sabato 29 luglio 2023

LA QUESTIONE DELL'EGEMONIA IN UNA PROSPETTIVA GEOPOLITICA

Che la sfida tra Usa e Cina sia anche e soprattutto una sfida geopolitica non è certo una novità. Tuttavia, la stragrande maggioranza di coloro che si occupano di questo argomento - nonostante che si definiscano o siano definiti “analisti geopolitici”  - ignora proprio questo aspetto della sfida tra gli Usa e la Cina, confondendo un economicismo rozzo e volgare con la geopolitica.

Difatti, il confronto tra gli Usa e la Cina ha poco senso se si ignora il confronto tra il blocco occidentale egemonizzato dagli Usa e la Cin, anche se all’élite dominante americana (o perlomeno alla maggior parte di essa) è ormai chiaro che basarsi unicamente sui mezzi e le risorse degli Usa non è sufficiente per non perdere la sfida con la Cina. 

In altri termini, anche se per un buon numero degli americani che “contano” essenziale è il confronto tra gli Usa e la Cina e hanno comunque interesse a presentare la Cina come una potenza che sta già vincendo la sfida con l’America, l’élite dominante americana è perfettamente consapevole del “declino relativo” degli Usa – cui certo l’America non può mettere fine nel breve-medio periodo - e quindi che solo un blocco occidentale egemonizzato dagli Usa è in grado di fare fronte alla sfida (tecnologica, economica e militare) con la Cina.

D’altronde, il principale “asset geostrategico” degli Usa consiste proprio nel potere contare su una rete di alleanze composta da numerosi Paesi caratterizzati da un’economia avanzata e con capacità di innovazione nei principali settori strategici, mentre sotto questo profilo la Cina praticamente può contare solo su sé stessa ovverosia sui propri mezzi e le proprie risorse (che non sono pochi). 

Questo ovviamente non significa che la Cina sia isolata. Non vi è dubbio che pure la Cina possa contare su una preziosa rete di alleanze, che sta pure estendendosi, ma sotto il profilo geostrategico si tratta di una rete di alleanze assai diversa da quella  su cui può contare l’America, dato che, sotto questo aspetto, due sono i principali “asset geostrategici” di cui dispone la Cina: le materie prime strategiche e il commercio.

Ragion per cui una vera e propria “rottura” tra la Cina e il “mondo occidentale” avrebbe conseguenze assai gravi sotto il profilo economico non solo per i Paesi europei ma anche per gli Usa e la stessa Cina. Ciò nonostante, nella misura in cui la sfida tra gli Usa e la Cina si configura come una lotta per l’egemonia mondiale, i fattori economici contano assai meno o, meglio, contano soprattutto in quanto fattori di “potenza geopolitica”, ad ulteriore conferma che è la “potenza” del blocco occidentale egemonizzato dagli Usa che si deve tenere presente  per capire l’attuale lotta per l’egemonia mondiale.

Peraltro, si deve tener conto anche dei problemi politici e sociali di ciascuna delle due grandi potenze. In quest'ottica l’America sembra essere messa decisamente peggio della Cina, benché pure la Cina si stia imbattendo nei limiti che contraddistinguono una società industriale avanzata (invecchiamento della popolazione, calo demografico, disoccupazione giovanile, costo del lavoro non più competitivo  a livello mondiale ecc.) e lo stesso metodo di governo di Xi Jinping (sempre più basato sul “bastone e il bavaglio”) possa rendere il sistema politico-sociale cinese meno “flessibile” e privarlo di preziose energie morali e intellettuali.

Comunque sia, è ovvio che l’attuale formazione di un’area geoeconomica non più egemonizzata dagli Usa - o, se si preferisce, il cosiddetto “multipolarismo” - rappresenti un pericolo serio per gli Usa, tanto più che si tratta di un’aerea che si sta espandendo, al punto da comprendere anche Paesi tradizionalmente alleati degli Usa o comunque non ostili nei confronti del “mondo occidentale”.

Del resto, è indubbio che molti Paesi di quella che fino a non molti anni fa era considerata la periferia o la semiperiferia del “sistema mondo” abbiano acquisito una “certa” autonomia strategica e non intendano sacrificare i propri interessi per seguire le direttive strategiche di Washington, anche se ciò non implica affatto che siano disposti a sacrificarli a vantaggio della Cina. Nondimeno, non si può sottovalutare  il rischio che il “multipolarismo” si muti in una sorta di “bipolarismo imperfetto”, sebbene assai diverso da quello che caratterizzava il “sistema mondo” durante il periodo della guerra fredda.

In questa prospettiva, è particolarmente significativa la situazione dell’Unione Europea. Pressoché priva di un'autentica autonomia strategica, l’Unione  Europea, sotto il profilo geopolitico, sembra essere un vaso di coccio tra vasi di ferro e soprattutto la Germania pare essere ancora prigioniera di un ottuso economicismo, come se nemmeno la guerra russo-ucraina avesse confermato che la cosiddetta “supremazia” dell’Economico è tale solo in quanto l’Economico dipende da fattori (geo)politici e geostrategici, dato che il concetto stesso di “supremazia” è e non può non essere un concetto eminentemente (geo)politico.

Ma perfino più preoccupante è il declino politico-culturale dell’Europa, che pure sembrava potere dimostrare al “resto del mondo” che non è un’utopia risolvere le controversie internazionali in un quadro di coesistenza pacifica e di cooperazione economica e culturale. Avere fallito questo obiettivo (tanto che l’Europa attuale - grazie alla disastrosa invasione russa dell’Ucraina, frutto unicamente delle ambizioni imperiali di una Russia incapace di fare i conti con la propria storia - è apparentemente unita “sotto la bandiera americana”, anche se in realtà sembrano esserci tante “Europe” in lotta tra di loro quanti sono gli Stati europei) rischia  invece di essere  il più grande fallimento geopolitico di questo secolo.

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