Sorprende (ma fino ad un certo punto, considerando il livello intellettuale che contraddistingue da alcuni decenni l'Occidente per quanto concerne l'analisi del Politico) che in pratica non vi sia nessuna analisi politico-strategica di questa guerra, tranne qualche eccezione come quella di due analisti della Rand Corporation (discutibile ma certo importante)*. Nel migliore dei casi, infatti, ci si limita ad evidenziare i numerosi difetti che caratterizzano la macchina da guerra russa e in particolare il regime di Putin o ad analizzare il conflitto sotto il profilo tattico-operativo (chiaramente mi riferisco solo alle analisi serie e documentate come quelle dell’Isw, del Rusi o di Michael Kofman e Rob Lee, non certo a quelle dei “nostri analisti” che - tranne pochi - tutt’al più sono degli “esperti” di industria bellica e di sistemi d’arma).
Eppure, dovrebbe essere evidente a chiunque che il maggiore errore compiuto dal Cremlino è stato di credere, basandosi su una immagine del tutto fasulla dell'Ucraina e, in un certo senso, perfino della stessa Russia, di potere risolvere una questione politica e geopolitica complessa come quella ucraina con le armi. Del resto, non si dovrebbe dimenticare che anche l'America non è riuscita a "chiudere" con un netto successo alcuna guerra dopo la Seconda guerra mondiale (non vi riuscì nella guerra di Corea né nella guerra del Vietnam, in cui subì pure una netta sconfitta, e un fallimento politico-strategico americano sono state pure le guerre contro l'Iraq e l'Afghanistan) ma non certo per insufficienza di risorse e mezzi militari ed economici, a conferma che il fattore decisivo in guerra è sempre quello politico-strategico**.
D’altra parte, in Occidente prevale una interpretazione meramente ideologica di questa guerra, che viene quindi rappresentata come una conflitto tra autocrazia e democrazia (anche se di democrazia in Occidente ve n'è ormai ben poca, se per democrazia si intende un regime politico che difende gli interessi dei molti anziché quello dei pochi), di modo che pure la scellerata e perfino criminale guerra scatenata dal regime di Putin viene di fatto strumentalizzata dagli atlantisti neoliberali per fare l'apologia del sistema liberal-capitalista (di fatto oligarchico e tecnocratico) ossia del capitalismo predatore occidentale che nel giro di pochi decenni ha fatto “crescere il deserto” nello stesso mondo occidentale.
Comunque sia, è pure difficile definire l'Ucraina uno Stato democratico, dato che, nonostante che Kiev abbia il sacrosanto diritto di respingere l'aggressione russa (non è questo in discussione), non è nemmeno uno Stato di diritto ed è pure indubbio che il regime di Kiev sia caratterizzato non solo da una notevole corruzione ma anche da una pericolosa (per la stessa Ucraina) ideologia nazionalista (peraltro non è neppure un mistero, tranne per chi preferisce ficcare la testa sotto la sabbia per non vedere la realtà, che gli estremisti nazionalisti ucraini, sebbene il loro peso elettorale sia insignificante, si sono infiltrati in tutti i gangli vitali dello Stato ucraino, al punto da condizionare non poco la politica del governo di Kiev, sia pure - non si può non riconoscerlo - grazie soprattutto alla politica di prepotenza della Russia di Putin).
Assai più semplice, pertanto, limitarsi a criticare il grottesco filoputinismo della cosiddetta "area del dissenso" (che invero è contraddistinta da una mescolanza di putinismo, trumpismo, neofascismo, nazi-populismo, nazional-comunismo, neostalinismo, "panciafichismo", no vax e chi più ne ha più ne metta) anziché cercare di fare un'analisi politico-strategica come quella degli analisti della Rand Corporation (secondo i quali questa guerra non può finire con una vittoria totale né dell'Ucraina né della Russia e che se fosse di lunga durata danneggerebbe gli interessi dell'America, e quindi - si deve aggiungere - a maggior a ragione quelli dei principali Paesi della Ue) che hanno perlomeno il merito di avere chiarito che la questione territoriale (ossia la riconquista di tutti i territori che appartengono all'Ucraina) debba dipendere da quella ben più rilevante della indipendenza e della sicurezza dell'Ucraina.
In questa prospettiva, è pure comprensibile che ci si limiti ad affermare che è Kiev che deve decidere, benché l’Ucraina in realtà dipenda totalmente dagli aiuti economici e militari dell’Occidente e in particolare degli Usa e quindi non possa decidere alcunché contro il parere degli Usa, sempre che l’Ucraina non voglia autodistruggersi. Né si comprende (per non parlare di quale sarebbe la condizione dei cittadini etnicamente russi o russofili che vivono in Crimea) come la riconquista della Crimea (ammesso che sia possibile) possa garantire la sicurezza e l’indipendenza dell’Ucraina anziché generare nel popolo russo un desiderio di rivincita che difficilmente potrebbe scomparire anche se scomparisse Putin.
In sostanza, un conto è cercare di risolvere (anche con le armi, si intende) la questione ucraina frustrando le ambizioni “imperiali(stiche)” della Russia di Putin (come certo è necessario), un altro è la strumentalizzazione (ideologica e geopolitica) di questa guerra per perseguire uno scopo politico-strategico ben diverso. D’altro canto, è innegabile che vi siano buone ragioni per ritenere che lo scopo politico della Nato non sia solo quello di difendere l’Ucraina dalla aggressione russa. In questo caso si spiegherebbe meglio pure la ragione per cui non vi è una strategia (geo)politica chiara e precisa della Nato per risolvere definitivamente la questione ucraina, dato che per l’élite euro-atlantista lo scopo politico di questa guerra non sarebbe solo quello di punire la Russia di Putin per la guerra di aggressione contro l’Ucraina (scopo, peraltro, che almeno in buona parte si è già raggiunto dando la possibilità all’Ucraina di non venire inglobata con la forza nello spazio geopolitico russo) ma di spostare il “baricentro” della Ue da ovest ad est per impedire che l’Ue possa acquisire una reale autonomia strategica e diventare un attore geopolitico indipendente sulla scacchiera globale.
Insomma, se al tempo della guerra fredda la “filosofia” della Nato era “l’America dentro, la Russia fuori e la Germania sotto” oggi è lecito ritenere che la “filosofia” della Nato sia “l’America dentro, la Russia fuori e l’Ue (ma specialmente il “nucleo centrale” della Ue ossia la Germania, la Francia, l'Italia e la Spagna) sotto”. Consapevole che l’Europa corre questo rischio è indubbiamente Emmanuel Macron che in una intervista a “Politico” e a due giornalisti transalpini ha dichiarato che l’Europa deve ridurre la sua dipendenza dagli Stati Uniti ed evitare di essere trascinata in uno scontro tra Cina e Stati Uniti su Taiwan. In altri termini, per il presidente francese l’Europa deve evitare di essere coinvolta "in crisi che le impediscono di costruire la sua autonomia strategica”.
Per quanto si possa ritenere che l’europeismo di Macron sia anche espressione di un certo nazionalismo che, com’è noto, è un tratto distintivo la politica della Francia, al presidente francese (indipendentemente dalla questione di Taiwan, su cui Macron doveva essere più "cauto"), come del resto già a Charles de Gaulle, non sfugge l’importanza di distinguere l’euro-atlantismo dall’europeismo***, sebbene Macron sia anche consapevole dei legami di amicizia che uniscono l’Europa all’America e comunque della necessità di un agire strategico basato su una concezione realistica del politico, come dimostra il sostegno netto e chiaro della Francia all’Ucraina.
D’altronde, per la Francia (come per la Germania) è necessario non recidere del tutto i legami con la Russia, in quanto non vi può essere nessuna reale sicurezza collettiva europea - e quindi nemmeno una soluzione definitiva della questione ucraina – se si rinuncia ad inserire la Russia nel quadro (geo)politico europeo, anche se naturalmente ciò sarà possibile solo quando la Russia rinuncerà o sarà costretta a rinunciare alle sue ambizioni “imperiali(stiche)”. Comunque anche sotto questo aspetto la differenza tra la posizione della Francia e quella di Paesi europei come la Gran Bretagna, la Polonia e i Paesi baltici, per i quali non tanto la Russia di Putin quanto piuttosto la Russia stessa è il nemico, non potrebbe essere più netta.
Difatti, il problema più difficile da risolvere non è quello che concerne i rapporti tra l’Europa e l’America bensì quello che concerne i rapporti tra i diversi Paesi dell’Ue e che condiziona pure i rapporti tra l’Ue e l’America. Tuttavia, va da sé che attualmente nemmeno la Francia è all’altezza di una sfida politica così impegnativa (perfino l’aspra lotta sociale che attualmente infuria in Francia lo conferma), benché in un certo senso sia la storia stessa ad esigere una radicale ridefinizione dell’architettura (geo)politica dell’Ue. Del resto, la Francia (ma lo stesso vale pure per la Germania) non può risolvere la questione dell’autonomia strategica dell’Europa senza che almeno i principali Paesi dell’Europa continentale occidentale condividano una concezione davvero europeista.
Certo, ormai non si può più rimediare all’errore compiuto negli anni Novanta del secolo scorso, ossia di avere permesso ad altri Paesi di entrare nella Ue prima che l’Ue avesse acquisito una reale autonomia strategica. Ciò nonostante, nulla vieta che i Paesi che già facevano parte della Ue prima del crollo dell’Unione Sovietica (tranne la Gran Bretagna si intende) si possano impegnare per costituire una nuova “Eurozona”, contraddistinta anziché dall’adozione dell’euro da una politica estera e da una difesa comune, e che su questa base si possano ridefinire i rapporti sia con la Nato che con gli altri Paesi europei. Mezzi e risorse, del resto, non mancano, ciò che manca invece è la "volontà politica" (si badi che il Pil complessivo della Francia, della Germania, dell'Italia e della Spagna è di circa 11.000 miliardi di euro, di modo che anche solo il 2% del Pil di questi Paesi sarebbe più che sufficiente per una difesa europea tutt'altro che insignificante). In altri termini, si deve riconoscere che in Europa attualmente non ci sono le condizioni politiche per dar vita ad un simile disegno geopolitico, anche a prescindere dai “limiti” oggettivi della Francia e del suo presidente (in specie sotto il profilo politico-sociale). Difatti, un simile disegno geopolitico presuppone che si condivida anche una concezione politico-culturale e perfino economica e sociale dell’Europa affatto diversa da quella neoliberale, senza la quale nella attuale fase storica l’euro-atlantismo difficilmente sarebbe possibile.
In definitiva, si deve prendere atto che, sebbene un agire strategico abbia delle caratteristiche che non variano nel tempo, un attore geopolitico necessariamente non può non difendere principi, valori e interessi che lo contraddistinguono sotto il profilo politico-culturale e sociale. Pertanto, anche la questione ucraina assume un significato non solo geopolitico ma politico-culturale che, se da un lato rende praticamente impossibile non prendere posizione contro la Russia di Putin e in generale contro la prepotenza di regimi illiberali, dall’altro evidenzia che la distinzione tra europeismo ed euro-atlantismo concerne anche e soprattutto la necessità di ridefinire la relazione tra il Politico e l’Economico alla luce di principi e valori assai diversi da quelli difesi dalla élite neoliberale euro-atlantista.
*Vedi il breve saggio di S. Charap, M. Priebe, “Avoiding a Long War”, disponibile sul sito della Rand Corporation.
** Nemmeno l'intervento della aviazione della Nato contro la Serbia e la Libia di Gheddafi si può considerare un netto successo politico-strategico, anche se quello contro la Serbia ha creato le condizioni per l'indipendenza del Kosovo. Comunque sia, non si dovrebbe neppure dimenticare che in tutte queste guerre gli americani si sono macchiati di numerosi crimini per i quali non sono mai stati condannati da nessuna Corte penale internazionale, come del resto non sono mai stati condannati per gli innumerevoli crimini e misfatti compiuti nell'America Latina. A tale proposito si deve tenere però presente anche quanto è scritto nella nota all'articolo "Il labirinto ucraino" pubblicato su questo blog. Data la sua importanza per comprendere la reazione del mondo occidentale all'aggressione russa dell'Ucraina la riporto di seguito:
Ci si potrebbe chiedere perché si deve sostenere (militarmente, si intende) la lotta del popolo ucraino e non quella di altri popoli (gli esempi certo non mancano). Invero, si potrebbe affermare che non c'è giustificazione etica o politico-culturale per questa differenza, ma solo una giustificazione di carattere "geopolitico". Tuttavia, si deve tenere presente che perlomeno per quanto concerne i rapporti tra l'America e l'Europa (un discorso diverso si deve fare per i rapporti tra gli Usa e l'America Latina) non si può parlare di imperialismo (ossia, in sostanza, di dominio) ma di egemonia americana, che in quanto tale presuppone il consenso degli europei (occorre quindi distinguere tra egemonia e dominio, anche se si deve tener conto che una egemonia può implicare anche il ricorso a metodi che sono caratteristici di un rapporto di dominio). Viceversa la guerra di aggressione della Russia contro l'Ucraina è tipica di uno Stato che agisce secondo una politica imperialistica e che rappresenta un pericolo tanto maggiore per l'Europa se si considera non solo che il regime di Putin è un'autocrazia con caratteristiche di un regime di polizia ma che cosa ha significato la politica (imperialistica) di regimi illiberali per la storia dell'Europa nel secolo scorso.
.
***Al riguardo mi permetto di rimandare al mio articolo “Europeismo contro euro-atlantismo” pubblicato su “Academia.edu”.
Nessun commento:
Posta un commento