Si può considerare pace quella che i russi vorrebbero imporre agli ucraini con la violenza e il terrore? Ovviamente no.
D'altronde, non si può non riconoscere che non ci si può difendere dagli invasori con le ciance, dato che per combattere una guerra di liberazione nazionale c'è comunque bisogno di armi (questa è una "amara verità" ma è pur sempre "verità" o si pensa che i partigiani italiani non usassero le armi?).
Al riguardo si deve essere netti e chiari, perché se è vero che vi sono delle serie ragioni geopolitiche che rendono necessario trovare una soluzione diplomatica di questo conflitto, è innegabile che una “vera pace” con un regime come quello di Putin ormai non è più possibile.
In realtà, anche questa guerra ha evidenziato che il problema che si dovrebbe risolvere è la mancanza di una reale autonomia strategica dell’Europa e in specie dell’Europa Occidentale continentale - condizione necessaria, del resto, anche per un "diverso" e più "giusto" rapporto dell'Occidente con il cosiddetto “resto del mondo” - ma la "dipendenza" dell'Europa dagli Usa non la si riduce certo ignorando la geopolitica e gli affari militari.
Comunque sia, battersi per la pace significa sì anche riconoscere che in una prospettiva realistica vi sono dei "limiti" che non si possono superare senza rischiare di distruggere quello che si vuole e si deve difendere, ma significa anche e soprattutto battersi perché siano riconosciute (non solo a parole, si intende) le "ragioni" politiche e culturali di chi lotta contro l'oppressore o l'invasore, non viceversa, perché fin dal tempo dei Sumeri la pace “a qualunque costo” è solo quella che il "padrone" vuole imporre al "servo".
In definitiva non c'è pace senza giustizia ed è quindi alla luce della questione della giustizia - (geo)politica e sociale - che la parola pace acquisisce il suo vero significato.
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