Il conflitto geopolitico, inteso come lotta tra potenze per l'egemonia, sia a livello mondiale che a livello regionale (che in buona misura, ma non del tutto, dipende dal primo), tende sempre più a configurarsi come uno scontro tra oligarchie neoliberali e tecnocratiche e autocrazie o comunque formazioni politiche illiberali tecnocratiche, che di fatto riduce sempre più gli spazi per un trasformazione politica e sociale in senso democratico (ovverosia tale da "conciliare" libertà individuale e giustizia sociale) dello stesso Occidente neoliberale.
Certo, l'Occidente neoliberale presenta ancora il vantaggio di non usare come metodo di regno l'uso del "bastone" e della "frusta", e quindi permette ancora forme di libertà individuali e di pluralismo che non vengono tollerate nelle formazioni politiche illiberali.
Tuttavia, in entrambi i casi si assiste a livello cultuale e ideologico al diffondersi di un conformismo di massa (cui, soprattutto in Occidente, pare che non si sappia contrapporre che o patetici e grotteschi "esercizi di nostalgia" o forme aberranti di settarismo e/o "complottismo"), a livello sociale ed economico alla mercificazione di ogni relazione personale e di ogni forma di lavoro (incluso quello intellettuale) e a livello politico alla esclusione da ogni forma di partecipazione "attiva" alla direzione politica e sociale.
In questo contesto, non sorprende nemmeno che la stessa differenza tra democrazia e autocrazia venga considerata scarsamente significativa da un numero crescente di "attori" sociali, politici e geopolitici, tanto più che sembra quasi impossibile "mettere in forma" politico-culturale le sfide della tecnoscienza secondo una prospettiva democratica.
In realtà se da un lato la tecnoscienza è in grado di trasformare radicalmente il nostro modo di abitare la terra, dall’altro il conflitto nel senso di polemos e stasis, ossia come contrapposizione tra “amico e nemico”, continua a caratterizzare la politica e la geopolitica, come dimostra anche l’attuale lotta per l’egemonia.
In sostanza, è lecito ritenere che perfino la questione della dottrina dello Stato (che ovviamente concerne la differenza tra democrazia e autocrazia) presupponga la questione che riguarda l’antropologia politica ovverosia il modo o i modi in cui si struttura e articola il nostro “essere nel mondo" insieme con gli "altri” e con lo stesso ambiente, grazie a cui è possibile una autentica “fioritura umana”.
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