martedì 14 marzo 2023

LA NEBBIA DELLA GUERRA E IL LABIRINTO UCRAINO

 “Kiev deve vincere” hanno dichiarato Biden e Sunak ma che significhi “vincere la guerra” non lo hanno certo chiarito. Un conto, infatti, è ritenere che sia giusto e necessario sostenere anche militarmente la resistenza dell’Ucraina contro l’esercito russo*, un altro chiarire quali sono gli scopi politico-strategici che ci si propone di perseguire, e quindi chiarire quali siano i “limiti” che Kiev non può superare senza mettere a repentaglio gli interessi e la sicurezza dell’Europa (ossia dei Paesi della Ue, di cui peraltro l’Ucraina dovrebbe fare parte). 

Affermare che vi è un aggressore (la Russia di Putin) e un aggredito (l'Ucraina) è vero - meglio precisarlo - ma non annulla la differenza tra la difesa della sicurezza dell'Ucraina e il perseguimento di fini geopolitici che hanno poco a che fare con la sicurezza dell'Ucraina, né basta per spiegare un conflitto che dura da nove anni. La responsabilità politica e militare di questa guerra è certo della Russia ma è indubbio che pure l’America abbia gettato benzina sul fuoco, rafforzando sia l’estremismo nazionalista ucraino sia l’estremismo nazionalista russo (al riguardo è sempre degno di nota l'articolo di H. Kissinger "How the Ukraine crisi ends" pubblicato sul Washington Post il 5 marzo 2014).

Del resto, condannare la Russia per avere aggredito l’Ucraina non basta neppure per definire una strategia politica razionale, che tenga pure conto degli interessi di tutti gli attori politici coinvolti in questo conflitto (che è al tempo stesso una guerra di liberazione nazionale, una guerra civile e uno scontro tra la Nato e la Russia), tanto più che la minoranza ucraina filorussa o etnicamente russa del Donbas e della Crimea non può certo considerare gli ucraini come dei “liberatori”. 

Comunque sia, si deve anche tener conto della situazione militare, che non è così “chiara e semplice” come sostengono gli euro-atlantisti, che si limitano a fare tifo per l’Ucraina come i filoputiniani fanno il tifo per la Russia (di Putin, si intende) ripetendo a pappagallo la propaganda di Mosca. Invero da entrambe le parti prevale una “lettura” meramente ideologica della questione ucraina anche per quanto concerne gli aspetti militari (del resto, se gli euro-atlantisti strumentalizzano pure questa guerra per fare l’apologia dell’Occidente neoliberale, i filoputiniani cianciano di libertà di espressione e di democrazia sociale ma fanno il tifo per un regime di polizia caratterizzato da una ideologia nazional-militarista o nazional-imperialista).    

Peraltro, non si combatte solo a Bakhmut ma su un fronte lungo centinaia di miglia, dato che la pressione russa è forte anche nei settori di Kupiansk e di Adviika, ossia a nord e a sud del settore di Bakhmut, che comunque è la zona in cui da diversi mesi lo scontro tra russi e ucraini è più violento e intenso. E se un articolo del NYT (“Russian Attacks Along a Wide Arc of Ukraine Yield Little but Casualties”) evidenzia le numerose (e ormai note)  difficoltà e carenze dell’esercito russo, che nonostante tutti gli “sforzi” compiuti in questi mesi è riuscito solo a rosicchiare un po’ di terreno ucraino a costo di perdite gravissime, secondo un articolo del WP (“Ukraine short of skilled troops and munitions as losses and pessimism grow”) pure l’esercito di Kiev è in difficoltà dato che è a corto di soldati esperti e di munizioni. 

La guerra di attrito che si combatte nel Donbas da vari mesi ha ovviamente causato più perdite agli attaccanti che ai difensori, ma pure Kiev sta pagando un prezzo assai alto per respingere gli attacchi dei russi (secondo stime della Nato i russi avrebbero perso complessivamente 200.000 soldati circa, mentre gli ucraini avrebbero perso non meno di 120.000 soldati). Per i vertici politici e militari di Kiev è il prezzo che l’Ucraina deve pagare per guadagnare il tempo necessario per addestrare le unità militari che dovranno condurre una controffensiva la prossima primavera, ma per i veterani ucraini che sono in prima linea la situazione al fronte è sempre più preoccupante dato che scarseggiano le munizioni e le perdite (particolarmente gravi quelle di ufficiali subalterni e di sottufficiali esperti) vengono colmate da Kiev con l’invio al fronte di soldati inesperti, di modo che è sempre più difficile resistere agli attacchi dell’esercito russo.

D’altronde, anche diversi analisti militari occidentali, benché non abbiano dubbi per quanto concerne le capacità e la superiore motivazione dell’esercito ucraino e siano convinti che Kiev sarà in grado di condurre un'altra controffensiva, ritengono che non sarà facile sfondare le difese russe e che l’esercito ucraino non potrà comunque riconquistare tutti i territori perduti, se non ci sarà un vero e proprio crollo dell’esercito russo. D’altra parte, è noto che chi si difende ha un vantaggio netto rispetto a chi deve attaccare.

“La nebbia della guerra” impedisce comunque di fare previsioni, anche se è lecito ritenere che il filo di Arianna per uscire dal “labirinto ucraino”, ameno per ora, non lo abbia nessuno. Tuttavia, si tenga conto che la scelta di una strategia meramente reattiva rischia di creare le condizioni perché si verifichi quello che si vorrebbe evitare, dato che praticamente equivale a lasciare l'iniziativa strategica al nemico.

Quindi delle due l'una: o si ritiene che non esistano le condizioni per una strategia più "energica" al fine di impedire alla Russia di sconfiggere l'Ucraina, e allora meglio arrivare subito ad un cessate il fuoco accettando un compromesso territoriale sulla base della attuale situazione militare, o si ritiene che questo sia inaccettabile, e allora si devono dare a Kiev il più velocemente possibile i mezzi e le risorse necessari per riconquistare i territori - o perlomeno gran parte di essi - perduti in questa guerra (ovviamente in una prospettiva geopolitica realistica la questione dell'esistenza della Federazione Russa o del regime di Putin non è nemmeno da prendere in considerazione), in cui il tempo è il fattore decisivo, dato che una guerra di logoramento può favorire solo la Russia.

Se invece si continua a preferire un agire strategico "tentennante" o che si limita a reagire alle mosse del nemico si arriverà ad una situazione simile a quella che gli scacchisti definiscono zugzwang, che si verifica allorché un giocatore, qualsiasi mossa faccia, subirà uno scacco matto o perderà del materiale prezioso.

*Ci si potrebbe chiedere perché si deve sostenere (militarmente, si intende) la lotta del popolo ucraino e non quella di altri popoli (gli esempi certo non mancano). Invero, si potrebbe affermare che non c'è giustificazione etica o politico-culturale per questa differenza, ma solo  una giustificazione di carattere "geopolitico". Tuttavia, si deve tenere presente che perlomeno per quanto concerne i rapporti tra l'America e l'Europa (un discorso diverso si deve fare per i rapporti tra gli Usa e l'America Latina) non si può parlare di imperialismo (ossia, in sostanza, di dominio) ma di egemonia americana, che in quanto tale presuppone il consenso degli europei (occorre quindi distinguere tra egemonia e dominio, anche se si deve tener conto che una egemonia può implicare anche il ricorso a metodi che sono caratteristici di un rapporto di dominio). Viceversa la guerra di aggressione della Russia contro l'Ucraina è tipica di uno Stato che agisce secondo una politica imperialistica e che rappresenta un pericolo tanto maggiore per l'Europa se si considera non solo che il regime di Putin è un'autocrazia con caratteristiche di un regime di polizia ma che cosa ha significato la politica (imperialistica) di regimi illiberali per la storia dell'Europa nel secolo scorso.  

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