mercoledì 31 maggio 2023

QUESTIONE UCRAINA E "GIUSTA MISURA"

Mykhailo Podolyak, consigliere del capo dell'ufficio del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, qualche giorno fa ha dichiarato: "È importante chiamare le cose con i loro nomi. Il mondo civile deve riconoscere che Putin e la sua cricca, accusati di crimini di guerra, non sono più i legittimi rappresentanti della Russia nel mondo e, quindi, non c'è nulla di cui parlare con loro. Le autorità russe dovrebbero essere rimosse da tutte le istituzioni internazionali, compreso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Quando il regime cambierà, parleremo con i successori. In particolare, sui risarcimenti e sul programma di disarmo nucleare".

Orbene, a prescindere dalla questione di come sarebbe possibile "mettere in galera" tutti i membri del  regime di Putin (o si pensa davvero che l'esercito ucraino possa issare la bandiera ucraina sul Cremlino?), è palese che il regime nazionalista di Kiev ormai mira a raggiungere scopi (geo)politici  che sono ben diversi dalla difesa dell'indipendenza dell'Ucraina, vale a dire che in pratica Kiev mira ad ottenere ad una sorta di resa senza condizioni della Russia di Putin.*

Ovviamente Kiev può avere questo scopo in quanto gode del pieno sostegno della Nato e in particolare degli estremisti euro-atlantisti, per i quali conta soprattutto indebolire la Russia il più possibile, nonostante che l'invasione russa dell'Ucraina abbia già permesso all'America di formare un “blocco occidentale” e di tagliare i ponti tra la Russia e la Germania, che era l'obiettivo strategico principale dell'America.**

Posta in questi termini la questione ucraina muta radicalmente di senso, dato che non si tratta più di condannare l'invasione russa dell'Ucraina con tutte le gravi conseguenze che ne sono derivate, bensì - anche tenendo conto che la Russia non è riuscita ad inglobare con la forza l'Ucraina nel proprio spazio geopolitico - della necessità di "mettere un freno" alla russofobia euro-atlantista e alle ambizioni di un regime che pare "accecato" dal nazionalismo.

Chiaramente non si tratta di condividere le farneticazioni e le scempiaggini dei filoputiniani. Ciò nonostante, non si può  neppure continuare a ripetere a pappagallo che è solo Kiev che deve "decidere", tanto più che l'Ucraina dipende del tutto dagli aiuti economici e militari dell'Occidente. 

D'altronde, è ovvio che non ha nemmeno senso parlare di pace in questo contesto, tanto è vero che attualmente non esistono nemmeno le condizioni politiche  e militari per arrivare ad un cessate il fuoco. A tale proposito è significativo che anche secondo Ursula von der Leyen "un cessate il fuoco che porti in un conflitto congelato non creerà alcuna pace duratura. Dopo il conflitto del 2014 era in vigore un cessate il fuoco e sappiamo cosa è successo a quell'accordo lo scorso febbraio, quando la Russia ha iniziato l'invasione. Un cessate il fuoco sarebbe intrinsecamente instabile e destabilizzerebbe la regione lungo la linea di contatto."

Tuttavia, ciò che sostiene Ursula von der Leyen avrebbe senso se fosse vero che costringendo i russi a ritirarsi da tutti i territori dell'Ucraina che hanno occupato (Crimea inclusa) non solo crollerebbe il regime di Putin ma a Mosca si insedierebbe un governo filo-occidentale, di modo che la Russia non nutrirebbe più alcun "desiderio di rivincita". Certo, questo è possibile ma solo dei mentecatti non distinguono il possibile dal probabile. Comunque sia, in guerra si deve tener conto soprattutto dello scenario peggiore (si badi che, rebus sic stantibus, nulla garantisce che se cadesse il regime di Putin, in Russia vi sarebbe un regime politico migliore di quello di Putin).

Pertanto, se si volesse cercare di risolvere la questione ucraina in un'ottica geopolitica "realistica", anziché meramente ideologica, ci si dovrebbe adoperare per creare delle condizioni politiche e certo anche militari ((non è questo in discussione, con buona pace di chi pensa che basti non inviare più armi a Kiev per fermare la macchina da guerra russa) che consentano di arrivare perlomeno ad un cessate il fuoco "duraturo" (difficile ma non impossibile, ad esempio creando un'ampia fascia smilitarizzata), dato che se non si riesce neppure a "congelare" questo conflitto senza mettere a repentaglio la sicurezza dell'Ucraina, sembra irrealistico parlare di pace (sempre che non si ritenga di potere imporre una sorta di unconditional surrender alla Russia).


In definitiva, anche se si ritiene necessario aiutare l'Ucraina perché sia in grado di trattare con la Russia nelle migliori condizioni politiche e militari possibili, si dovrebbe evitare di commettere lo stesso disastroso errore compiuto dalla Russia aggredendo l'Ucraina, ossia credere di potere risolvere "definitivamente" con la guerra una questione geopolitica complessa come quella dei rapporti tra la Russia e la Nato, dalla quale, del resto, dipende la stessa questione dell'indipendenza e della sicurezza dell'Ucraina.


*Considerando le ferite inflitte dalla Russia all'Ucraina si può capire che l'Ucraina voglia “punire” il regime di Putin (e l'Ucraina ne ha pure il diritto, giacché è impossibile giustificare i crimini commessi in Ucraina dal regime di Putin, che del resto non si distingue più da un regime di polizia, che si potrebbe definire "neostalinista"), ma se si è intellettualmente onesti si deve anche ammettere che se ci fosse una Corte Penale Internazionale imparziale e riconosciuta da tutta la comunità internazionale sul banco degli imputati dovrebbero sedere non solo russi ma americani, sauditi, israeliani, turchi, iraniani e via dicendo (compresi neonazisti ucraini). Insomma, quel che è intollerabile è il solito "doppiopesismo" dell'Occidente neoliberale che usa pure questa guerra come foglia di fico per coprire le sue vergogne.

** Anche se non è questa la sede per un’analisi geopolitica della questione ucraina a partire dal crollo dell’Unione Sovietica, si dovrebbe comunque tenere presente che riconoscere che la "narrazione putiniana" della questione ucraina “fa acqua” da tutte la parti, non implica che sia vera quella euro-atlantista.



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giovedì 25 maggio 2023

TRA SCILLA E CARIDDI

Che la guerra che l'esercito ucraino sta combattendo contro quello russo da più di un anno sia praticamente anche una guerra di liberazione nazionale è difficile metterlo in dubbio (nonostante che in Occidente sulla "spinosa" questione della minoranza ucraina filorussa o etnicamente russa sia calato un silenzio pressoché totale). Tuttavia, è anche difficile negare che lo scopo di diversi Paesi della Nato non sia tanto difendere la sovranità e la sicurezza dell'Ucraina quanto piuttosto - anche per varie e note ragioni storiche - creare una nuova cortina di ferro in Europa. Eppure è ovvio che nessuna "pace" (che non è sinonimo di “cessate il fuoco”) è possibile in Europa senza che vi sia un sistema di sicurezza collettivo che comprenda anche la Russia.

In sostanza, anche se è indubbio che i rapporti tra l'Europa e la Russia di Putin non possano più essere quelli che esistevano prima del 24 febbraio dell'anno scorso, è pure assurdo (anche senza considerare che l'Ucraina dipende ormai del tutto dagli aiuti occidentali) sostenere che è necessario difendere l'Ucraina anche per difendere gli interessi (geo)politici dell'Europa e al tempo stesso affermare che è "solo Kiev che deve decidere" come porre fine a questa guerra, quasi che fosse il regime nazionalista ucraino a dovere decidere quali siano gli interessi (geo)politici dell'Europa (Italia, inclusa ovviamente) e come difenderli.

D'altronde, è noto che il governo di Kiev ha approvato un decreto che esclude ogni trattativa dell'Ucraina con il regime di Putin. Con chi allora si dovrebbe trattare o, se si preferisce, con chi si dovrebbe fare la pace? E, a prescindere dal fatto che non si può vendere la pelle dell'orso prima di averlo ucciso, che accadrebbe se l'intero sistema politico-militare russo dovesse crollare a causa di una devastante sconfitta militare? Non è forse vero che gli stessi americani temono il pericolo di una "disgregazione" della Federazione Russa, dato che avrebbe conseguenze tali da destabilizzare gravemente la scacchiera geopolitica mondiale?   

Del resto, anche affermare che si deve aiutare l'Ucraina fino a quando sarà necessario non significa nulla se non si precisa che si intende per "necessario". Certo, nessuno ha la soluzione in tasca per risolvere la questione ucraina, ma si deve anche essere consapevoli che in questa guerra vi sono troppi interessi e troppo diversi, tanto che non vi è alcuna iniziativa diplomatica, nonostante che si siano già frustrate le ambizioni imperiali della Russia di Putin, impedendole di insediare un governo filo-russo a Kiev per inglobare con la forza l'Ucraina nello spazio geopolitico russo. 

Al riguardo, è interessante notare che secondo un recente sondaggio di Swg per TgLa7 il 29% degli italiani, benché sia favorevole al sostegno militare dell'Ucraina, ritiene comunque necessario arrivare ad una soluzione diplomatica del conflitto anche a costo di un "compromesso territoriale" con la Russia. Si tratta di una posizione che, la si condivida o no, è ben diversa da quella dei filoputiniani o dei vari "pacifinti" e che ha perlomeno il merito di evidenziare che la sicurezza e la sovranità dell'Ucraina non dipendono "necessariamente" dalla riconquista di tutti i territori dell'Ucraina, Crimea inclusa, come invece sostiene Kiev privilegiando, di fatto, un'ottica meramente nazionalista.

In definitiva, solo chi condivide una immagine fasulla del mondo può ritenere che il miglior modo di combattere la prepotenza del regime di Putin sia favorire la russofobia del regime nazionalista ucraino  e dei "falchi" euro-atlantisti, che "sognano" di imporre alla Russia una sorta di unconditional surrender, benché sia pure evidente che agendo così si rischia solo di trasformare questa guerra in una guerra esistenziale per la Russia stessa con conseguenze facilmente immaginabili.


lunedì 22 maggio 2023

BAKHMUT: UNA VITTORIA DI PIRRO?

Nulla di strano che in un Paese come il nostro anche la guerra russo-ucraina venga narrata come fosse una partita di calcio.  Non potevano quindi nemmeno mancare le zuffe tra opposte tifoserie riguardo alla "caduta di Bakhmut".

In realtà i russi  o, meglio, i "mercenari" della compagnia privata Wagner sono riusciti a conquistare solo l'area urbana di Bakhmut, dopo oltre otto mesi  di continui e costosi attacchi frontali, mentre l'esercito ucraino nelle ultime settimane è riuscito a rafforzare le sue posizioni a nord e a sud della città di Bakhmut.

In pratica la battaglia di Bakhmut, anche se è costata più ai russi o alla Wagner che agli ucraini (sempre che non si creda che l'acqua scorra dal basso verso l'alto),  è costata cara pure agli ucraini, proprio in quanto è stata una battaglia di fanteria, anziché una battaglia "manovrata" (combattuta cioè principalmente da forze meccanizzate e che gli ucraini  hanno dimostrato di saper condurre meglio dei russi). Ma che la conquista di Bakhmut sia una sorta di vittoria di Pirro per i russi è difficile negarlo se si considera che a Bakhmut gli ucraini hanno “bloccato” per circa otto mesi l'esercito russo (Wagner inclusa ovviamente), conservando intatta gran parte delle loro brigate meccanizzate. 

Difatti, secondo diversi analisti gli ucraini a Bakhmut avrebbero "mirato soprattutto all'uomo" (ossia a distruggere o logorare le unità nemiche), nonostante che per Zelensky la difesa di Bakhmut fosse importante anche per motivi politici, mentre la Wagner avrebbe mirato soprattutto a conquistare il territorio (ossia proprio la città di Bakhmut), sebbene Prigozhin abbia dichiarato il contrario. Kiev, del resto, avrebbe scelto di assegnare alle brigate meccanizzate e soprattutto a quelle di nuova formazione (composte perlopiù da soldati addestrati in Occidente) gran parte dell'equipaggiamento e delle armi forniti dai Paesi occidentali, rimpiazzando le perdite - certo notevoli - delle brigate impiegate nella zona di Bakhmut con delle reclute in buona misura scarsamente addestrate.

Comunque sia, per capire l'importanza della battaglia di Bakhmut (sotto il profilo militare, s'intende, dato che sotto il profilo politico è indubbiamente un successo di Prigozhin assai più che un successo dell’esercito russo) si dovrebbe sapere non solo quali e quante "energie"  entrambi gli eserciti abbiano speso in questa battaglia ma soprattutto se i russi saranno in grado di sfruttare sotto il profilo “operativo” la conquista di Bakhmut (che di per sé conta poco o nulla) oppure saranno gli ucraini a sfruttare la conquista di posizioni migliori nella zona di Bakhmut. 

D'altronde, non si deve nemmeno dimenticare che dallo scorso ottobre vi è una sostanziale situazione di stallo in tutti gli altri settori del fronte (che è lungo circa 600 miglia) e che da mesi i russi costruiscono linee difensive in profondità (sebbene i russi continuino a premere anche nel settore di Avdiivka). L'unico tratto del fronte in cui non vi sono difese russe in profondità è appunto la zona di Bakhmut, ragion per cui diversi analisti ritengono che gli ucraini potrebbero avanzare a nord e/o a sud della città per cercare di accerchiare i soldati russi che nei prossimi giorni dovrebbero prendere il posto della Wagner nella città di Bakhmut. È probabile quindi che i russi siano costretti a rafforzare le loro difese anche in questa zona del fronte, facendovi affluire delle unità che si trovano in altri settori. 

Certo, per gli ucraini non sarebbe facile sfondare il sistema difensivo costruito dai russi, anche se è lecito ritenere che la difesa russa non possa che essere una "difesa statica". In ogni caso la controffensiva ucraina, di cui si parla da settimane, anche nel migliore dei casi ben difficilmente potrà raggiungere risultati tali da porre fine a questa guerra (a meno che non si verifichi un assai improbabile crollo di tutto il fronte russo) né si può escludere che possa perfino fallire. Ovvio quindi che gli ucraini aspettino di essere preparati nel modo migliore possibile sotto ogni profilo (logistico, operativo ecc.), prima di lanciare una controffensiva o una serie di controffensive, tanto più che dispongono di risorse e mezzi limitati (del resto è noto che all'Occidente occorrerebbero parecchi mesi per potere rimpiazzare le perdite ucraine). 

Saranno quindi le prossime settimane o addirittura i prossimi mesi a chiarire non solo la reale importanza politico-militare della battaglia di Bakhmut (che in un certo senso non è ancora terminata) ma quale dei due eserciti saprà trarre più profitto da questa sanguinosa e lunghissima battaglia combattuta (occorre non dimenticarlo) in terra ucraina. Non è però azzardato sostenere fin d'ora che la conquista russa di Bakhmut sia troppo simile ad una vittoria di Pirro per poterla considerare una vera vittoria.

venerdì 19 maggio 2023

EUROPEISMO O EURO-ATLANTISMO?

Più passa il tempo e più paiono evidenti, perlomeno a chi scrive, le ragioni geopolitiche della mancanza di una chiara e precisa strategia dell'Occidente per risolvere “politicamente” (ossia in modo definitivo) la questione ucraina (sempre che non si ritenga una strategia chiara e precisa limitarsi a sostenere che è "Kiev che decidere"), indipendentemente dal giudizio negativo sulla prepotenza del regime (autocratico e perfino cleptocratico) di Putin e dal fatto che si deve tener conto della volontà politica di Kiev (sebbene non si possa dimenticare che l'Ucraina adesso dipende totalmente dagli aiuti economici dell'Occidente e in particolare da quelli militari degli Usa, senza i quali l'esercito di Kiev praticamente non potrebbe più combattere contro l'esercito russo).

Da un lato, infatti, vi è la volontà non solo degli americani ma degli europei di difendere l'Ucraina dalla aggressione russa. Del resto, la Russia aggredendo l'Ucraina non ha dato altra possibilità all'Europa di schierarsi dalla parte dell'America per contribuire alla difesa della indipendenza e della sovranità dell'Ucraina. 

Dall'altro, è ormai chiaro che lo scopo degli Usa non è solo quello di difendere l'Ucraina ma di dar vita ad un blocco occidentale per cercare di "porre un freno" al declino dell'egemonia dell'America.

In quest'ottica è ovvio non solo che gli Usa non abbiano alcun interesse a rischiare una escalation nello scontro che oppone la Nato alla Russia, ma che non abbiano nemmeno particolare interesse a cercare di risolvere “politicamente” la questione ucraina, dato che la presenza di una "Russia ostile" - ossia di un “nemico geopolitico” dell’Europa - è condizione necessaria per la formazione di un blocco occidentale egemonizzato dagli Usa, senza il quale sarebbe assai più difficile per l'America competere con la Cina e, in generale, fare fronte alle sfide del multipolarismo.

Orbene, anche sotto questo profilo è innegabile che sia significativa la differenza tra europeismo ed euro-atlantismo, dato che la formazione di un simile blocco occidentale non favorirebbe certo l'autonomia strategica dell'Europa. Va da sé che una tale autonomia è necessaria nella misura in cui si ritiene che gli interessi dell’Europa siano diversi da quelli dell’America, anche se non si mette in discussione l’importanza del “profondo legame” che unisce l’Europa all’America.

Tuttavia, per gli europei la “ridefinizione” della scacchiera geopolitica mondiale - che peraltro è decisiva pure per cercare di risolvere “politicamente” la questione ucraina, senza che ovviamente ciò implichi che si debba rinunciare a difendere l’indipendenza e la sovranità dell’Ucraina - è resa perfino più complicata dal fatto che non esiste una sola Europa, al punto che appare sempre più netta la contrapposizione tra una Ue euro-atlantista, perlopiù baltica e orientale, e una Ue soprattutto occidentale e mediterranea, che però non sa o non vuole riconoscere che pure questa stessa contrapposizione in definitiva dipende proprio dalla netta differenza tra euro-atlantismo ed europeismo.

*Ora comunque Washington sembra essere disposta a permettere ad alcuni Paesi europei di cedere degli F-16 all'Ucraina, anche se dovranno passare diversi mesi prima che Kiev possa impiegare degli F-16 in combattimento. In ogni caso è netto il "divieto americano"  di colpire il territorio russo ossia le retrovie logistiche dell'esercito russo che combatte in Ucraina.

martedì 16 maggio 2023

QUALE EUROPA?

 "La Lituania e la Lettonia, seguendo la decisione dei giorni scorsi della Polonia, stanno per abbandonare il toponimo Kaliningrad nei documenti ufficiali: al posto del nome sovietico della città, si propone di utilizzare Karaliaucius in Lituania e Karalauci o Kenigsberga in Lettonia. Lo riferisce il sito bielorusso indipendente Nexta. La scorsa settimana Varsavia aveva annunciato che i polacchi d'ora in poi chiameranno l'exclave di Kaliningrad con l'antica denominazione in lingua madre di Krolewiec. Il Cremlino ha protestato parlando di una 'decisione al limite della follia' e definendola 'un atto ostile'" (SKYTG24, 16-05-23) 

Si continua quindi a gettare benzina sul fuoco. Peraltro, il fatto che la narrazione filoputiniana della "questione ucraina" si basi sulla fantastoria e sulle bufale della propaganda di Mosca, non implica affatto che pure la Nato e l'America non abbiano gettato benzina sul fuoco anche prima dell'aggressione russa contro l'Ucraina.

Insomma, che esista anche un estremismo atlantista che ha solo rafforzato l'estremismo nazionalista russo è innegabile, anche se ciò non giustifica in alcun modo la politica di prepotenza della Russia, con buona pace dei filoputiniani o "pacifinti" che si arrampicano sugli specchi per difendere la scellerata aggressione russa dell'Ucraina, "ignorando" in particolare che non è solo il regime di Kiev ma la stragrande maggioranza degli ucraini (russofoni inclusi) ad opporsi con determinazione all'aggressione russa (il che, del resto, è stato il motivo principale del fallimento del disegno strategico della Russia, consistente, com'è ormai noto, nel cercare di insediare un governo filorusso a Kiev).

D'altronde, accusare la Germania o altri Paesi occidentali  di avere favorito la politica di prepotenza della Russia e addirittura l'invasione russa dell'Ucraina solo per avere cercato di rafforzare i rapporti tra la Russia e l'Europa, è assurdo perché i motivi che possono avere indotto Putin ad aggredire l'Ucraina sono evidentemente assai diversi, altrimenti non si spiegherebbe nemmeno perché Putin non abbia cercato di inglobare con la forza l'Ucraina nello spazio geopolitico russo nel 2014 o nel 2015 ossia allorché l'esercito ucraino era assai più debole di quanto lo fosse prima del 24 gennaio dell'anno scorso, benché sia ormai evidente che la Russia di Putin abbia sempre considerato l’Ucraina come parte della “Grande Russia”.

Comunque sia, è chiaro che la cosiddetta “unità (geo)politica” dell'Europa è solo "apparenza", dato che in realtà l'Europa si limita a seguire le direttive strategiche dell'America, mentre aumenta sempre più il "peso geopolitico" di un'Europa (soprattutto baltica e orientale) russofoba che considera non la Russia di Putin ma la Russia stessa un nemico "a priori" e che di conseguenza si contrappone ad un'altra Europa (soprattutto occidentale - Gran Bretagna esclusa, ovviamente - e mediterranea).

Certo, ormai non è più possibile inserire la Russia di Putin nel quadro geopolitico europeo e non si può neppure rinunciare a difendere l'indipendenza e la sovranità dell'Ucraina facendo fallire le "ambizioni imperiali" della Russia. E il fatto che sia soprattutto l'America - che pure più volte in questi ultimi decenni si è resa responsabile di "aggressioni" di vario genere -  a difendere l'Ucraina non significa che la "causa degli ucraini" non meriti di essere difesa.

Nondimeno, è ovvio che la creazione di una nuova cortina di ferro in Europa non possa che favorire una pericolosa destabilizzazione del Vecchio Continente e che in ogni caso non sia nell’interesse di coloro che ritengono essenziale che l’Europa acquisisca una vera autonomia strategica.

lunedì 15 maggio 2023

QUALE OCCIDENTE?

Non c'è bisogno di conoscere la tesi di Elisabeth Noelle-Neumann, secondo cui i media riducono al silenzio (è la cosiddetta "spirale del silenzio") chiunque esprima idee diverse da quelle della maggioranza (ossia, di fatto, quelle dei gruppi dominanti), per rendersi conto che i media e in particolare la televisione non solo sono in grado manipolare l'opinione pubblica ma, diffondendo il timore di essere isolati o emarginati, rafforzano il conformismo intellettuale e l'omologazione dell'opinione pubblica. 

Nemmeno Internet, del resto, ha ridotto il potere di persuasione dei media mainstream, mentre ha contribuito a diffondere altre forme di "pensiero unico" o di "disordine mentale", che si  caratterizzano per un conformismo e una intolleranza sotto certi aspetti perfino peggiori di quelle che caratterizzano i media mainstream. 

Non vi è da stupirsi, quindi, che siano numerosi coloro che (giustamente, si intende) si indignano e protestano per il modo vergognoso e inaccettabile in cui si è punito Assange, ma non hanno nulla da obiettare riguardo al modo in cui in Russia viene trattato chiunque osi esprimere una opinione contraria a quella considerata "politicamente corretta" dal regime  di Putin. E un discorso analogo vale anche per Paesi come la Cina o l'Iran, in cui chi "dissente" viene non solo censurato ma messo in carcere o addirittura "eliminato". 

In sostanza, è il solito errore della sinistra che si vuole contrapporre alla sinistra liberal-progressista, quello di ignorare la dottrina dello Stato e al tempo stesso le dure repliche della storia, tanto da fare ancora l'apologia di regimi, che, sia pure solo per quanto concerne il "metodo di regno", non si distinguono da una qualsiasi dittatura.

D'altronde, definire "socialismo imperfetto" una dittatura (o una autocrazia elettiva), contraddistinta pure  da forme di sfruttamento del lavoro perfino peggiori di quelle che esistono attualmente nei Paesi liberal-capitalisti, significa ovviamente soltanto evitare di riconoscere il fallimento politico del comunismo e di trarne le inevitabili conseguenze politiche. 

Peraltro, anche se fino a pochi anni fa si poteva sostenere (e chi scrive lo ha sostenuto esplicitamente) che la Russia e la Cina limitavano la prepotenza dell'America e dell'Occidente atlantista, e sotto questo profilo potevano svolgere un "ruolo geopolitico" positivo,  oggi questo giudizio non può essere più condiviso. La Russia, aggredendo l'Ucraina, ha scelto infatti una politica di prepotenza che ha pure favorito, non certo indebolito, l'egemonia degli Usa sull'Europa. 

Ma, ad ulteriore conferma del fatto che è necessario considerare anche il particolare sistema politico di un Paese per comprendere il suo  "ruolo geopolitico", anche la stessa Cina di Xi Jinping, oltre a soffocare ogni forma di dissenso come in Russia, pare essere sempre più caratterizzata da una politica di potenza, sebbene finora la Cina non abbia aggredito alcun Paese (la stessa invasione cinese del Vietnam nel 1979 - una sorta di "spedizione punitiva" - aveva un chiaro scopo difensivo e nettamente limitato nel tempo e nello spazio) a differenza della Russia (e degli Usa). 

Certo, in questi ultimi anni l'America ha visto ridursi la propria influenza nel mondo e sembra avere preso atto dei limiti della propria potenza, ma il declino "relativo" dell'egemonia americana, anziché favorire nuove forme di cooperazione internazionale, ha favorito la crescita della "brama di potere" di grandi e piccoli potenze.

La storia del secolo scorso, del resto, ha insegnato che sia uno Stato nazional-capitalista che uno Stato comunista o "sedicente" socialista sono diversi da uno Stato liberal-capitalista, ma questo non significa che non possano perseguire degli "scopi di dominio" anche e soprattutto con mezzi più brutali di quelli impiegati dall'Occidente liberal-capitalistico, che deve pur sempre tener conto dei limiti imposti al "potere" dallo Stato di diritto e da una società "relativamente aperta".

Comunque, nonostante che vi sia una differenza notevole tra una dittatura o un regime autoritario e un regime neoliberale (in cui l'uso del bastone contro chi "dissente" non è la regola ma l'eccezione), se si è intellettualmente onesti si deve riconoscere che anche in Occidente prevale ormai una "volontà di potenza" che sembra non avere limiti grazie ad una tecnologia sempre più raffinata e "potente".

Nondimeno, è difficile negare che l'attuale sistema neoliberale si sia dimostrato incapace di far fronte alle sfide della tecnoscienza e della cosiddetta "postmodernità" senza generare dei problemi che non riesce a risolvere, benché si possa affermare che una valida alternativa politica e geopolitica al sistema neoliberale occidentale sia ancora tutta da costruire, difendendo quegli spazi di democrazia e libertà che ancora esistono in Occidente e soprattutto essendo consapevoli non solo che il mondo occidentale non è il mondo ma che, in un certo senso, è la tecnoscienza stessa a rendere necessario un altro modo di “abitare la terra”.


domenica 7 maggio 2023

IL POLITICO, l’ECONOMICO E LA “TRAPPOLA DI TUCIDIDE”

 Il 17 febbraio scorso il Financial Times ha pubblicato un appello per la pace promosso dagli economisti Emiliano Brancaccio e Robert Skidelsky. In questo appello i Nostri sostengono che "occorre riconoscere che le contraddizioni del sistema economico globale deregolamentato hanno reso le tensioni geopolitiche estremamente più acute". Difatti, "i Paesi occidentali hanno accumulato ingenti debiti verso l’estero, mentre la Cina, altri Paesi orientali, e in parte anche la Russia, sono in una posizione di credito verso l’estero", di modo che sia gli Stati Uniti che i loro principali alleati (Ue inclusa) hanno adottato una politica "protezionista sempre più accentuata nei confronti delle merci e dei capitali provenienti da Cina, Russia e gran parte dell’Oriente non allineato."  

Una tale "svolta protezionista", guidata dalla potenza (occidentale) egemone avrebbe però creato "condizioni favorevoli a nuovi scontri militari", tanto che pure "il conflitto in Ucraina e le crescenti tensioni in Estremo e Medio Oriente possono essere pienamente compresi solo alla luce di queste gravi contraddizioni economiche."

Pertanto, secondo i Nostri, per evitare che si giunga ad un (disastroso) “regolamento bellico dei conti” tra un Occidente protezionista e un "Oriente" liberoscambista, occorrerebbe "un piano per regolare gli squilibri delle partite correnti, che si ispiri al progetto di Keynes di una international clearing union. Lo sviluppo di questo meccanismo dovrebbe partire da una duplice rinuncia: gli Stati Uniti e i loro alleati dovrebbero abbandonare il protezionismo unilaterale del 'friend shoring', mentre la Cina e gli altri creditori dovrebbero abbandonare la loro adesione al libero scambio." 


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L'analisi di Brancaccio e Skidelsky è - almeno per chi scrive - sostanzialmente corretta sotto il profilo economico. Tuttavia, l'attuale lotta per l'egemonia non si configura soltanto come una sfida economica (o ideologica) ma come una sfida sistemica, ossia si tratta anche e soprattutto di una sfida politico-strategica e militare, che è l'ostacolo maggiore che si dovrebbe superare per indurre sia l'America che la Cina a rinunciare rispettivamente al protezionismo e al libero scambio, dato che (come i Nostri riconoscono) attualmente tali condizioni (geo)politiche non ci sono.

Al riguardo si deve anche tenere presente che pure la Russia è una potenza anti-egemonica, sia pure solo sotto il profilo politico-strategico e militare, nonostante che si sia rivelata assai più debole di quanto si potesse immaginare prima che invadesse l'Ucraina. Ma ovviamente le ragioni per cui la Russia ha aggredito l'Ucraina sono innanzitutto (geo)politiche, non economiche (sempre che non si voglia sostenere che la Russia ha aggredito l'Ucraina per difendere le proprie relazioni commerciali con l'Europa occidentale - e in particolare con la Germania!). 

Poteva forse una potenza egemone come l'America tollerare una simile aggressione? Potevano forse i Paesi dell'Europa orientale membri della Nato e perfino quelli scandinavi fidarsi ancora della Nato ossia dello "scudo militare" americano se gli Usa non avessero reagito con decisione all'invasione russa dell'Ucraina? E come negare che, aggredendo l'Ucraina (che prima del 24 febbraio dell'anno scorso di fatto era già un cosiddetto "partner rafforzato" della Nato, insieme con l'Australia, la Finlandia, la Svezia, la Georgia, la Giordania e la Svezia), la Russia (che possiede migliaia di testate nucleari) ha praticamente puntato una pistola carica "alla tempia" dei Paesi dell'Europa orientale e di quelli scandinavi proprio in quanto membri o "partner rafforzati" della Nato? E si badi che si tratta di una minaccia che è impossibile sottovalutare se si considerano i rapporti che ci sono stati tra questi Paesi e la Russia nei secoli passati.

D’altronde, non si può nemmeno non tenere conto che gli Stati Uniti hanno già dovuto accettare una drastica riduzione della loro influenza in Medio Oriente (mentre proprio la Russia è riuscita a consolidare le sue posizioni in quest'area nonché nel continente africano), oltre ad essere andati incontro ad un ignominioso fallimento politico-strategico in Afghanistan. Invero, l'America in questi ultimi anni ha visto ridursi progressivamente la propria influenza sulla “scacchiera globale” (anche sotto il profilo economico, si intende, dato che si è formata un'area geoeconomica non più egemonizzata dagli Usa, come dimostra pure il fatto che sono numerosi i Paesi che hanno deciso di non imporre delle sanzioni alla Russia e che mettono pure in discussione la stessa "egemonia del dollaro"), mentre è pure costretta a "fare i conti" con una Cina che non è solo la maggiore potenza industriale mondiale ma mira a diventare una superpotenza militare e quindi ad essere la potenza egemone sotto il profilo geopolitico (perlomeno) dell'intero continente asiatico.                 *

Essenziale allora è comprendere le ragioni geopolitiche e militari della stessa "svolta protezionista" dell'Occidente, sforzandosi di "leggere" il Politico alla luce di categorie (geo)politiche anziché solo con categorie economiche e/o ideologiche, giacché è la politica di potenza che conta per capire l'attuale fase storica, sebbene sia indubbio che pure i fattori economici (e ideologici) siano parte costitutiva della politica di potenza. Del resto, non è certo allo scopo di difendere la svolta protezionista degli Usa che la Finlandia e la Svezia hanno chiesto di entrare nella Nato e l'Australia, il Giappone, la Corea del Sud, le Filippine e Taiwan hanno deciso di rafforzare i loro rapporti con gli Usa e potenziare notevolmente il loro apparato militare.

Insomma, la strategia dell'America e dei suoi principali alleati è una strategia che si potrebbe definire "reattiva" dato che (come dimostra la stessa "guerra dei chips") dipende soprattutto dal fatto che non solo la strategia politica della Russia ma pure quella della Cina di Xi Jinping di fatto mira a trarre il massimo "profitto geopolitico" (ossia non solo economico) dal declino "relativo" dell'America, che, come gli altri Paesi della Nato, non si era nemmeno preparata per combattere una guerra come quella che si sta combattendo in Ucraina. (Si tratta probabilmente di una delle ragioni – oltre all'immagine fasulla che il Cremlino aveva della situazione politica e sociale dell'Ucraina e, soprattutto dopo il disastroso ritiro americano dall’Afghanistan, dello stesso Occidente “a guida” statunitense -  che hanno indotto Mosca a cercare di risolvere con le armi una questione così complicata e complessa come la "questione ucraina". Comunque, anche se la questione della "espansione ad Est" della Nato richiederebbe un'analisi che non è possibile fare in questa sede, si deve riconoscere che il fatto stesso che la Nato non si fosse preparata per combattere una guerra ad alta intensità contro la Russia - che sarebbe una "follia geopolitica"-, è la prova migliore che i rapporti tra la Nato e l'Ucraina avevano uno scopo puramente "difensivo", sebbene sia pressoché inevitabile che vi siano certe forme di "guerra ibrida" tra potenze, grandi o piccole, e perfino tra potenze "alleate").

D'altro canto, è ovvio che per buona parte delle élite dominante americana sia necessario rafforzare le posizioni geopolitiche degli Usa in Europa anche per quanto concerne la sfida con la Cina, nonostante vi siano pure coloro che (come diversi repubblicani americani) sostengono che sarebbe meglio che l'America concentrasse la maggior parte delle proprie risorse militari nell'Indo-Pacifico (anche se si può ritenere che la "relativa" debolezza della Russia dovrebbe – il condizionale in questo caso è d’obbligo - rendere anche meno difficile ai Paesi europei della Nato "fare muro" contro la Russia  e quindi dovrebbe "liberare" preziose risorse militari americane per il confronto con la Cina).

In altri termini, sebbene la “questione ucraina” sia lungi dall'essere risolta né si possa escludere che possa riservare "brutte sorprese" per l’America e i suoi alleati europei, è soprattutto la "rivalità" tra gli Usa e la Cina che caratterizza l'attuale fase storica (conflitto russo-ucraino incluso) nella misura in cui non si tratta di una "semplice" competizione di carattere economico e/o ideologico ma appunto di una lotta per l'egemonia.

                                                              

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In definitiva, è lecito ritenere che in questa fase storica dipenda non solo dall'America (perché è indubbio che vi siano degli atlantisti che "inseguono" ancora il progetto di un "mondo unipolare") ma anche e soprattutto dalla Cina la creazione delle condizioni (geo)politiche necessarie per ridefinire l'economia internazionale nel senso auspicato da Brancaccio e Skidelsky, dato che ben difficilmente una potenza ancora egemone, in particolare sotto il profilo militare, può accettare, se non vuole "suicidarsi", di non "replicare" ad un sfida politico-militare che minacci i suoi interessi vitali. 

Peraltro, si può osservare che chi sostiene, come Adam Tooze, che è inevitabile che una crescita economica della Cina  comporti anche una crescita delle capacità militari della Cina ha certo ragione ma non spieghi quali siano le ragioni geopolitiche (non economiche!) per cui la Cina di Xi Jinping, oltre a rifiutarsi di partecipare ad ogni negoziato sul controllo e sulla riduzione degli arsenali nucleari e a cercare di acquisire "posizioni strategiche" nello stesso Occidente (anche con mezzi non sempre "corretti"), ha deciso di potenziare la propria macchina bellica, al punto da rischiare di alterare gravemente gli equilibri militari mondiali, benché la spesa militare cinese sia inferiore al 2% del Pil (ma non è facile quantificare esattamente la spesa militare della Cina). Com'è noto, Pechino definisce un tale rafforzamento del proprio apparato militare una "difesa attiva", ma ovviamente si tratta di capire che significa "difesa attiva", considerando non solo le umiliazioni che la Cina ha subito in passato dalle potenze occidentali ma pure il particolare rapporto tra la Cina e la Russia nonché l'attuale "proiezione di potenza" della Cina nell'Indo-Pacifico, e in specie la politica cinese nei confronti di Taiwan e perfino nei confronti della stessa India (con cui permane una forte tensione nella zona di frontiera).

D'altra parte, si può ritenere che anche agli atlantisti che non "ignorano" i pericoli di una "sovraesposizione imperiale" dell'America (tanto più gravi a causa di una lotta politica sempre più aspra e “divisiva” nella stessa America) dovrebbe essere ormai chiaro che gli Stati Uniti non dispongono dei mezzi e delle risorse per costringere qualunque altro Paese a seguire le direttive strategiche di Washington o a sacrificare i propri interessi (inclusi quelli economici naturalmente) a vantaggio di quelli dell'America o dell'Occidente e che di conseguenza - rebus sic stantibus - non è nemmeno  possibile inglobare la Cina nello spazio geopolitico e geoeconomico egemonizzato dall'America. Va da sé, pertanto, che i limiti della potenza degli Stati Uniti sono tali che solo una strategia politica “irrazionale” potrebbe non tenerne conto, anche se sono ancora numerosi gli atlantisti che continuano a confondere il mondo occidentale con il mondo o con la “comunità internazionale”.

Ciò nonostante, anche se si privilegia, come è necessario, una "lettura" realistica anziché meramente ideologica dell'attuale fase storica, non si può negare che la "tensione internazionale" sia aumentata anche perché la politica della Cina di Xi Jinping non è più contraddistinta da quel "pragmatismo" che ha favorito l'eccezionale ascesa economica della Cina e che ha pure contribuito a fare apparire la Cina (nonostante che il regime politico cinese sia una autocrazia) come una potenza pacifica e capace di promuovere la cooperazione internazionale, a differenza della Russia di Putin. 

Non si tratta dunque di essere atlantisti o anti-atlantisti né di dimenticare la politica di "pre-potenza" degli Usa dopo la scomparsa dell'Unione Sovietica, ma di tener conto delle “lezioni” della storia politica e militare (di quelle del secolo scorso e pure dei secoli precedenti), sebbene sia degno di nota che finora l'America abbia inviato all'Ucraina solo delle armi per combattere una "guerra difensiva" e la Cina si sia astenuta dall'inviare "armi letali" alla Russia, tanto che Henry Kissinger è giunto ad affermare che "ora che la Cina è inclusa nel processo di negoziazione, tutto dovrebbe cambiare. Penso che entro la fine dell’anno potrebbero esserci negoziati reali tra Russia e Ucraina". Significativo, del resto, è anche che le economie delle due principali potenze mondiali dipendano in una certa misura l'una dall'altra ed è noto che i rapporti commerciali con la Cina sono importanti pure per i principali Paesi della Ue.

In sostanza, si tratta di riconoscere che, se la politica della Cina non dovesse più distinguersi (anche a causa della politica degli Usa, si intende) da una politica di potenza tale da rappresentare una sfida non solo economica ma militare e geopolitica (ossia simile a quella della Russia di Putin) nei confronti della attuale potenza egemone e dei suoi principali alleati, allora sarebbe davvero difficile evitare la cosiddetta "trappola di Tucidide" ovverosia un (disastroso) "regolamento bellico dei conti" tra l'America e la Cina o, se si preferisce, tra Occidente protezionista e “Oriente” liberoscambista, purché si sia consapevoli che è il Politico (denotando con questo termine anche la lotta tra élite dominanti) che struttura e articola l’Economico, non viceversa.  

sabato 6 maggio 2023

ANTROPOLOGIA POLITICA

Il conflitto geopolitico, inteso come lotta tra potenze per l'egemonia, sia a livello mondiale che a livello regionale (che in buona misura, ma non del tutto, dipende dal primo), tende sempre più a configurarsi come uno scontro tra oligarchie neoliberali e tecnocratiche e autocrazie o comunque formazioni politiche illiberali tecnocratiche, che di fatto riduce sempre più gli spazi per un trasformazione politica e sociale in senso democratico (ovverosia tale da "conciliare" libertà individuale e giustizia sociale) dello stesso Occidente neoliberale.

Certo, l'Occidente neoliberale presenta ancora il vantaggio di non usare come metodo di regno l'uso del "bastone" e della "frusta", e quindi permette ancora forme di libertà individuali e di pluralismo che non vengono tollerate nelle formazioni politiche illiberali. 

Tuttavia, in entrambi i casi si assiste a livello cultuale e ideologico al diffondersi di un conformismo di massa (cui, soprattutto in Occidente, pare che non si sappia contrapporre che o patetici e grotteschi "esercizi di nostalgia" o forme aberranti di settarismo e/o "complottismo"), a livello sociale ed economico alla mercificazione di ogni relazione personale e di ogni forma di lavoro (incluso quello intellettuale) e a livello politico alla esclusione da ogni forma di partecipazione "attiva" alla direzione politica e sociale.

In questo contesto, non sorprende nemmeno che la stessa differenza tra democrazia e autocrazia venga considerata scarsamente significativa da un numero crescente di "attori" sociali, politici e geopolitici, tanto più che sembra quasi impossibile "mettere in forma" politico-culturale le sfide della tecnoscienza secondo una prospettiva democratica.

In realtà  se da un lato la tecnoscienza è in grado di trasformare radicalmente il nostro modo di abitare la terra, dall’altro il conflitto nel senso di polemos e stasis, ossia come contrapposizione tra “amico e nemico”, continua a caratterizzare la politica e la geopolitica, come dimostra anche l’attuale lotta per l’egemonia.

In sostanza, è lecito ritenere che  perfino la questione della dottrina dello Stato (che ovviamente concerne la differenza tra democrazia  e autocrazia) presupponga la questione che riguarda l’antropologia politica ovverosia il modo o i modi in cui si struttura e articola il nostro “essere nel mondo" insieme con gli "altri” e con lo stesso ambiente, grazie a cui è possibile una autentica “fioritura umana”.

lunedì 1 maggio 2023

LA CRESCITA DELLA POTENZA MILITARE DEL "DRAGONE"

Secondo il Sipri la spesa militare cinese è aumentata per 27 anni consecutivi. Si tratta del periodo più lungo di qualsiasi Paese ("China, the world’s second largest spender, allocated an estimated $293 billion to its military in 2021, an increase of 4.7 per cent compared with 2020. China’s military spending has grown for 27 consecutive years")*. 

Com’è noto, l’Esercito popolare di Liberazione  è la più grande forza armata del mondo, con oltre 2 milioni di soldati, anche se la Cina dovrebbe contare su circa 350 testate nucleari ossia assai meno di quelle possedute dagli Usa o dalla Russia.

Tuttavia nel 2020-21 i satelliti americani hanno scoperto che la Cina stava costruendo 230 "silos" per missili balistici intercontinentali oltre a sviluppare la cosiddetta “triade” ossia la capacità di lanciare missili nucleari da terra, dal mare e dal cielo (peraltro, la Cina di Xi Jinping ha anche enormemente potenziato la marina militare e in generale le forze aeronavali)**.

Del resto, le testate nucleari cinesi, secondo il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, potrebbero aumentare a 1.000 entro il 2030. Difatti, la Cina si è sempre rifiutata di partecipare ad ogni negoziato sul controllo e sulla riduzione degli arsenali nucleari.

Pertanto, anche senza considerare il rapporto tra la Cina e la Russia e  la politica cinese nei confronti di Taiwan o della stessa India (con cui permane una forte tensione nella zona di frontiera) - ma, si badi, che  si tratta di una politica che ha già portato al riarmo del Giappone (che, come la Corea del Sud, teme pure la potenza nucleare della Corea del Nord)***, ad una nuova collaborazione militare tra gli Usa e le Filippine (tanto che adesso Manila ha concesso l’uso di quattro basi militari agli americani) nonché ad una collaborazione militare dell'India (essa stessa, del resto, una potenza nucleare come il Pakistan) con gli Usa, il Giappone e l'Australia (oltre che con il Vietnam)**** -, il riarmo cinese rischia di rendere obsoleta la politica basata sul mantenimento della parità strategica fra Usa e Urss/Russia, che è stato il pilastro fondamentale di quell'equilibrio strategico che ha garantito che non scoppiasse la guerra termonucleare tra superpotenze. 

In sostanza, chi sostiene come Adam Tooze che è inevitabile che una crescita economica della Cina  comporti anche una crescita delle capacità militari della Cina ha certo ragione*****, ma ignora la questione principale ovverosia non spiega quali siano le ragioni geopolitiche (non economiche!)****** per cui la Cina di Xi Jinping ha deciso di potenziare la propria macchina bellica al punto da rischiare di alterare gravemente gli equilibri militari mondiali e in particolare quelli nell'Indo-Pacifico.

*Vedi https://www.sipri.org/media/press-release/2022/world-military-expenditure-passes-2-trillion-first-time?fbclid=IwAR35toBEA1mi45K7AxvVEDqdiNRHKNj313PXAqAt31FlL7tZK9QyLgxRucM

**Vedi ad esempio "The Military Balance 2023" secondo cui "The official 2022 defence budget comes to 1.2% of GDP, a level at which it has hovered throughout President Xi’s ten years in power, yet still well below the global average of around 2%. There remains, however, significant debate over the extent to which the official budget represents the entirety of the country’s spending on defence, with additional funding thought to be provided from other sources." Comunque, secondo "The Military Balance 2023", si deve considerare che "In addition to improving its nuclear forces, the PLARF continues to expand, improve and modernise its conventional missile capabilities, evidenced by the expansion in the number of brigades operating medium- and intermediate-range ballistic missiles (MRBM and IRBM respectively)". La spesa militare della Cina nel 2022 dovrebbe essere stata di circa 319 miliardi dollari (ivi).

***Al riguardo vedi  https://www.washingtonpost.com/world/2023/04/28/north-korea-missile-advances-nuclear/?fbclid=Iw

**** Si tratta del cosiddetto "Quad". Sui rapporti tra gli Usa e l'India vedi anche https://www.nytimes.com/2023/01/31/business/economy/us-india-technology-partnership.html?fbclid=IwAR0D4f2jgVoaei2WzZzDnLGK1YtjfSs5oIkGufQrqD1x8tX_O6FIvsY6ydo Sulle relazioni tra l'India e il Vietnam vedi https://indianexpress.com/article/india/india-vietnam-defence-partnership-rajnath-singh-7958663/?fbclid=IwAR0D4f2jgVoaei2WzZzDnLGK1YtjfSs5oIkGufQrqD1x8tX_O6FIvsY6ydo. Si badi che per quanto concerne la questione ucraina, si deve tenere conto che l'India non può "inimicarsi" pure la Russia, con cui ha buoni rapporti, dovendo già "confrontarsi" con la Cina e il Pakistan.

*****Vedi A. Tooze, America Has Dictated Its Economic Peace Terms to Chinahttps://foreignpolicy.com/2023/04/24/america-has-dictated-its-economic-peace-terms-to-china/?fbclid=IwAR3Hh3GgWlLnxEco-hrerbTEt7A4P7-8f5VLFoVuKcWMt1hi2uLRC1rxS0M

****** Perlomeno una parte della élite dominante americana si è resa conto che l'America non può essere la potenza egemonica globale (vedi https://www.whitehouse.gov/briefing-room/speeches-remarks/2023/04/27/remarks-by-national-security-advisor-jake-sullivan-on-renewing-american-economic-leadership-at-the-brookings-institution/?fbclid=IwAR20PPBrGKxzE2MNqb0vbCq8WYN-Yh6gpBcO1Ztqi9DaQ1qoECQiXQN9KmE), ma solo la potenza egemonica occidentale anche se per essere tale deve comunque "cambiare passo". Nondimeno, se la "sfida cinese" fosse non solo economica ma anche e soprattutto militare, allora sarebbe davvero difficile evitare la "trappola di Tucidide" ovverosia un (catastrofico) "regolamento bellico dei conti" tra l'America e la Cina.