martedì 31 gennaio 2023

LA GUERRA RUSSO-UCRAINA IN UNA PROSPETTIVA GEOPOLITICA “REALISTICA”

È noto che secondo Zbignew Brzezinski se l’Ucraina non avesse fatto più parte dello spazio geopolitico russo, la Russia non avrebbe potuto più essere un “impero” ma solo una potenza (eur)asiatica, non in grado quindi di influenzare in modo significativo la politica dell’Europa o, a maggior ragione, di conquistare una posizione egemonica in Europa. La Russia sarebbe stata comunque una grande potenza, dato che, grazie al suo gigantesco arsenale nucleare, avrebbe sempre potuto distruggere qualsiasi altra potenza, America inclusa, ma la sua sfera di influenza sarebbe stata fortemente limitata anche in Asia, in specie da una Cina sempre più forte e potente. Si può quindi ritenere che la questione ucraina dopo il crollo dell’Unione Sovietica sia stata sostanzialmente “gestita” sia da Mosca sia da Washington, ovviamente per ragioni opposte,  tenendo conto dell’analisi dello studioso di origine polacca.

Ciò nonostante, i rapporti economici tra la Russia e l’Europa e in particolare con la Germania avevano creato delle condizioni tali che si poteva giungere ad inserire la Russia nel contesto (non solo economico ma politico) europeo e quindi consentire di ridefinire le relazioni tra la Germania e altri Paesi europei (tra cui la Francia e l’Italia) con la stessa America. In pratica, si trattava di una nuova Ostpolitik, che da un lato consentiva alla Ue una maggiore autonomia strategica rispetto all’America e dall’altro la possibilità per la Russia di ottenere, in cambio di energia e materie prime (vendute a basso prezzo), tecnologia occidentale e implementare dei programmi di sviluppo industriale e sociale, tanto più necessari per un Paese come la Russia che era uscita con le “ossa rotte” dall’ultimo decennio del secolo scorso.

Naturalmente, un tale corso politico incontrava non pochi ostacoli, non solo a causa della rivalità tra l’America e la Russia ma per la stessa debolezza geopolitica della Ue, che rendeva assai difficile a dei Paesi europei non seguire le direttive politico-strategiche di Washington, e per il fatto che i Paesi dell’Europa orientale continuavano a considerare la Russia come un Paese ostile o addirittura un vero e proprio nemico (geo)politico. In questo contesto, era inevitabile che la cosiddetta “rivoluzione ucraina” del 2014 (ossia Euromaidan) ponesse il Cremlino nella condizione di dovere scegliere tra continuare ad avere buone relazioni con l’Ue oppure cercare di inglobare l’Ucraina nello spazio geopolitico russo ad ogni costo, mettendo così fine alla Ostpolitik (una scelta tanto più importante in quanto il Cremlino considerava già una minaccia l’espansione ad est della Nato, cominciata con l’adozione della politica della “porta aperta” al vertice della Nato di Madrid nel 1997). 

In un certo senso si può affermare che il Cremlino scelse allora una “soluzione di compromesso”, annettendo la Crimea (che pure Mosca, con il Memorandum di Budapest del 1994, aveva riconosciuto appartenere all’Ucraina, in cambio della consegna alla Russia delle testate nucleari possedute degli ucraini), istigando una rivolta dei filorussi del Donbas contro il governo di Kiev e poi (nell’estate del 2014) intervenendo militarmente in loro appoggio, ma rinunciando a scatenare una guerra contro l’Ucraina per insediare un governo filorusso a Kiev, sebbene i nazionalisti russi “premessero” in questo senso. Pertanto, anche grazie agli accordi di Minsk, i buoni rapporti con l’Ue e soprattutto con la Germania sono continuati fino allo scorso febbraio, benché in un contesto geopolitico del tutto diverso. Difatti, oltre alle sanzioni imposte alla Russia per l’annessione della Crimea, la pressione della Nato ai confini della Russia è diventata ancora più forte, e l’esercito ucraino ha potuto essere addestrato dalla Nato e rafforzarsi in previsione di una aggressione russa, benché la Casa Bianca (con buona pace degli estremisti atlantisti, neocon inclusi) si sia sempre rifiutata di consegnare all’esercito ucraino delle armi (aerei da combattimento e carri armati, sistemi di artiglieria a lunga gittata ecc.) che potessero mettere seriamente a repentaglio la sicurezza della Federazione Russa.

Tuttavia, il fatto che il Cremlino usasse le proprie risorse per incrementare la propria potenza militare anche e soprattutto a scapito dello sviluppo economico e sociale del Paese, al punto di cercare di estendere la propria sfera di influenza politico-militare non solo in Medio Oriente ma anche in Africa avvalendosi dei mercenari del famigerato Gruppo Wagner, era per molti occidentali un chiaro segno delle ambizioni imperiali del Cremlino. In quest’ ottica è ovvio, proprio a causa dei motivi ben chiariti da Zbignew Brzezinski, che prima o poi Mosca avrebbe usato anche la forza pur di inglobare l’Ucraina nello spazio geopolitico russo, anziché limitarsi a cercare di influire sulla politica di Kiev, sfruttando anche la presenza (fino all’invasione russa dello scorso 24 febbraio) di alcuni partiti filorussi nella vita politica ucraina.

In altri termini, dopo Euromaidan la politica del Cremlino si è sempre più orientata secondo una prospettiva geopolitica che, sebbene fosse anche condizionata dalla pressione della Nato ai confini della Russia, dipendeva sempre meno dalla “soluzione di compromesso” scelta da Mosca nel 2014-2015, dato che quest’ultima non poteva comunque risolvere la questione ucraina nella misura in cui tale soluzione dipendeva appunto dalla decisione di Mosca di soddisfare le proprie ambizioni imperiali ad ogni costo oppure cercare di favorire  l’Ostpolitik per rafforzare sempre più i rapporti con l’Europa, contando pure sullo stesso declino (relativo) dell’egemonia americana, evidenziato dalla crescita della Cina e in generale dalla nuova fase geopolitica “multipolare” ossia il fatto che esiste una molteplicità di Paesi che non sono più disposti a seguire le direttive strategiche di Washington.

 Pertanto, decidendo di invadere l’Ucraina*, Mosca ha, per così dire “scoperto le carte”, anche se sotto il profilo geopolitico ha già dimostrato - comunque finisca questa disastrosa guerra - di non avere né la forza né la capacità di costruire un “impero” in grado di sfidare l'America o l’Occidente, nonostante che la Russia rimanga pur sempre una superpotenza nucleare. Comunque sia, la decisone russa di risolvere la questione ucraina con la forza può essere condivisa da chi ritiene non solo che si debba limitare la politica di potenza dell’America o addirittura sconfiggere l’“impero” americano, ma che, per ottenere questo risultato, sia necessario costruire un altro “impero”, costi quel che costi. Chiaramente sotto questo aspetto l’opinione degli ucraini conta poco o nulla, giacché il fine giustificherebbe i mezzi. Paradossalmente, i “putiniani” che affermano di essere favorevoli alla pace (chi non lo è?) e alla cooperazione internazionale ma al tempo stesso ritengono necessario che vi sia un “impero” che possa spezzare i denti a quello americano, dimostrano perlomeno di avere una scarsa comprensione degli affari geopolitici, giacché una potenza egemone - il cui declino è solo relativo e in ogni caso non dipende da un declino della sua potenza militare - non può che reagire con la forza se una potenza anti-egemonica pretende di ridefinire con la forza gli equilibri geopolitici mondiali (non a caso la stessa Unione Sovietica si astenne dall’agire in questo senso, come dimostrò perfino la “crisi dei missili di Cuba”).

Non può quindi neppure sorprendere il modo in cui la Nato ha reagito all’invasione dell’Ucraina, benché sia evidente, tranne ai “putiniani”, che Washington, almeno per ora, ha cercato di evitare una pericolosa escalation, anche a costo di penalizzare l’esercito ucraino (ad esempio Washington, oltre a rifiutarsi ancora di consegnare aerei da combattimento occidentali, ha deciso solo adesso che vengano inviati dalla Nato carri armati e blindati all’Ucraina, che, come sa ogni serio analista militare, se invece fossero stati consegnati all’Ucraina nel giugno scorso, avrebbero permesso alla controffensiva ucraina dei mesi scorsi di conseguire risultati assai maggiori). La politica di Washington si spiega probabilmente tenendo presente non solo che una escalation comporta il rischio di una guerra nucleare (che non conviene a nessuno) ma pure che la debolezza politico-militare (sotto il profilo convenzionale, s’intende) della Russia è tale da non costituire una seria minaccia per la Nato e che non è nemmeno interesse dell’America – che ha già raggiunto l’obiettivo di tagliare i ponti tra l’Ue e la Russia - una “disgregazione” della Federazione Russa (non fosse altro che per la presenza del gigantesco arsenale nucleare russo).

Al riguardo, è davvero significativo uno studio della guerra russo-ucraina da parte degli analisti della Rand Corporation**. Secondo questo studio una guerra lunga non è affatto conveniente per l'America (che ora deve soprattutto confrontarsi con la Cina). Del resto, ben difficilmente l’Ucraina può ottenere una “vittoria totale” contro la Russia e viceversa. Pertanto, gli Usa dovrebbero impegnarsi perché si arrivi ad una soluzione negoziale perlomeno nel medio termine (verosimilmente entro la fine di quest'anno). In sostanza, l’America dovrebbe chiarire bene qual è il (migliore) programma di aiuti (in particolare quelli militari) per la difesa dell’Ucraina, impegnarsi per garantire la sicurezza e l’indipendenza dell'Ucraina giocando anche la carta di una Ucraina neutrale (si tratta praticamente di una soluzione negoziale di cui si era già discusso nell'incontro tra russi e ucraini ad Istanbul), e stabilire delle condizioni per l’abolizione delle sanzioni che sono state imposte alla Russia. Insomma, secondo gli analisti della Rand Corporation la stessa questione territoriale, benché non la si possa ignorare, deve dipendere da questioni più importanti, che concernono cioè sia la sicurezza e l'indipendenza dell'Ucraina (che si devono comunque garantire) sia l’eliminazione del rischio di una guerra tra la Nato e la Russia.

Si tratta di un’analisi che - la si condivida o no (giacché è indubbio che alcuni punti siano “controversi”)*** - tiene comunque conto degli interessi di tutti gli attori geopolitici coinvolti in questa guerra, inclusi quelli dell’Ucraina, com’è ovvio e giusto dato che non è possibile chiedere all’Occidente di sacrificare gli interessi dell’Ucraina sull’altare di un realismo geopolitico assai male inteso, ma considerando che i costi di una guerra lunga anche per Kiev potrebbero essere decisamente superiori ai benefici. D’altra parte, in questa guerra sono in gioco più che le sorti del regime di Putin, che sono nelle mani dei russi, le ambizioni imperiali del regime di Putin (non è cioè certo in gioco l’esistenza della Russia). In definitiva, la difesa della sovranità e della indipendenza dell’Ucraina in una prospettiva “realistica” la si può ottenere “anche” (benché non soltanto) con una soluzione negoziale di questo conflitto, sempre che pure il Cremlino sappia e voglia agire secondo una concezione geopolitica “realistica” e “razionale”.



*La questione del conflitto del Donbas c’entra poco con tale decisione (il cui scopo del resto era insediare un governo filorusso a Kiev e mettere la Nato di fronte al “fatto compiuto” ovverosia non darle il tempo di aiutare in modo significativo l’esercito ucraino). Difatti, secondo un documento dell’Onu (“Conflict-related civilian casualties in Ukraine”, OHCHR, 27 gennaio 2022 - disponibile in rete) dal 14 aprile 2014 al 31 dicembre 2021 sono morti a causa del conflitto tra lesercito di Kiev e le milizie filorusse 3.404 civili, 4.400 soldati ucraini e 6.500 membri delle milizie del Donbas. Per quanto concerne i civili 3.039 sono morti nel 2014-15, una cifra che dimostra che dopo il 2015 lintensità del conflitto, nonostante le numerose violazioni del cessate il fuoco da parte di entrambi i belligeranti, era notevolmente diminuita. In particolare, le vittime civili nel 2021 sono state 25 (27 nel 2019 e 26 nel 2020), di cui 12 a causa di esplosione di mine. Insomma, i fatti più gravi durante il conflitto del Donbas sono accaduti sei anni prima dellinvasione russa dell'Ucraina.

**Questo studio è disponibile sul sito della Rand Corporation.

***Oltre alla “difficile” questione della neutralità dell’Ucraina, che richiederebbe comunque ampie garanzie politiche e militari (ragion per cui per alcuni ormai è impossibile impedire all’Ucraina di entrare nella Nato), si deve considerare che gli analisti militari occidentali ritengono che si possa arrivare ad una situazione di stallo il più possibile favorevole all’Ucraina anche sotto il profilo “territoriale” ma al tempo stesso sostengono che la Federazione Russa può (finché “regge” il fronte interno) tollerare perdite decisamente maggiori di quelle ucraine e che è in grado di condurre una guerra lunga, anche perché la Russia non è affatto del tutto isolata sul piano internazionale, sebbene adesso sia ancora più dipendente dalla Cina e dall’India (a tale proposito si vedano i seguenti articoli pubblicati il 31 gennaio di quest’anno sul New York Times: “Russia sidesteps western punishments, with help from friends” e “Russia’s economic growth suggests western sanctions are having a limited impact”).



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