaginare fino a poco più di un anno fa mentre la Nato è più forte di quanto lo fosse prima di questa guerra e pure la pressione geopolitica della Nato sui confini della Nato sia decisamente maggiore aumentata. In sostanza, la Russia in un certo senso ha già ha ottenuto l'opposto di quel che voleva conseguire invadendo l'Ucraina. Invero, anche se la controffensiva ucraina dovesse fallire e Mosca riuscisse ad impadronirsi di un "pezzo" d'Ucraina, la Russia uscirebbe da questa guerra drasticamente "ridimensionata" come potenza mondiale sotto ogni punto di vista - ovvero sia sotto il profilo militare e geopolitico sia sotto quello economico sia sotto quello politico-culturale e sociale -, anche se si deve considerare che un tale "ridimensionamento" non necessariamente significa che la Russia sarà disposta a rinunciare definitivamente alle sue ambizioni imperiali.

Ciò nonostante, dato che la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi (tanto che si possono vincere tutte o quasi tutte le battaglie - come gli americani nella guerra del Vietnam e, sotto certi aspetti, perfino in Iraq e in Afghanistan - ma perdere la guerra),  è evidente che l'esito di una guerra non dipende solo dai mezzi e dalle risorse che si possiedono (e naturalmente l'Occidente ne ha assai più della Russia, la cui potenza industriale è inferiore non solo, com'è ovvio, a quella american ma pure a quella dei principali Paesi europei o del Giappone) ma anche e soprattutto da un agire strategico razionale e coerente. Anche una vittoria militare, del resto, può avere conseguenze di carattere politico-strategico tutt'altro che favorevoli per i vincitori*.

Pertanto, non si dovrebbe nemmeno ignorare che l’America non solo rischia che la “bomba Trump” esploda con effetti devastanti (non solo per l'America bensì per tutto l’Occidente) ma, se da un lato non può permettere, senza compromettere la propria egemonia in Europa, che l’Ucraina venga sconfitta dalla Russia, dall’altro, oltre a non potere impegnarsi a fondo in una guerra contro la Russia senza rischiare una escalation che sfoci in un disastroso conflitto tra la Nato e la Russia, difficilmente può permettersi, senza sostenere costi elevatissimi e senza creare gravi "squilibri" in ogni parte del mondo, di aiutare l’Ucraina a combattere una guerra lunga e di logoramento contro la Russia e nello stesso tempo “competere” con la Cina e con buona parte del “resto del mondo” sulla scacchiera  geopolitica e geoeconomica mondiale. (D'altro canto, la stessa Ue, oltre ad essere un "nano geopolitico", deve pure tenere conto dei diversi interessi dei Paesi che ne fanno parte e non può nemmeno rompere i suoi rapporti economici con la Cina senza subire danni enormemente più gravi di quanti ne ha subiti a causa di questa guerra).

In altri termini, anche ammesso che la controffensiva ucraina non fallisca**, non si può escludere che questa guerra, nonostante l'indubbio rafforzamento della Nato, finisca con un sostanziale fallimento politico-strategico non solo della Russia o (più probabilmente) con una maggiore destabilizzazione dell'"ordine mondiale" a causa di una strategia atlantista imperniata su una immagine fasulla non della Russia di Putin ma dello stesso Occidente e del cosiddetto "resto del mondo". Comunque sia, è sempre la scacchiera geopolitica e geoeconomica globale che si deve tenere presente anche per quanto concerne questa guerra e le sue conseguenze.

In definitiva,  è difficile negare che finora la strategia dell’America e dei suoi “vassalli” (termine che, si badi, non è sinonimo di servi) europei sia praticamente consistita nel navigare a vista, puntando soprattutto sugli errori e sui macroscopici “difetti” del regime di Putin (che non si distingue più da un regime di polizia), quasi che bastasse arrivare ad un cessate il fuoco favorevole all’Ucraina per risolvere definitivamente sia la “questione ucraina” sia il declino (relativo) del mondo occidentale e in particolare della potenza egemone dell’Occidente.


* Sugli sviluppi e sulle conseguenze di una guerra (soprattutto se lunga) in cui giocano un ruolo decisivo fattori non solo militari ma politici, geopolitici, economici ecc., si vedano le considerazioni di G. Kolko, Il libro nero della guerra, Roma, 2005, in specie pp. 639-677.

** Al riguardo si veda l'analisi di Michael Kofman pubblicata il 4 aprile su Twitter. In guerra nulla è scontato e si deve pertanto anche tenere conto che la controffensiva ucraina potrebbe fallire o che  potrebbero non esserci le condizioni necessarie per una controffensiva ucraina nei prossimi mesi. Comunque sia, uno dei problemi maggiori che gli ucraini, cui manca pure una forte aviazione, devono risolvere è certo quello della logistica, dato l'eccessivo numero di tipi diversi di mezzi (carri, veicoli ecc.) che devono impiegare.