giovedì 31 agosto 2023

LA GUERRA RUSSO-UCRAINA E LA LOTTA PER L'EGEMONIA

Non si può dare torto, se si è intellettualmente onesti, a chi sostiene che gli atlantisti vedono putiniani dappertutto. Ovviamente i putiniani ci sono e sono coloro che, anche se rifiutano di essere chiamati putiniani, fanno l'apologia del regime di Putin e dell'invasione russa dell'Ucraina, giacché sono convinti che la Russia di Putin possa liberare l’Europa dal "male americano", tanto che si limitano a ripetere a pappagallo la più insulsa propaganda del Cremlino. In realtà la Russia aggredendo l’Ucraina ha offerto all'America la possibilità di rafforzare la sua egemonia sul Vecchio Continente, necessaria soprattutto per fare fronte alla sfida con la Cina, che la notevole riduzione dell'influenza americana (in specie in Medio Oriente e perfino in America Latina) e il declino dell'egemonia occidentale nel continente africano (in cui è soprattutto è la sfera di influenza della Francia che si è ridotta)  rendono certamente assai più difficile e complessa.

Nondimeno, il fatto che il regime di Putin assomigli sempre più ad un regime “mafioso”, non implica che il regime ucraino (come del resto quello polacco e altri regimi dell'Europa baltica) non sia un regime nazionalista e russofobo. D’altronde, è evidente che sia per l’Ucraina che per la Russia il costo (non solo economico) della guerra sta superando “il livello di guardia”.

Le perdite russe ammonterebbero, infatti, ad oltre 300.000 morti, feriti gravi e dispersi (i morti sarebbero circa 120.000) e per il ministero della Difesa russo è sempre più difficile reclutare volontari, anche se la paga è ottima (è assai più di quanto guadagna un funzionario pubblico). In pratica, Mosca è ancora in grado di arruolare volontari soltanto nelle regioni più povere della Federazione Russa. Del resto, pure i soldati russi sono esseri umani, anche se in Occidente vi è chi pensa che siano degli orchi. 

Certo, l’economia russa regge, dato che la Russia non è affatto isolata (si sa che per almeno una parte “resto del mondo” questa guerra è solo una guerra per procura della Nato contro la Russia e quindi si tratta di un problema che concerne soprattutto l’Europa) anche se dipende sempre più dalla Cina e dalla importazione di tecnologia occidentale (chips americani compresi). Del resto, il costo di questa guerra non potrà che aggravare una situazione sociale ed economica già caratterizzata da scarso sviluppo (tranne in alcuni settori che però anch’essi dipendono in buona misura dalla tecnologia occidentale o cinese) nonché da inefficienza e da un alto livello di corruzione.

Ma se la Russia piange, certo l’Ucraina non ride, tanto è vero che Kiev nelle scorse settimane ha dovuto licenziare tutti i funzionari responsabili del reclutamento, che in cambio di tangenti offrivano esenzioni dal servizio di leva. Chiaramente anche ai giovani ucraini fa paura una guerra che avrebbe già causato all’Ucraina la perdita di circa 200.000 soldati (almeno 70.000 morti e circa 120.000 feriti gravi). Peraltro, si stima che adesso le Forze armate ucraine siano composte da circa 500.000 soldati, mentre le Forze armate della Federazione Russa ne dovrebbero contare 1.300.000 e com’è noto la popolazione russa è molto più numerosa di quella ucraina, di modo che le perdite ucraine “pesano” più di quelle russe.*

Si tratta comunque di perdite colossali per entrambi i belligeranti (si pensi, ad esempio, che le stime dei militari iracheni morti nella guerra dell’Iraq contro l’Iran, che durò dal 1980 al 1988, variano da un minimo di 105.000 ad un massimo di 500.000 ossia una media di circa 60.000 caduti ogni anno nel caso che si ritenga corretta la stima di 500.000 militari iracheni deceduti in una guerra contraddistinta anch’essa da battaglie simili a quelle della Grande Guerra. Si tenga anche presente che il numero dei militari iraniani deceduti in questo conflitto è simile a quello dei caduti iracheni).

Nondimeno, ucraini e russi continuano a combattere, perché sia a Kiev che a Mosca si è convinti di vincere la guerra, sebbene sia sempre più evidente che né gli ucraini né i russi possono ottenere una “vittoria totale. D’altra parte, L’Ucraina, anche grazie all’aiuto militare ed economico dell’Occidente, è riuscita è frustrare le ambizioni imperiali della Russia e questo dovrebbe contare assai più della “riconquista militare” di tutti i territori ucraini occupati dalla Russia (diversa ovviamente è la questione del riconoscimento politico di tale occupazione).

In questa prospettiva, è dunque lecito ritenere che per l’Ucraina sarebbe essenziale ottenere dall’Occidente le garanzie e gli aiuti necessari per impedire alla Russia di tentare di nuovo di aggredire l’Ucraina, dato che la controffensiva ucraina può sì conseguire qualche successo significativo (ad esempio, l’esercito ucraino potrebbe “tagliare” la ferrovia che collega la Crimea e il Donbass o addirittura giungere al confine con la Crimea)** ma è tutt’altro che probabile che sia in grado di “mettere al tappeto” la Russia, sebbene vi sia chi, confondendo il wishful thinking con una strategia politica e militare razionale ossia ciò che è meramente possibile con ciò che è probabile, ritiene che l’intero sistema politico e militare russo possa crollare. (Naturalmente non si può escludere che se si arrivasse ad una situazione militare favorevole all'Ucraina, la Russia potrebbe essere indotta a negoziare. Tuttavia, indipendentemente da come potrebbe reagire la Russia nel caso che la controffensiva ucraina avesse successo, si deve prendere atto che attualmente non vi è una strategia politica chiara e condivisa da Kiev e dalla Nato su come porre termine a questa guerra. Naturalmente è soprattutto l'America che potrebbe fare la "differenza" sotto questo profilo, dato che detiene le "chiavi strategiche della difesa dell'Ucraina).

Comunque sia, la razionalità rispetto al valore è certo importante, ma non si può nemmeno trascurare la questione del rapporto costi/benefici. Questo vale non solo per l’Ucraina e la Russia, ma anche per l’Occidente e in particolare  per la “Vecchia Europa”, i cui interessi, peraltro, sono diversi non solo da quelli dell’America ma pure da quelli della “Nuova Europa”. 

D’altra parte, indipendentemente dal fatto che pure la Cina si sta imbattendo nei propri limiti, la stessa America sotto il profilo politico-sociale sembra un gigante dai piedi argilla. Il cosiddetto “trumpismo”, infatti, è la conseguenza di un crisi del sistema politico-sociale americano che dipende anche dalla crisi di egemonia degli Stati Uniti ma che a sua volta ha aggravato la crisi di egemonia della maggiore potenza occidentale. Del resto, pure la relativa deindustrializzazione degli Stati Uniti e in generale dell’Occidente contribuisce a rendere più grave una crisi del sistema liberal-capitalista occidentale, che non può non incidere anche sui rapporti tra l’Occidente e il “resto del mondo” (come dimostra anche il recente “allargamento” dei Brics). 

In questo contesto, la trasformazione della guerra russo-ucraina in una guerra per procura della Nato contro la Russia (una trasformazione resa possibile dall’eccezionale resistenza opposta dagli ucraini all’esercito russo nella primavera dell’anno scorso, dato che non si deve dimenticare che per la maggioranza degli ucraini questa guerra è una guerra di liberazione nazionale) rischia di creare una situazione internazionale in cui nessun “ordine mondiale” sarà possibile, tanto più che un “ordine mondiale” multipolare è “mera utopia” allorché (nonostante la retorica sulla necessità di una cooperazione a livello internazionale, di rapporti di scambio “equi” e via dicendo) è in corso un’aspra lotta per l’egemonia tra le maggiori potenze mondiali, come insegna la stessa storia del Novecento. Peraltro, non si può nemmeno ignorare che i principali Stati che si oppongono all’attuale potenza egemonica (ossia gli Usa) sono sempre più contraddistinti da un nazionalismo aggressivo e da una cultura politica antidemocratica e “illiberale” (ovverosia si è in presenza di una situazione internazionale che, mutatis mutandis, ricorda anch’essa la trasformazione del pianeta in una sorta di “santabarbara” nella prima metà del secolo scorso).

In definitiva, si corre il rischio che questa guerra nel cuore dell'Europa non sia la continuazione della politica con altri mezzi ma che la politica non sia altro che la continuazione di questa guerra. In altri termini, come si era già evidenziato allorché la guerra russo-ucraina era appena cominciata, si rischia di dimenticare che anche la lotta per l’egemonia ha le sue “leggi” e che solo il realismo (geo)politico e l’etica della responsabilità possono evitare che la sua meccanica diventi irreversibile.


*In Occidente diversi analisti sono convinti che la guerra possa durare a lungo. Pertanto, sarebbe necessario prendere in considerazione che l'Ucraina, in una guerra lunga e di logoramento contro un Paese la cui popolazione oggi  è almeno il quadruplo di quella dell'Ucraina, rischia di dissanguarsi.

**Vedi ad esempio la Nota sulla controffensiva ucraina pubblicata su questo blog.


domenica 20 agosto 2023

IL LABIRINTO UCRAINO

 Che pure in questa guerra si debba distinguere tra un aggressore, la Russia, e un aggredito, l'Ucraina, è pacifico, tranne per i cosiddetti "putiniani" ossia coloro che fanno l'apologia della invasione russa dell'Ucraina.   

D'altra parte, è difficile negare che Putin abbia cercato di approfittare di una serie di circostanze storiche (il fallimento strategico degli Usa in Afghanistan, il declino dell'egemonia degli Usa in varie regioni del mondo, la sempre più grave situazione interna dell'America, l'insignificanza geopolitica dell'Ue ecc.) per scatenare una guerra nel cuore dell'Europa, convinto che bastasse dare un calcio alla "baracca marcia" per farla crollare, tanto più che è evidente la Nato non era preparata per combattere una guerra ad alta intensità.

Tuttavia, c'è sempre un molteplicità di responsabilità soggettive e di fattori oggettivi che rendono possibile una guerra. Non è l'eccezione ma la norma nella storia. E non si può neppure negare che questa guerra sia una "guerra a più dimensioni", tanto che è diventata pure una guerra per procura della Nato - e in specie di alcuni Paesi della Nato - contro la Russia, grazie alla resistenza ucraina che ha impedito ai russi di insediare un governo filorusso a Kiev. 

Del resto, è indubbio che l'invasione russa dell'Ucraina abbia  offerto agli Usa la possibilità di tagliare i ponti tra la Russia e l'Europa occidentale (in particolare tra la Russia e la Germania) e di formare un blocco occidentale (il cosiddetto "Occidente collettivo") necessario soprattutto per fare fonte alla sfida contro la Cina.

Certo, l'America non ha alcuna intenzione di arrivare ad uno scontro diretto con la Russia. E una guerra lunga e di logoramento tra la Russia e l’Ucraina non premetterebbe agli Usa di concentrare le proprie risorse nell'Indo-Pacifico, che per l'America è diventato il teatro geopolitico principale.

Nondimeno,  anche se è vero che le decisioni degli attori geopolitici contano, non si deve dimenticare che gli attori geopolitici sono pur sempre degli "interpreti" di una molteplicità di fattori oggettivi e che di conseguenza "ignorare" la complessità di tali fattori può favorire solo i "cattivi interpreti" della storia e della geopolitica.


giovedì 17 agosto 2023

TROPPE LE "INCOGNITE" DI QUESTA GUERRA

Passata la metà di agosto e rimanendo quindi poco più di un mese prima che cominci la cattiva stagione pare lecito affermare che la controffensiva ucraina non procede come speravano il Comando ucraino e i vertici della Nato. 

È indubbio, infatti, che l’avanzata degli ucraini nel settore meridionale del fronte sia assai lenta e costosa, di modo che l’obiettivo principale di Kiev - ossia arrivare non al Mar d’Azov ma alle linee di comunicazione e in specie alla ferrovia che collegano la Crimea e il Donbas - dista ancora diverse decine di chilometri dalle "punte" più avanzate dell'esercito ucraino.

In sostanza, la principale linea di difesa russa è ancora intatta, anche se i russi hanno già dovuto impiegare le loro unità di riserva per rallentare l’avanzata delle brigate ucraine, in particolare nel settore al confine tra la provincia di Donetsk e quella di Zaporizhzhia. Per di più i russi continuano ad esercitare una forte pressione nel settore settentrionale del fronte, in particolare in direzione di Kupiansk. 

Del resto, che gli ucraini non potessero impiegare la dottrina militare della Nato era  scontato dato che all’Ucraina manca la potenza logistica e di fuoco (in particolare quella dell’aviazione) che è alla base della dottrina militare della Nato. 

Il Comando ucraino non può quindi che puntare a colpire con missili e droni i centri logistici russi per indebolire il più possibile il fighting power dell’esercito russo, mentre le brigate ucraine devono cercare di aprire dei varchi nei campi minati. Un compito durissimo, considerando l’enorme numero di mine della cosiddetta “Linea Surovikin”, che comprende non solo campi minati ma un vastissimo sistema di trincee con casematte, capisaldi, fossati anticarro, denti di drago e via dicendo (i russi, com'è noto, hanno avuto ben nove mesi di tempo per costruirla, dato che i blindati e i carri occidentali sono stati consegnati all’esercito ucraino dopo un anno di guerra). 

Ai soldati russi non manca nemmeno l’appoggio dell’artiglieria che, anche se non è precisa come quella ucraina, è pur sempre l’arma più temibile dell’esercito russo, che può contare anche sul supporto aereo, nonostante che il livello operativo dell’aviazione russa sia incredibilmente basso. D’altronde, anche gli elicotteri e i droni russi costituiscono un serio problema per i soldati ucraini (sui droni dell'esercito russo si veda https://www.washingtonpost.com/investigations/2023/08/17/russia-iran-drone-shahed-alabuga/.).

Tuttavia, la scelta di lanciare una controffensiva quest’estate è stata soprattutto una scelta politica di Kiev e della Nato. Difatti, è difficile negare che sotto il profilo militare per l’esercito ucraino sarebbe stato meglio puntare su una strategia difensiva ossia su una difesa elastica, che avrebbe costretto i russi o ad attaccare per conquistare almeno tutto il Donbas, lasciando di conseguenza agli ucraini il vantaggio della difesa (tanto maggiore tenendo presente che l’esercito russo ha dimostrato di non saper condurre o perlomeno di avere ancora troppi problemi per condurre una guerra di movimento) o a cercare una soluzione diplomatica del conflitto.

Certo è ancora presto per affermare che la controffensiva ucraina sia un fallimento anche se sono gli stessi ucraini a riconoscere che si tratta di una maratona non di uno sprint (https://www.nytimes.com/2023/08/07/world/europe/ukraine-marines-counteroffensive.html.). Nondimeno, se gli euro-atlantisti se la cantano e se la suonano, i nostri cosiddetti “putiniani” ripetono a pappagallo la più insulsa e ridicola propaganda di Mosca, al punto che giungono ad attribuire al NYT e al WP i propri deliri, contando ovviamente sul fatto che ben pochi italiani leggono regolarmente gli articoli pubblicati da questi giornali.  Ma evidentemente è solo una questione di "mercato". (In effetti, nelle ultime settimane non solo i grandi quotidiani americani ma diversi Think Tank occidentali hanno evidenziato sia gli ostacoli che incontra la controffensiva ucraina – perdite dell’esercito di Kiev incluse - sia i numerosi difetti e i punti deboli dell’esercito russo - si veda ad esempio https://www.csis.org/analysis/war-attrition). Si tratta però di un quadro dell’attuale situazione militare in Ucraina assai più complesso di quello “descritto” dai “putiniani”, che giungono addirittura ad attribuire all’esercito ucraino delle perdite simili a quelle subite dalla Germania in tutta la Prima guerra mondiale).

Comunque sia, un’analisi tattico-operativa, benché necessaria, non è un’analisi politico-strategica, mentre sono proprio i fattori politico-strategici che si dovrebbero sempre considerare dato che sono quelli decisivi. In altri termini, oltre ad essere sempre più probabile che nessuno dei due belligeranti sia in grado di vincere la guerra (potrebbero continuare a combattere come “due pugili suonati” anche nel caso che gli ucraini riuscissero a tagliare le linee di comunicazione che collegano tra la Crimea e il Donbas), le conseguenze economiche e geopolitiche di una guerra lunga - anche senza prendere in considerazione l'"incognita Trump" - rischiano di essere disastrose per tutti e in particolare proprio per l’Unione europea.


sabato 12 agosto 2023

IL SISTEMA: IL POLITICO E LA TECNICA*


Non è certo una novità che oggi per i vertici del potere politico ed economico o finanziario (non solo dell’Occidente) conta soprattutto la Tecnica (i semiconduttori, l’IA, le batterie per auto elettriche, i satelliti, le biotecnologie e così via). D’altronde, è palese che ormai non c'è più sfida geopolitica, sociale o economica che possa prescindere dalla potenza della Tecnica e che chi "rimane indietro" è perduto. 

In sostanza, è la Tecnica che oggi “fa la differenza” non certo l’ideologia, quale che essa sia, al punto che si può considerare come una “finzione produttiva”, utile soprattutto per giustificare o legittimare determinate posizioni di potere, nonostante che si debba riconoscere che in un sistema liberal-democratico o, meglio, neoliberale vi sono degli spazi di libertà, dato che una élite dominante neoliberale, a differenza di quanto accade in una dittatura  o in una “autocrazia elettiva”, non può usare il “bastone e il bavaglio” come metodo di regno.

In questa prospettiva, peraltro, ha poco senso parlare di un nuovo processo di "decolonizzazione" (del resto pure il "terzomondismo" del secolo scorso era soprattutto espressione di un marxismo nella sua fase terminale), dato che i diritti dei popoli dipendono sempre più da un contesto internazionale contraddistinto dalla lotta per l’egemonia (in cui il ruolo essenziale è svolto naturalmente dalla Tecnica) ovvero dalla competizione geopolitica e (geo)economica tra "potenze" (grandi o no che siano).

Ma un analogo discorso si potrebbe fare per quanto concerne i diritti sociali ed economici. Non a caso, in Occidente i diritti umani che contano sono soprattutto quelli civili, dato che tutto ciò che concerne la sfera pubblica e pure quella individuale appare sempre più sottomesso al “mercato”, che a sua volta dipende non tanto da “leggi economiche” quanto piuttosto da rapporti di potere (inclusi quelli che riguardano la “sicurezza nazionale”), che presuppongono il cosiddetto “primato della Tecnica” (sebbene si debba sempre tenere presente che il concetto stesso di "primato" è un concetto eminentemente politico, proprio come quello di potere o potenza).

Peraltro, non vi è bisogno di citare il grande storico francese Fernand Braudel per sostenere che al di sopra del “mercato”, in cui grosso modo vale la legge della domanda e dell’offerta, vige necessariamente la lotta per l’egemonia, sia sotto il profilo (geo)politico che sotto quello economico e sociale, senza che per questo si debbano condividere gli obsoleti e “incapacitanti” schemi concettuali marxisti (va da sé dunque che la stessa questione della Tecnica non può prescindere dalla lotta per l’egemonia  e viceversa).(1)

Attualmente perfino la differenza tra Occidente e Oriente (di fatto il “gigante cinese”) non ha quindi tanto a che fare con l’ideologia ossia con la contrapposizione tra mondo libero e autocrazia - o, per chi crede ancora alle “favole del Novecento”, tra capitalismo e socialismo - quanto piuttosto tra diversi centri di potenza (tra diverse volontà di potenza si potrebbe dire) in lotta tra di loro. In pratica, se si considera la contrapposizione tra la Cina e l‘America (e di conseguenza l’Occidente in quanto egemonizzato dall’America) sempre di “gabbie di acciaio” si tratta, nonostante le notevoli differenze tra i due sistemi politici.

In altri termini la “gabbia di acciaio tecnocratica” (una sorta di prigione senza muri) - che si può anche definire più brevemente come il Sistema - sembra essere il “nostro destino”, tanto che l'unica prassi politica possibile consisterebbe ormai nel potere scegliere tra i diversi modi in cui il Sistema si può sviluppare e configurare ovverosia tra le diverse "opzioni politico-sociali" offerte dal  Sistema stesso, essendo ogni altra scelta politica destinata a finire "nella discarica" della storia. Una questione (quella delle diverse "opzioni politico-sociali" possibili, s'intende) che indubbiamente ha la sua importanza, in specie per quanto concerne i diritti politici e civili, ma non decisiva se paragonata a quella che concerne l’essenza stessa del Sistema, in quanto quest’ultimo, basandosi comunque sulla potenza della Tecnica, di necessità deve accrescere la propria complessità e la propria potenza. Qualsiasi “situazione di equilibrio” (ossia qualsiasi limite) non può quindi che essere temporanea, dato che l’incremento illimitato della potenza del Sistema è sia il fine che il “motore” del Sistema.

Nondimeno, una crescita illimitata  di potenza e di complessità comporta pure che sia sempre maggiore il rischio di una “crisi catastrofica”. Come scrivono, infatti, Luke Kemp ed Erich K. Cline «When combined with ideas of systemic risk and the presence of a threshold effect for connectivity, there are grounds for believing that the larger and more interconnected a system is, the more susceptible it is to a catastrophe and the quicker and more complete will be its eventual disaggregation».(2)

Un conto, del resto, è mirare ad accrescere illimitatamente la propria potenza, un altro che non vi siano (più) limiti di nessun genere. Che il Sistema si stia già imbattendo in questi limiti può forse essere opinabile, ma non è certo un problema che riguardi solo la contrapposizione tra “apocalittici” e “integrati”, come dimostra la stessa questione dei "limiti ambientali", su cui si possono avere idee diverse ma che non sono solo il frutto della fantasia degli “apocalittici”, tanto che è lo stesso Sistema che li riconosce e al tempo stesso si propone di “superarli”, sia pure incrementando la propria potenza (e come potrebbe agire diversamente?).

Ma pure i limiti antropologici e sociali contano, anche se si mette in discussione la dicotomia “natura vs cultura”, proprio perché il fatto che l’uomo sia un animale storico e sociale non può non essere significativo per lo stesso Sistema, perlomeno nella misura in cui il Sistema si configura necessariamente sempre anche come un particolare sistema politico e sociale. E un animale storico e sociale non solo non può non “abitare”  la terra insieme con gli altri ma non può non agire in vista di qualche fine. E questo a maggior ragione vale per il Politico in quanto vuole e deve avvalersi della potenza della Tecnica in vista della conquista o della conservazione dell’egemonia.

La Tecnica comunque oggi è soprattutto la Tecnoscienza e quindi è assai diversa dalla tecnica antica, che si poteva considerare come uno strumento dell'uomo per raggiungere un determinato fine. La Tecnoscienza non ha, infatti, alcuno scopo preciso, ma  soprattutto è un “potere" di cui l'uomo non può disporre a proprio piacimento (in particolare è capacità di calcolo e di "manipolazione" di segni, cose e persone), e per quanto possa modificare i rapporti sociali e il nostro modo di “abitare” la terra, di per sé non produce nessuna coesione sociale né alcun senso intersoggettivamente condiviso. 

D’altra parte, è una pia illusione che si possa risolvere questo problema con i media mainstream  e l’attuale sistema educativo, che in realtà tendono a generare sempre maggiore frammentazione sociale e “conflitti identitari” che favoriscono le più pericolose forme di stasis (davvero significativa sotto questo profilo è l’attuale situazione sociale degli Stati Uniti, che in un certo senso si possono ancora considerare il Paese più “avanzato” non solo dell’Occidente ma del mondo).

Pare lecito quindi affermare che l’essenza della Tecnica è una volontà di potenza che ha come scopo principale l’incremento illimitato della propria potenza (praticamente si tratta dello stesso scopo politico del Sistema dato che è ancora la lotta per l’egemonia che contraddistingue il modo in cui l’uomo “abita” la terra).

Ciò nonostante, pure la coesione sociale è un fattore di potenza e la coesione sociale presuppone la capacità del Politico di istituzionalizzare il conflitto sociale, di difendere i legami comunitari e le diverse identità culturali che caratterizzano un sistema sociale. (3) D’altronde, nessun Sistema, per quanto potente, può perseguire dei fini che si escludono a vicenda o che distruggano la possibilità stessa di “abitare” la terra, in quanto presupposto necessario per l’esistenza stessa del Sistema. Vale a dire che il Sistema, se da un lato mira - e non può non mirare - ad accrescere la propria potenza illimitatamente grazie alla Tecnoscienza, dall'altro non può fare a meno di perseguire anche dei fini politici e sociali per consentire agli uomini di potere continuare  ad "abitare" la terra insieme con altri uomini. 

Comunque sia, che l’uomo sia un animale storico e sociale è indubbiamente vero ma è anche vero che è un animale politico e culturale - al punto da potersi esprimere con il linguaggio dell’arte - che vive grazie ad un ambiente non del tutto ostile e che peraltro l'uomo può pure cambiare con la tecnica per soddisfare i suoi bisogni e perseguire  molteplici e perfino opposti scopi. Tutto può essere pertanto il “mortale” fuorché indifferente nei confronti della terra che “abita” insieme con altri "mortali". 

Eppure è evidente che non è più possibile mettere in forma politico-culturale la Tecnica - ossia "domarla" - senza che su questa terra regni un’idea di potenza nettamente diversa da quella su cui si basa il Sistema, indipendentemente dalle sue varie configurazioni politiche. Tuttavia, anche se più volte nella storia si è espressa l'esigenza di "abitare altrimenti" la terra, nulla garantisce - per usare il lessico di Carl Schmitt - che sia possibile un nomos della terra, caratterizzato da un rapporto talmente agile e libero con la Tecnica da consentire agli "spiriti pacifici" di regnare su questa terra. 


Questo articolo è la prima parte (modificata) dell'articolo Il Sistema: il Politico, la Tecnica e il Capitalismo, pubblicato su Academia.edu.

(1) Si noti che non è neppure necessario condividere la cosiddetta "teoria del valore lavoro" di Marx (che com'è noto non riesce a spiegare la trasformazione del valore in prezzi) per parlare di sfruttamento del lavoro, dato che grazie a particolari rapporti di potere (politico ed economico) si possono imporre condizioni svantaggiose a chi vive del proprio lavoro (su questo argomento si vedano ad esempio C. Napoleoni, Valore, Milano, 1976,  P. Garegnani, F. Petri, Marxismo e teoria economica oggi, in Storia del marxismo, vol. 4, Torino, 1982, pp. 749-822, e S. Cesaratto, Heterodox Challenges in Economics, Cham, 2020, in specie pp. 36-58). Vedi anche F. Falchi, Il Sistema: il Politico, la Tecnica e il Capitalismo, pubblicato su Academia.edu.

 (2) L. Kemp, Erich K. Cline, Systemic Risk and Resilience: The Bronze Age Collapse and Recovery, disponibile sul sito Academia. edu.

(3) Non solo homo homini lupus ma anche homo homini homo è un "presupposto antropologico" del Politico e di conseguenza un "limite" del Sistema.

giovedì 3 agosto 2023

VECCHIO E NUOVO NEOCOLONIALISMO

La Comunità economica degli Stati dell'Africa Occidentale nota come Ecowas e composta attualmente da undici Stati africani (Benin, Capo Verde, Costa d'Avorio, Gambia, Ghana, Guinea Bissau, Liberia, Nigeria, Senegal, Sierra Leone, Togo) ha duramente condannato il golpe in Niger cui ha già imposto delle sanzioni. 

In particolare le sanzioni annunciate dall'Ecowas comprendono l'interruzione delle transazioni energetiche con il Niger, che riceve fino al 90% dell'energia dalla vicina Nigeria. Per di più, il 30 luglio scorso l'Ecowas ha lanciato un ultimatum alla giunta nigerina, minacciando un intervento militare, mentre il Mali e il Burkina Faso hanno dichiarato di essere pronti a difendere con le armi i golpisti nigerini.

La situazione è resa ancora più complicata dalla presenza di soldati francesi in Niger, a causa della forte ostilità che molti nigerini nutrono nei confronti della Francia (come del resto accade in altri Paesi africani che facevano parte dell'impero coloniale francese e che non tollerano più il vergognoso neocolonialismo francese), e da quella della Wagner (di fatto una organizzazione criminale di stampo mafioso), che potrebbe offrire i suoi "servigi" alla giunta militare nigerina, anche se non è chiaro se la Wagner abbia favorito in qualche modo questo colpo di Stato. 

Ovviamente, si deve anche tenere conto della presenza di bande islamiste nel Niger che, come in altri Paesi africani della macroregione di cui fa parte il Niger, costituisce un problema tutt’altro che facile da risolvere. Peraltro, non solo dal Niger passa buona parte degli africani che cercano di emigrare in Europa (sebbene si debba ricordare che la maggior parte degli africani emigrano in Paesi africani), ma è pure noto che le ricchezze minerarie del Niger fanno gola a diversi e potenti attori geopolitici.

D’altronde, non sono nemmeno chiari i motivi per cui i militari nigerini abbiano "deposto" il presidente Bazoum , che vinse le elezioni nel 2021 e che stava attuando un vasto programma di riforme sociali (riduzione dell'altissimo tasso di natalità, promozione dell'istruzione, in specie delle ragazze nigerine, ecc.) ed economiche, tanto che si stimava che, dopo molti anni di stagnazione, quest'anno il Pil del Niger sarebbe cresciuto addirittura del 7%.

Comunque sia - indipendentemente dall’immagine distorta e perfino grottesca che hanno dell’Africa (e non solo dell’Africa) i non pochi “zombi” occidentali (rossi, neri, rossobruni  o rozzobruni che siano) che scambiano i fantocci della loro immaginazione per la realtà - se si continuerà a non capire che quanto accade in Africa, ossia un continente in cui l’età media della popolazione è di circa vent’anni, non riguarda solo gli africani e che l’Africa non è solo un continente ricco di materie prime ma soprattutto un continente che manca di un’industria degna di questo nome, allora sarà inevitabile che il capitalismo predatore (occidentale e non occidentale) rivolga la propria punta distruttiva anche contro coloro che pensano che per risolvere i problemi basti negare che esistano.



mercoledì 2 agosto 2023

NOTA SULLA CONTROFFENSIVA UCRAINA

 Che la controffensiva ucraina non sarebbe stata un’impresa facile era scontato. Troppi i punti deboli dell’esercito ucraino: scarso addestramento di molti soldati, numero insufficiente di ufficiali esperti, pochi mezzi del genio per aprire corridoi liberi da mine, situazione logistica tutt’altro che eccellente per dover gestire un numero troppo elevato di mezzi militari di tipo diverso, mancanza di potere aereo e una limitata potenza di fuoco.

In pratica, Kiev puntava molto su un crollo del morale dei soldati russi che non c’è stato. Il “fighting power” dell’esercito russo varia molto, ma nel complesso i russi hanno dimostrato di sapere difendersi. Inoltre è evidente che i russi abbiano fatto notevoli progressi nella guerra elettronica e in quella dei droni.

La controffensiva ucraina quindi rischia di essere caratterizzata da una serie di battaglie di logoramento, che avvantaggerebbe chi si difende, non certo chi attacca o chi, come i russi, gode di un netto vantaggio sotto il profilo demografico.

Tuttavia questo non significa che la controffensiva ucraina sia già da considerare un fallimento.
Gli ucraini, difatti, si battono con la consueta determinazione e continuano a cercare di creare le condizioni per aprirsi un varco nelle difese russe e non hanno ancora impiegato un buon numero delle loro migliori brigate.

Nel settore settentrionale del fronte hanno respinto un forte attacco dei russi, che hanno dimostrato ancora una volta di avere enormi difficoltà a condurre una guerra di movimento.
Nel settore di Bakhmut hanno conquistato alcune posizioni importanti, rendendo assai precaria la situazione dei russi che occupano Bakhmut, sebbene non si possa (ancora) parlare di un vero e proprio accerchiamento.

Ma, com’è noto, l’esercito ucraino cerca di sfondare le difese russe soprattutto nel settore centro-meridionale del fronte, puntando a tagliare il “corridoio” che unisce la Crimea e il Donbass.
Nella zona di Robotyne, presso Orichiv, l’attacco ucraino ha avuto (almeno per ora) scarso successo e gli ucraini hanno pure subito perdite notevoli di mezzi e uomini. Del resto, la zona del fronte compresa tra Orichiv e Tokmok (la città che rappresenta il centro strategico di questo settore) è fortemente difesa dei russi.

Maggiore successo gli ucraini hanno invece avuto nel settore del fronte più ad est. Qui gli ucraini sono penetrati nelle difese russe - che sono peraltro assai meno forti che nella zona di Tokmok – giungendo fino a Staromaiorske. Un successo tattico notevole tanto più che gli ucraini stanno spingendo in direzione di Staromlynivka, costringendo i russi ad impiegare diverse unità di riserva per cercare di arrestare l’avanzata ucraina.

Lo scopo di questo attacco ucraino è chiaramente quello di tagliare la linea ferroviaria che collega Tokmok e Donetsk passando dalla cittadina di Azov (al confine tra la provincia di Zaporizhia e quella di Donetsk) e da Volnovacha che però distano (in linea d’aria) da Staromlynivka rispettivamente circa 35 km e 50 km.

Comunque, l'azione più "incisiva" dell’esercito ucraino è l’attacco con i missili ai centri logistici e di comando russi, che potrebbe offrire agli ucraini l’occasione per superare le difese russe in direzione di Mariupol o di Berdiansk, acquisendo il controllo della linea ferroviaria che collega Tokmok e Donetsk, che è certamente una arteria logistica di vitale importanza per l’esercito russo.
Nondimeno, la forte resistenza che i russi oppongono anche in questo settore fronte è tale che per essere superata dovrebbe verificarsi un vero e proprio collasso della logistica russa prima che cominci la cattiva stagione.

Sono quindi ancora possibili diversi “scenari”. Quello attualmente più probabile è che la situazione militare alla fine di quest’estate non sia molto differente da quella che vi era nella primavera scorsa, anche se non si può escludere né un successo (sia pure limitato) degli ucraini né una vittoria difensiva dei russi. Assai meno probabile, ma non impossibile, è un crollo dell’esercito russo, mentre il rischio che corre l’esercito di Kiev è di concludere questa controffensiva senza un successo militare degno di nota e con gravi perdite di uomini e mezzi ossia si concluda con un sostanziale fallimento.

Vi sono buone dunque probabilità che la guerra non termini entro la fine di quest’anno sia perché né Kiev né Mosca sembrano disposte a riconoscere che la guerra non può concludersi con una vittoria totale di nessuno dei due belligeranti, sia perché sul fronte diplomatico “non si muove foglia”, anche se forse, soprattutto a Washington, si aspetta che finisca quest’estate per “tirare le somme” e, sulla base della situazione militare creata dalla controffensiva ucraina, cercare di arrivare perlomeno ad un cessate il fuoco duraturo (ma questo ovviamente dipende anche da Mosca che sembra puntare invece soprattutto su una vittoria di Trump nelle elezioni presidenziali del 2024), dato che non solo per la Russia e per l’Ucraina i costi di un eccessivo prolungamento della guerra con ogni probabilità sarebbero nettamente maggiori dei benefici.