domenica 7 maggio 2023

IL POLITICO, l’ECONOMICO E LA “TRAPPOLA DI TUCIDIDE”

 Il 17 febbraio scorso il Financial Times ha pubblicato un appello per la pace promosso dagli economisti Emiliano Brancaccio e Robert Skidelsky. In questo appello i Nostri sostengono che "occorre riconoscere che le contraddizioni del sistema economico globale deregolamentato hanno reso le tensioni geopolitiche estremamente più acute". Difatti, "i Paesi occidentali hanno accumulato ingenti debiti verso l’estero, mentre la Cina, altri Paesi orientali, e in parte anche la Russia, sono in una posizione di credito verso l’estero", di modo che sia gli Stati Uniti che i loro principali alleati (Ue inclusa) hanno adottato una politica "protezionista sempre più accentuata nei confronti delle merci e dei capitali provenienti da Cina, Russia e gran parte dell’Oriente non allineato."  

Una tale "svolta protezionista", guidata dalla potenza (occidentale) egemone avrebbe però creato "condizioni favorevoli a nuovi scontri militari", tanto che pure "il conflitto in Ucraina e le crescenti tensioni in Estremo e Medio Oriente possono essere pienamente compresi solo alla luce di queste gravi contraddizioni economiche."

Pertanto, secondo i Nostri, per evitare che si giunga ad un (disastroso) “regolamento bellico dei conti” tra un Occidente protezionista e un "Oriente" liberoscambista, occorrerebbe "un piano per regolare gli squilibri delle partite correnti, che si ispiri al progetto di Keynes di una international clearing union. Lo sviluppo di questo meccanismo dovrebbe partire da una duplice rinuncia: gli Stati Uniti e i loro alleati dovrebbero abbandonare il protezionismo unilaterale del 'friend shoring', mentre la Cina e gli altri creditori dovrebbero abbandonare la loro adesione al libero scambio." 


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L'analisi di Brancaccio e Skidelsky è - almeno per chi scrive - sostanzialmente corretta sotto il profilo economico. Tuttavia, l'attuale lotta per l'egemonia non si configura soltanto come una sfida economica (o ideologica) ma come una sfida sistemica, ossia si tratta anche e soprattutto di una sfida politico-strategica e militare, che è l'ostacolo maggiore che si dovrebbe superare per indurre sia l'America che la Cina a rinunciare rispettivamente al protezionismo e al libero scambio, dato che (come i Nostri riconoscono) attualmente tali condizioni (geo)politiche non ci sono.

Al riguardo si deve anche tenere presente che pure la Russia è una potenza anti-egemonica, sia pure solo sotto il profilo politico-strategico e militare, nonostante che si sia rivelata assai più debole di quanto si potesse immaginare prima che invadesse l'Ucraina. Ma ovviamente le ragioni per cui la Russia ha aggredito l'Ucraina sono innanzitutto (geo)politiche, non economiche (sempre che non si voglia sostenere che la Russia ha aggredito l'Ucraina per difendere le proprie relazioni commerciali con l'Europa occidentale - e in particolare con la Germania!). 

Poteva forse una potenza egemone come l'America tollerare una simile aggressione? Potevano forse i Paesi dell'Europa orientale membri della Nato e perfino quelli scandinavi fidarsi ancora della Nato ossia dello "scudo militare" americano se gli Usa non avessero reagito con decisione all'invasione russa dell'Ucraina? E come negare che, aggredendo l'Ucraina (che prima del 24 febbraio dell'anno scorso di fatto era già un cosiddetto "partner rafforzato" della Nato, insieme con l'Australia, la Finlandia, la Svezia, la Georgia, la Giordania e la Svezia), la Russia (che possiede migliaia di testate nucleari) ha praticamente puntato una pistola carica "alla tempia" dei Paesi dell'Europa orientale e di quelli scandinavi proprio in quanto membri o "partner rafforzati" della Nato? E si badi che si tratta di una minaccia che è impossibile sottovalutare se si considerano i rapporti che ci sono stati tra questi Paesi e la Russia nei secoli passati.

D’altronde, non si può nemmeno non tenere conto che gli Stati Uniti hanno già dovuto accettare una drastica riduzione della loro influenza in Medio Oriente (mentre proprio la Russia è riuscita a consolidare le sue posizioni in quest'area nonché nel continente africano), oltre ad essere andati incontro ad un ignominioso fallimento politico-strategico in Afghanistan. Invero, l'America in questi ultimi anni ha visto ridursi progressivamente la propria influenza sulla “scacchiera globale” (anche sotto il profilo economico, si intende, dato che si è formata un'area geoeconomica non più egemonizzata dagli Usa, come dimostra pure il fatto che sono numerosi i Paesi che hanno deciso di non imporre delle sanzioni alla Russia e che mettono pure in discussione la stessa "egemonia del dollaro"), mentre è pure costretta a "fare i conti" con una Cina che non è solo la maggiore potenza industriale mondiale ma mira a diventare una superpotenza militare e quindi ad essere la potenza egemone sotto il profilo geopolitico (perlomeno) dell'intero continente asiatico.                 *

Essenziale allora è comprendere le ragioni geopolitiche e militari della stessa "svolta protezionista" dell'Occidente, sforzandosi di "leggere" il Politico alla luce di categorie (geo)politiche anziché solo con categorie economiche e/o ideologiche, giacché è la politica di potenza che conta per capire l'attuale fase storica, sebbene sia indubbio che pure i fattori economici (e ideologici) siano parte costitutiva della politica di potenza. Del resto, non è certo allo scopo di difendere la svolta protezionista degli Usa che la Finlandia e la Svezia hanno chiesto di entrare nella Nato e l'Australia, il Giappone, la Corea del Sud, le Filippine e Taiwan hanno deciso di rafforzare i loro rapporti con gli Usa e potenziare notevolmente il loro apparato militare.

Insomma, la strategia dell'America e dei suoi principali alleati è una strategia che si potrebbe definire "reattiva" dato che (come dimostra la stessa "guerra dei chips") dipende soprattutto dal fatto che non solo la strategia politica della Russia ma pure quella della Cina di Xi Jinping di fatto mira a trarre il massimo "profitto geopolitico" (ossia non solo economico) dal declino "relativo" dell'America, che, come gli altri Paesi della Nato, non si era nemmeno preparata per combattere una guerra come quella che si sta combattendo in Ucraina. (Si tratta probabilmente di una delle ragioni – oltre all'immagine fasulla che il Cremlino aveva della situazione politica e sociale dell'Ucraina e, soprattutto dopo il disastroso ritiro americano dall’Afghanistan, dello stesso Occidente “a guida” statunitense -  che hanno indotto Mosca a cercare di risolvere con le armi una questione così complicata e complessa come la "questione ucraina". Comunque, anche se la questione della "espansione ad Est" della Nato richiederebbe un'analisi che non è possibile fare in questa sede, si deve riconoscere che il fatto stesso che la Nato non si fosse preparata per combattere una guerra ad alta intensità contro la Russia - che sarebbe una "follia geopolitica"-, è la prova migliore che i rapporti tra la Nato e l'Ucraina avevano uno scopo puramente "difensivo", sebbene sia pressoché inevitabile che vi siano certe forme di "guerra ibrida" tra potenze, grandi o piccole, e perfino tra potenze "alleate").

D'altro canto, è ovvio che per buona parte delle élite dominante americana sia necessario rafforzare le posizioni geopolitiche degli Usa in Europa anche per quanto concerne la sfida con la Cina, nonostante vi siano pure coloro che (come diversi repubblicani americani) sostengono che sarebbe meglio che l'America concentrasse la maggior parte delle proprie risorse militari nell'Indo-Pacifico (anche se si può ritenere che la "relativa" debolezza della Russia dovrebbe – il condizionale in questo caso è d’obbligo - rendere anche meno difficile ai Paesi europei della Nato "fare muro" contro la Russia  e quindi dovrebbe "liberare" preziose risorse militari americane per il confronto con la Cina).

In altri termini, sebbene la “questione ucraina” sia lungi dall'essere risolta né si possa escludere che possa riservare "brutte sorprese" per l’America e i suoi alleati europei, è soprattutto la "rivalità" tra gli Usa e la Cina che caratterizza l'attuale fase storica (conflitto russo-ucraino incluso) nella misura in cui non si tratta di una "semplice" competizione di carattere economico e/o ideologico ma appunto di una lotta per l'egemonia.

                                                              

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In definitiva, è lecito ritenere che in questa fase storica dipenda non solo dall'America (perché è indubbio che vi siano degli atlantisti che "inseguono" ancora il progetto di un "mondo unipolare") ma anche e soprattutto dalla Cina la creazione delle condizioni (geo)politiche necessarie per ridefinire l'economia internazionale nel senso auspicato da Brancaccio e Skidelsky, dato che ben difficilmente una potenza ancora egemone, in particolare sotto il profilo militare, può accettare, se non vuole "suicidarsi", di non "replicare" ad un sfida politico-militare che minacci i suoi interessi vitali. 

Peraltro, si può osservare che chi sostiene, come Adam Tooze, che è inevitabile che una crescita economica della Cina  comporti anche una crescita delle capacità militari della Cina ha certo ragione ma non spieghi quali siano le ragioni geopolitiche (non economiche!) per cui la Cina di Xi Jinping, oltre a rifiutarsi di partecipare ad ogni negoziato sul controllo e sulla riduzione degli arsenali nucleari e a cercare di acquisire "posizioni strategiche" nello stesso Occidente (anche con mezzi non sempre "corretti"), ha deciso di potenziare la propria macchina bellica, al punto da rischiare di alterare gravemente gli equilibri militari mondiali, benché la spesa militare cinese sia inferiore al 2% del Pil (ma non è facile quantificare esattamente la spesa militare della Cina). Com'è noto, Pechino definisce un tale rafforzamento del proprio apparato militare una "difesa attiva", ma ovviamente si tratta di capire che significa "difesa attiva", considerando non solo le umiliazioni che la Cina ha subito in passato dalle potenze occidentali ma pure il particolare rapporto tra la Cina e la Russia nonché l'attuale "proiezione di potenza" della Cina nell'Indo-Pacifico, e in specie la politica cinese nei confronti di Taiwan e perfino nei confronti della stessa India (con cui permane una forte tensione nella zona di frontiera).

D'altra parte, si può ritenere che anche agli atlantisti che non "ignorano" i pericoli di una "sovraesposizione imperiale" dell'America (tanto più gravi a causa di una lotta politica sempre più aspra e “divisiva” nella stessa America) dovrebbe essere ormai chiaro che gli Stati Uniti non dispongono dei mezzi e delle risorse per costringere qualunque altro Paese a seguire le direttive strategiche di Washington o a sacrificare i propri interessi (inclusi quelli economici naturalmente) a vantaggio di quelli dell'America o dell'Occidente e che di conseguenza - rebus sic stantibus - non è nemmeno  possibile inglobare la Cina nello spazio geopolitico e geoeconomico egemonizzato dall'America. Va da sé, pertanto, che i limiti della potenza degli Stati Uniti sono tali che solo una strategia politica “irrazionale” potrebbe non tenerne conto, anche se sono ancora numerosi gli atlantisti che continuano a confondere il mondo occidentale con il mondo o con la “comunità internazionale”.

Ciò nonostante, anche se si privilegia, come è necessario, una "lettura" realistica anziché meramente ideologica dell'attuale fase storica, non si può negare che la "tensione internazionale" sia aumentata anche perché la politica della Cina di Xi Jinping non è più contraddistinta da quel "pragmatismo" che ha favorito l'eccezionale ascesa economica della Cina e che ha pure contribuito a fare apparire la Cina (nonostante che il regime politico cinese sia una autocrazia) come una potenza pacifica e capace di promuovere la cooperazione internazionale, a differenza della Russia di Putin. 

Non si tratta dunque di essere atlantisti o anti-atlantisti né di dimenticare la politica di "pre-potenza" degli Usa dopo la scomparsa dell'Unione Sovietica, ma di tener conto delle “lezioni” della storia politica e militare (di quelle del secolo scorso e pure dei secoli precedenti), sebbene sia degno di nota che finora l'America abbia inviato all'Ucraina solo delle armi per combattere una "guerra difensiva" e la Cina si sia astenuta dall'inviare "armi letali" alla Russia, tanto che Henry Kissinger è giunto ad affermare che "ora che la Cina è inclusa nel processo di negoziazione, tutto dovrebbe cambiare. Penso che entro la fine dell’anno potrebbero esserci negoziati reali tra Russia e Ucraina". Significativo, del resto, è anche che le economie delle due principali potenze mondiali dipendano in una certa misura l'una dall'altra ed è noto che i rapporti commerciali con la Cina sono importanti pure per i principali Paesi della Ue.

In sostanza, si tratta di riconoscere che, se la politica della Cina non dovesse più distinguersi (anche a causa della politica degli Usa, si intende) da una politica di potenza tale da rappresentare una sfida non solo economica ma militare e geopolitica (ossia simile a quella della Russia di Putin) nei confronti della attuale potenza egemone e dei suoi principali alleati, allora sarebbe davvero difficile evitare la cosiddetta "trappola di Tucidide" ovverosia un (disastroso) "regolamento bellico dei conti" tra l'America e la Cina o, se si preferisce, tra Occidente protezionista e “Oriente” liberoscambista, purché si sia consapevoli che è il Politico (denotando con questo termine anche la lotta tra élite dominanti) che struttura e articola l’Economico, non viceversa.  

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