sabato 29 luglio 2023

LA QUESTIONE DELL'EGEMONIA IN UNA PROSPETTIVA GEOPOLITICA

Che la sfida tra Usa e Cina sia anche e soprattutto una sfida geopolitica non è certo una novità. Tuttavia, la stragrande maggioranza di coloro che si occupano di questo argomento - nonostante che si definiscano o siano definiti “analisti geopolitici”  - ignora proprio questo aspetto della sfida tra gli Usa e la Cina, confondendo un economicismo rozzo e volgare con la geopolitica.

Difatti, il confronto tra gli Usa e la Cina ha poco senso se si ignora il confronto tra il blocco occidentale egemonizzato dagli Usa e la Cin, anche se all’élite dominante americana (o perlomeno alla maggior parte di essa) è ormai chiaro che basarsi unicamente sui mezzi e le risorse degli Usa non è sufficiente per non perdere la sfida con la Cina. 

In altri termini, anche se per un buon numero degli americani che “contano” essenziale è il confronto tra gli Usa e la Cina e hanno comunque interesse a presentare la Cina come una potenza che sta già vincendo la sfida con l’America, l’élite dominante americana è perfettamente consapevole del “declino relativo” degli Usa – cui certo l’America non può mettere fine nel breve-medio periodo - e quindi che solo un blocco occidentale egemonizzato dagli Usa è in grado di fare fronte alla sfida (tecnologica, economica e militare) con la Cina.

D’altronde, il principale “asset geostrategico” degli Usa consiste proprio nel potere contare su una rete di alleanze composta da numerosi Paesi caratterizzati da un’economia avanzata e con capacità di innovazione nei principali settori strategici, mentre sotto questo profilo la Cina praticamente può contare solo su sé stessa ovverosia sui propri mezzi e le proprie risorse (che non sono pochi). 

Questo ovviamente non significa che la Cina sia isolata. Non vi è dubbio che pure la Cina possa contare su una preziosa rete di alleanze, che sta pure estendendosi, ma sotto il profilo geostrategico si tratta di una rete di alleanze assai diversa da quella  su cui può contare l’America, dato che, sotto questo aspetto, due sono i principali “asset geostrategici” di cui dispone la Cina: le materie prime strategiche e il commercio.

Ragion per cui una vera e propria “rottura” tra la Cina e il “mondo occidentale” avrebbe conseguenze assai gravi sotto il profilo economico non solo per i Paesi europei ma anche per gli Usa e la stessa Cina. Ciò nonostante, nella misura in cui la sfida tra gli Usa e la Cina si configura come una lotta per l’egemonia mondiale, i fattori economici contano assai meno o, meglio, contano soprattutto in quanto fattori di “potenza geopolitica”, ad ulteriore conferma che è la “potenza” del blocco occidentale egemonizzato dagli Usa che si deve tenere presente  per capire l’attuale lotta per l’egemonia mondiale.

Peraltro, si deve tener conto anche dei problemi politici e sociali di ciascuna delle due grandi potenze. In quest'ottica l’America sembra essere messa decisamente peggio della Cina, benché pure la Cina si stia imbattendo nei limiti che contraddistinguono una società industriale avanzata (invecchiamento della popolazione, calo demografico, disoccupazione giovanile, costo del lavoro non più competitivo  a livello mondiale ecc.) e lo stesso metodo di governo di Xi Jinping (sempre più basato sul “bastone e il bavaglio”) possa rendere il sistema politico-sociale cinese meno “flessibile” e privarlo di preziose energie morali e intellettuali.

Comunque sia, è ovvio che l’attuale formazione di un’area geoeconomica non più egemonizzata dagli Usa - o, se si preferisce, il cosiddetto “multipolarismo” - rappresenti un pericolo serio per gli Usa, tanto più che si tratta di un’aerea che si sta espandendo, al punto da comprendere anche Paesi tradizionalmente alleati degli Usa o comunque non ostili nei confronti del “mondo occidentale”.

Del resto, è indubbio che molti Paesi di quella che fino a non molti anni fa era considerata la periferia o la semiperiferia del “sistema mondo” abbiano acquisito una “certa” autonomia strategica e non intendano sacrificare i propri interessi per seguire le direttive strategiche di Washington, anche se ciò non implica affatto che siano disposti a sacrificarli a vantaggio della Cina. Nondimeno, non si può sottovalutare  il rischio che il “multipolarismo” si muti in una sorta di “bipolarismo imperfetto”, sebbene assai diverso da quello che caratterizzava il “sistema mondo” durante il periodo della guerra fredda.

In questa prospettiva, è particolarmente significativa la situazione dell’Unione Europea. Pressoché priva di un'autentica autonomia strategica, l’Unione  Europea, sotto il profilo geopolitico, sembra essere un vaso di coccio tra vasi di ferro e soprattutto la Germania pare essere ancora prigioniera di un ottuso economicismo, come se nemmeno la guerra russo-ucraina avesse confermato che la cosiddetta “supremazia” dell’Economico è tale solo in quanto l’Economico dipende da fattori (geo)politici e geostrategici, dato che il concetto stesso di “supremazia” è e non può non essere un concetto eminentemente (geo)politico.

Ma perfino più preoccupante è il declino politico-culturale dell’Europa, che pure sembrava potere dimostrare al “resto del mondo” che non è un’utopia risolvere le controversie internazionali in un quadro di coesistenza pacifica e di cooperazione economica e culturale. Avere fallito questo obiettivo (tanto che l’Europa attuale - grazie alla disastrosa invasione russa dell’Ucraina, frutto unicamente delle ambizioni imperiali di una Russia incapace di fare i conti con la propria storia - è apparentemente unita “sotto la bandiera americana”, anche se in realtà sembrano esserci tante “Europe” in lotta tra di loro quanti sono gli Stati europei) rischia  invece di essere  il più grande fallimento geopolitico di questo secolo.

domenica 23 luglio 2023

UNA PRECISAZIONE NECESSARIA

Il 22 novembre scorso "l'AntiDiplomatico" ha pubblicato sul suo sito il seguente mio post:

«L'interpretazione politica dell'"Holodomor" e la storiografia anglosassone*

L'Holodomor - termine con il quale si designa il genocidio per fame che il regime sovietico avrebbe "intenzionalmente" perpetrato a danno della popolazione ucraina - è ancora una questione storica controversa. Certo, non possono essere dei parlamentari a decidere se la morte per fame di milioni di ucraini durante la terribile carestia che colpì l'Ucraina negli anni Trenta del secolo scorso si possa definire un genocidio.

Storici autorevoli come Robert Davies, Stephen Kotkin, Stephen Wheatcroft, Mark Tauger e J. Arch Getty (che non sono né putiniani né filorussi né comunisti) sostengono che Stalin non aveva intenzione di sterminare gli ucraini, anche se ovviamente non negano le gravi responsabilità del regime sovietico, dato che è indubbio che le conseguenze della carestia furono disastrose anche a causa della politica del regime stalinista.

Arch Getty ha scritto:

"Similarly, the overwhelming weight of opinion among scholars working in the new archives (including Courtois's co-editor Werth) is that the terrible famine of the 1930s was the result of Stalinist bungling and rigidity rather than some genocidal plan" (A. Getty, The Future Did Not Work,  "The Atalntic Monthly", 285, 3, 2000, pp. 113-116).

E Stephen Wheatcroft  ha scritto:

"Davies and I have […] produced the most detailed account of the grain crisis in these years, showing the uncertainties in the data and the mistakes carried out by a generally ill-informed, and excessively ambitious, government. The state showed no signs of a conscious attempt to kill lots of Ukrainians and belated attempts that sought to provide relief when it eventually saw the tragedy unfolding were evident. The relief measures that were given were of course too few and too late to make much difference and they were also given in secret with most concern over covering up the catastrophe that had occurred" (S. Wheatcroft, The Turn Away from Economic Explanations for Soviet Famines, “Contemporary European History”, 27, 3, 2018, pp. 465-469).

Insomma l'interpretazione politica dei fatti è necessaria, ma non può prescindere dalla ricostruzione storica dei fatti.

Solo in un regime "totalitario" si può pensare che siano i Parlamenti a scrivere la storia.»**


Ovviamente lo scopo di questo post era solo quello di evidenziare che non possono essere certo dei parlamentari a stabilire se una ricostruzione storica dei fatti sia vera o no, ragion per cui dopo avere precisato che l'Holodomor è ancora una questione controversa ho citato alcuni autori che mettono in dubbio che si possa definire un genocidio, benché nessuno di questi autori metta in dubbio che il regime stalinista abbia moltiplicato le conseguenze negative della carestia. 

Anche nel mio libro La strada della vita, pur ricordando che secondo vari storici l'Holodomor fu un genocidio, dopo avere citato Stephen Wheatcroft  - che insieme a Robert Davies è autore di The Years of the Hunger: Soviet Agricolture, 1931-1933 (si tratta del vol. V della fondamentale opera The Industrialisation of Soviet Russia) New York, 2009 -  ho  scritto: "Insomma, anche se la questione della carestia in Ucraina è ancora controversa, sembra sia lecito affermare che se omicidio (ammesso che sia lecito esprimersi così) ci fu non si trattò di omicidio premeditato bensì di omicidio colposo o tutt’al più, ma è da dimostrare, preterintenzionale".

In effetti non credo che si lecito esprimersi in questo modo (anche se nel mio libro mi riferisco solo a quanto sostiene Wheatcroft ossia non esprimo il mio pensiero sull'Holodomor) e quindi me ne scuso, sebbene subito dopo abbia ricordato che secondo Roy Medvedev "nel 1931-1933 'in tutte le regioni del paese si creavano decine di migliaia di kolchozy, che erano privi di attrezzatura tecnica, di esperienza di conduzione agricola collettiva, e di buoni dirigenti. Contemporaneamente veniva attuata la deportazione forzata verso lontani territori di centinaia di migliaia di famiglie kulak, e anche di centinaia di migliaia di famiglie di contadini medi che non intendevano entrare nei kolchozy, nonché di molte altre famiglie di contadini, anche poveri, che si erano opposti o alla creazione dei kolchozy […] La produzione agricola continuava a diminuire, ma gli ammassi aumentavano, e lo Stato continuava a vendere cereali all’estero per rimpinguare le proprie riserve valutarie. Tutto ciò finì per produrre una grave carestia, che colpì tutte le regioni cerealicole […] dove morirono milioni di contadini'".

Comunque sia, di "spazio" per il cosiddetto "negazionismo dell'Holodomor", tipico di una certa storiografia russa  o comunista, non ve n'è e non ve ne deve nemmeno essere. Meglio essere chiari al riguardo. Difatti, le gravissime responsabilità di Stalin e in generale del regime stalinista sono fuori discussione, sia che l'Holodomor si definisca un genocidio sia che non lo si definisca un genocidio, anche se oggi si deve riconoscere che la grande maggioranza degli storici occidentali - tra cui Timothy Snyder, Steven Rosefielde, Nicolas Werth e Andrea Graziosi - ritiene che si sia trattato di genocidio.***

D'altronde, degno di nota è anche il fatto che Robert Conquest, che nel 1986 (quando cioè venne pubblicato il suo libro Harvest of Sorrrow) era stato il primo importante storico in Occidente a definire l'Holodomor un genocidio,  ebbe poi a scrivere (nel 2003) a Wheatcroft e Davies: "Stalin purposely inflicted the 1933 famine? No. What I argue is that with resulting famine imminent, he could have prevented it, but put ‘Soviet interest’ other than feeding the starving first thus consciously abetting it" (vedi R. Davies, S. Wheatcroft, Stalin and the Soviet Famine of 1932-1933: A Reply to Ellman, "Europe-Asia Studies", Vol. 58, No. 4, 2006, p. 629.

In sostanza, per quanto concerne l'interpretazione storica dell'Holodomor è il giudizio degli storici che conta non certo il mio né quello dei politici.




*Il titolo del post è della redazione dell'"AntiDiplomatico". Il post, infatti, lo avevo pubblicato su  Facebook senza titolo.

**https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-linterpretazione_politica_dellholodomor_e_la_storiografia_anglosassone/45289_48025/ Si deve comunque pure notare che lo storico Sthépane Courtois ha contestato l'affermazione di Getty citata nel mio post.

***Si veda ad esempio A. Graziosi, The Soviet 1931–1933 Famines and the Ukrainian Holodomor: Is a New Interpretation Possible, and What Would Its Consequences Be?

  https://www.iris.unina.it/retrieve/handle/11588/335138/3891/GraziosiFaminesPDF.pdf

ma anche An interview with economic historian Stephen Wheatcroft on the Soviet famine and historical falsification


Si badi che lo stesso Andrea Graziosi scrive nel suo libro L'Unione Sovietica, 1914-1991 (Bologna, 2011, p. 163): "C'è dunque un genocidio ucraino dentro la storia sovietica? La risposta è negativa se pensiamo a una carestia concepita dal regime o - versione ancor più indifendibile - dalla Russia per distruggere il popolo ucraino. E resta tale se si adotta una definizione restrittiva di genocidio come volontà preordinata di sterminare tutti i membri di un gruppo etnico, religioso o sociale. Ma la definizione di genocidio adottata dalle Nazioni Unite nel 1948 elenca tra i possibili atti genocidiari «l'infliggere loro deliberatamente condizioni di vita calcolate per determinarne la distruzione fisica totale o parziale». In questa prospettiva, se riflettiamo sulla differenza tra i tassi di mortalità nelle diverse repubbliche; aggiungiamo ai milioni di vittime ucraine i milioni di ucraini russificati dopo il dicembre 1932; prendiamo in considerazione la distruzione di gran parte dell'élite politica e intellettuale della repubblica ecc., allora la risposta alla domanda sulla presenza di un genocidio ucraino sembra essere positiva."






mercoledì 19 luglio 2023

IL POLITICO E LA GUERRA

È da quando è cominciata questa guerra che pure chi scrive sostiene che la questione della indipendenza e della sicurezza dell’Ucraina non deve dipendere dalla questione territoriale, tanto più che una soluzione meramente militare di quest’ultima sarebbe con ogni probabilità non definitiva.

Si tratta quindi di difendere una concezione realistica, in sostanza non diversa da quella condivisa da noti analisti militari o geopolitici occidentali (da distinguere dai sedicenti analisti militari o geopolitici italiani che non hanno mai pubblicato nulla di serio o di significativo né su argomenti di storia militare né su questioni geopolitiche), tra cui spiccano i nomi di alcuni ricercatori della Rand Corporation.*

Comunque sia, non solo il governo di Kiev, ragionando in un’ottica nazionalista anziché realistica, rischia di non “capitalizzare” i pur notevoli successi conseguiti nel primo anno di guerra, ma l’Occidente non può continuare a lasciare che la sua strategia sia dettata da Paesi come la Polonia o quelli baltici, tanto più che i principali Paesi della Ue hanno interessi diversi da quelli dei Paesi dell’Europa nord-orientale e la stessa America  - a differenza della Polonia e dei Paesi baltici ma pure dell' Ucraina - non vuole certo che la Federazione Russa si disgreghi o precipiti nel caos.

D’altronde, non si può neanche ignorare che nell’Ucraina orientale (Crimea inclusa)** vi è una minoranza russa o filorussa (da non confondere con gli ucraini russofoni, dato che gran parte di loro è ostile o addirittura “ferocemente” ostile nei confronti dei russi – basti pensare a Kharkiv) che ormai è pressoché impossibile che possa convivere pacificamente con gli altri ucraini.  Peraltro, la Russia di Putin sta già pagando un costo assai salato per la sua fallimentare strategia politica in Ucraina,  in quanto lo scopo di Mosca era quello di insediare un governo filorusso a Kiev  e inglobare l’Ucraina o la maggior parte di essa (ossia l’Ucraina centrale e orientale) nello spazio geopolitico egemonizzato dalla Russia.

Ovviamente per arrivare ad un cessate il fuoco duraturo occorre almeno 1) che si garantisca la difesa della indipendenza e della sicurezza dell’Ucraina (vi sono diverse soluzioni, inclusa una alleanza tra Ucraina e Paesi occidentali simile a quella che esiste tra Israele e l’America), 2) che la Russia sia disposta a riconoscere l’indipendenza e la sovranità dell’Ucraina. Certo, quest’ultima condizione non è facile che si verifichi dato che la Russia sembra prigioniera della sua strategia fallimentare in Ucraina, ma è pur vero che anche l’Occidente in un certo senso rischia di essere prigioniero della sua mancanza di una strategia (geo)politica chiara e realistica.***

Difatti, affermare che si deve stare con Kiev “sino in fondo” – come ripetono a pappagallo molti politici europei che non sanno forse nemmeno con quali Paesi confina l’Ucraina - non significa nulla né significa nulla che l’Occidente deve prepararsi a sostenere l’Ucraina in una guerra lunga contro la Russia se non si precisa chiaramente qual è lo scopo politico di questa guerra e soprattutto se non si dimostra che si tratta  di uno scopo che si può conseguire agendo in modo razionale. 

Insomma, anche se la controffensiva ucraina è ancora in corso, sarebbe opportuno fin da adesso cominciare  a "capitalizzare politicamente" i successi ucraini (compresi quelli che gli ucraini potrebbero ottenere con l'attuale controffensiva) secondo una prospettiva realistica. In altri termini, una iniziativa diplomatica da parte dell’Occidente, mentre si continua a combattere in Ucraina, per giungere ad un cessate il fuoco, praticamente equivale a riconoscere che la guerra è solo la prosecuzione della politica con altri mezzi. 


*Naturalmente si tratta di posizioni che non hanno nulla a che vedere con le farneticazioni dei (filo)putiniani che diffondono una miriade di bufale di ogni genere, al punto che sembra che sia stata l'Ucraina ad aggredire la Russia e che questa guerra venga combattuta in Russia anziché in Ucraina.


**Che la Crimea appartenga all’Ucraina, considerando i confini dell’Ucraina riconosciuti dalla Russia nel 1991, è indubbiamente vero ma - indipendentemente dal fatto che pure gli Usa e Israele hanno violato numerose volte il diritto internazionale (anche se, com'è ovvio, questo non implica affatto che si debbano giustificare i crimini commessi dai russi in Ucraina) - è anche innegabile che le condizioni storiche oggi sono molto diverse da quelle che c’erano all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso e che ostinarsi a non riconoscerlo significa preferire ad un agire razionale rispetto allo scopo un agire basato unicamente su principi di carattere ideologico. 

***Certo è possibile pure che l'Ucraina infligga una sconfitta militare decisiva alla Russia, al punto da riconquistare tutti i territori occupati dai russi (Crimea inclusa), e che a Mosca si insedi un governo che non nutra più ambizioni imperiali. Ma una strategia politica razionale non si basa solo su ciò che è possibile o auspicabile. D'altra parte, si deve tenere presente che il generale Mark Milley, capo degli Stati maggiori riuniti statunitensi, ha dichiarato che la controffensiva ucraina "è tutt'altro che un fallimento. Penso che sia troppo presto per fare questo tipo di valutazione.  In questo momento [gli ucraini] stanno preservando il loro potere di combattimento. E stanno lentamente e deliberatamente e costantemente lavorando per farsi strada attraverso tutti questi campi minati, ed è una lotta dura. È una lotta molto difficile". Vedi: https://apnews.com/article/ukraine-russia-war-offensive-4cdc520d57c8caa71e9eef629a6c42e7.  Non si può quindi nemmeno escludere che la controffensiva ucraina non raggiunga risultati significativi prima che cominci la cattiva stagione o addirittura che fallisca. Insomma, come possa finire l'attuale controffensiva ucraina non è ancora possibile saperlo.



mercoledì 12 luglio 2023

SI VOLTA PAGINA

Nel vertice Nato a Vilnius si sono approvati i piani di guerra contro la Russia nel caso che quest'ultima dovesse aggredire un Paese membro della Nato. Si tratta di un cambiamento radicale della strategia della Nato dato che non ci si basa più, come nella guerra fredda, sulla deterrenza nucleare, ma si prevede di combattere un conflitto convenzionale ad altissima intensità, in cui ad ogni Paese della Nato verranno assegnati compiti precisi.

Inutile dire che tutto questo avrà un costo assai elevato, a discapito del potenziamento del sistema sanitario, della costruzione di nuove infrastrutture, della difesa del territorio, del miglioramento delle condizioni vita e di lavoro e così via.

Per di più, secondo il Washington Post,  la guerra in Ucraina è già costata all'Europa 139,5 miliardi (più quindi che agli Usa, i cui aiuti complessivi all'Ucraina ammontano a 70,9 miliardi).*  

Ma la guerra non è ancora terminata e già nel febbraio scorso si stimava che la ricostruzione dell'Ucraina sarebbe costata più di 400 miliardi. E non è un mistero che il costo della ricostruzione dell'Ucraina  dovrà essere sostenuto soprattutto dall'Europa.

Queste le conseguenze, ma potrebbero essere perfino peggiori, delle assurde e perfino grottesche ambizioni imperiali del regime neostalinista o, se si preferisce, nazi-stalinista di Putin, che solo degli sprovveduti o dei veri e propri mistificatori di professione (che abbondano nel nostro Paese) possono giustificare (favoleggiando pure di un imminente e catastrofico crollo dell'Occidente, quasi che non li riguardasse!), dato che non vi era alcuna minaccia militare  della Nato nei confronti della Russia (diversa e più complessa era la questione geopolitica che opponeva la Nato e la Russia, in specie dopo lo scontro tra la Russia e la Georgia nel 2009), come prova lo stesso fatto che - mentre il Cremlino badava solo a riempire di rubli le tasche degli oligarchi, a rafforzare la sua macchina bellica e ad incrementare la produzione di munizioni di artiglieria, infischiandosene dello sviluppo del sistema socio-economico russo - gli arsenali della Nato all'inizio di questa guerra erano semivuoti, giacché la stessa America non prevedeva di dovere combattere una guerra convenzionale ad alta intensità.

Adesso si è voltata pagina e certo opporsi (si badi, secondo una prospettiva che si potrebbe ancora definire socialdemocratica, benché "declinata" in forme diverse da quelle del secolo scorso e quindi assai più attenta alla difesa dei legami comunitari e dell'ambiente) alla volontà di potenza del sistema liberal-capitalistico, che sta generando miseria e degrado sociale e ambientale pure in Occidente, sarà molto più difficile.

*Usa: aiuti finanziari 24,5; umanitari 3,6; militari 42,8.

Europa: aiuti finanziari 37,7; umanitari 8,4; militari 35,6; per i rifugiati 57,8 (fonte https://www.washingtonpost.com/opinions/interactive/2023/ukraine-war-analysis-stalemate-economy-aid/?itid=sf_world_ukraine-russia_opinions_p001_f008&fbclid=IwAR33nX-v7zYj-Xs4dwz5D_WnSLnQoSFaA7tB3YbpkRXNrcz9oaao4201lxE).

lunedì 10 luglio 2023

NOTERELLA SULLA CONTROFFENISVA UCRAINA

Gli ucraini continuano ad avanzare con cautela - anche perché il lavoro di sminamento è necessariamente lento e pericoloso - e a colpire con i missili e artiglieria a lunga gittata i centri logistici e di comando russi, di modo da indebolire il più possibile le difese russe.

Tuttavia, il "volto della battaglia" presenta un nuovo aspetto, dato che i russi tendono a chiudere subito i “piccoli varchi” aperti dagli ucraini nelle difese russe, di modo che lo scopo degli ucraini adesso non è tanto quello di guadagnare terreno ma di infliggere il maggior numero di perdite alle stesse riserve russe, dato che in pratica la "difesa avanzata" russa sta diventando la principale linea di difesa russa. 

Intanto gli ucraini hanno compiuto progressi nella zona di Bakhmut e ora le truppe russe che sono in questa città (ridotta ad un cumulo di macerie) rischiano di essere "tagliate fuori" (sulla base di quanto affermano anche i milbloggers russi si può sostenere che le difese della 72a brigata russa hanno ceduto, il contrattacco della 57a brigata di fucilieri è fallito e altre due brigate russe - la 4a e la 14a - hanno subito gravi perdite  - vedi anche Tom Cooper, Ukraine War, 9 July 2023, "Sarcastosaurus").

Del resto, l'esercito russo continua a mostrare i soliti problemi sotto il profilo C3 e I&R e di conseguenza è incapace di condurre una vera tattica di infiltrazione o una battaglia manovrata (grave è pure la mancanza di un buon numero di militari professionisti a causa delle elevate perdite subite dall'esercito russo nella prima fase della guerra). 

Difatti, nella zona di Kreminna gli attacchi russi - condotti con la solita tattica ossia "colpi di ariete" e fuoco intenso di artiglieria - non hanno ottenuto alcun successo e pure gli attacchi russi nella zona di Avdiivka e Mariinka non hanno conseguito alcun risultato , tanto che  perfino Girkin ha scritto: "Sembra che il I Corpo d'Armata russo sia intenzionato a distruggere tutto ciò che resta delle unità 'separatiste'   e di quelle degli sfortunati mobiks russi."

Nella sostanza i russi stanno cercando di "fare muro" contando soprattutto su una certa superiorità numerica, sulla potenza di fuoco della propria artiglieria (sebbene sia assai meno  precisa di quella ucraina), sui campi minati (il numero di mine è enorme) nonché sull'appoggio degli elicotteri che si stanno rivelando assai più efficienti dei cacciabombardieri russi, il cui livello operativo continua ad essere estremamente basso, tanto che non riescono ad effettuare massicci attacchi di interdizione contro le linee logistiche ucraine ma solo alcuni attacchi di appoggio all'esercito russo e contro la prima linea ucraina con bombe plananti, oltre ad attacchi con missili (tutt'altro che precisi)  senza però penetrare in profondità nello spazio aereo ucraino.

Insomma, è ancora presto per capire come finirà la controffensiva ucraina (ossia se il muro russo reggerà o crollerà in qualche punto dando così la possibilità agli ucraini di impiegare "con profitto" il grosso delle proprie forze corazzate e meccanizzate) ma ha poco senso affermare che la controffensiva procede troppo lentamente per avere successo, dato che adesso non è questo che conta (sotto il profilo militare, si intende).*

*Che per risolvere la crisi ucraina sia necessario un accordo che vada al di là dell’Ucraina, vale a dire che concerna la questione della sicurezza collettiva in Europa, è difficile metterlo in dubbio, ma troppi sono gli ostacoli da superare, incluse la pre-potenza del Cremlino e la russofobia della cosiddetta "Europa baltica" che considera la Russia in quanto tale un Paese ostile. Un ruolo decisivo lo dovrebbe svolgere Washington che non vuole certo una disgregazione della Russia né che questa guerra si prolunghi fino alle prossime elezioni presidenziali in Usa e al tempo stesso vuole concentrare i propri mezzi e le proprie risorse soprattutto nell'Indo-Pacifico. Verosimilmente, quindi, Washington adesso mira a dare la possibilità agli ucraini di conseguire perlomeno un certo successo militare entro la fine di quest'estate per poi arrivare ad un cessate il fuoco. Tuttavia non è facile, sia perché non è affatto chiaro quali siano gli obiettivi politico-strategici di Washington, che deve pure "fare i conti" con le differenze politiche sempre più nette all'interno della stessa Nato, sia perché la Russia sembra essere "prigioniera" della sua strategia fallimentare in Ucraina.


sabato 1 luglio 2023

BREVE NOTA SULLA QUESTIONE DEL "FIGHTING POWER" E LA CONTROFFENSIVA UCRAINA

Secondo l'analisi statistica di Trevor Dupuy nella Seconda guerra mondiale l'esercito tedesco (si badi, non la marina o l'aviazione) infliggeva regolarmente perdite a un tasso superiore di circa il 50% rispetto alle truppe britanniche e americane avversarie, in ogni circostanza ed era più efficace del 20-30% rispetto alle forze britanniche e americane che lo fronteggiavano. "Questo era vero quando attaccavano e quando si difendevano, quando avevano una superiorità numerica locale e quando, come di solito accadeva, erano in inferiorità numerica, quando avevano la superiorità aerea e quando non l'avevano, quando vincevano e quando perdevano." 

Martin van Creveld , analizzando questi dati (Fighting Power: German and U.S. Army Performance, 1939-1945, Praeger 2007), nota che la dottrina tedesca dava grande importanza  alla mobilità, alla flessibilità, alla sorpresa e alla velocità e quindi enfatizzava  la manovra più che la potenza di fuoco.

 La "battaglia continua" pertanto doveva mantenere l'iniziativa, di modo che la penetrazione, l'irruzione e lo sfondamento delle difese nemiche nei punti di resistenza più deboli erano solo mosse preparatorie che dovevano portare ad operazioni di accerchiamento e annientamento (Kesselschlacht).

Robert A. Doughty (The Breaking Point: Sedan and the Fall of France, 1940, Stackpole 2014) osserva che questo sistema traeva origine dalla tradizione tedesca dell'Auftragstaktik o "comando di missione", che obbligava i comandanti superiori  a rimanere in posizione avanzata per sostenere l'indipendenza d'azione dei comandanti inferiori (ufficiali e sottufficiali) . 

L'Auftragstaktik permetteva ad un comandante di agire in base alle circostanze del momento e di ignorare anche un ordine se la missione lo richiedeva. I tedeschi dunque insegnarono ai loro ufficiali e sottufficiali a prendere l'iniziativa e a continuare a combattere anche se veniva ucciso o ferito il comandante del reparto di cui facevano parte.

Ragion per cui Martin van Creveld sostiene che la dottrina militare americana (e quindi della Nato) enfatizza eccessivamente il ruolo dei servizi tecnici e di supporto nonché della potenza di fuoco (superiorità aerea, logistica, intelligence e comunicazioni), dato che la prima e principale funzione di un esercito è quella di combattere, non quella di amministrare il personale, raccogliere informazioni, portare rifornimenti e riparare veicoli. 

Ovviamente per valutare correttamente le considerazioni di Trevor Dupuy e Martin van Creveld si deve tener conto di vari altri fattori ( si veda ad esempio Max Hastings, Their Wehrmacht Was Better Than Our Army, "Washington Post", 05/05/1985)*. D’altra parte, è innegabile che sotto il profilo logistico e dell’intelligence gli angloamericani nella Seconda guerra mondiale furono superiori ai tedeschi e che anche sotto il profilo operativo e dell’azione di comando fecero notevoli progressi nel 1944-45. Nondimeno è evidente che la cosiddetta “AirLand Battle”, che è un pilastro portante della dottrina militare della Nato (anche se ora si punta verso la cosiddetta "Multi-domain battle"), presuppone il dominio dell’aria, un’enorme “coda logistica” e una netta superiorità tecnologica. 

(Si badi però che nella Guerra di Corea - certamente una guerra ad alta intensità – dopo lo sbarco americano ad Inchon e l’intervento cinese, l’esercito dell’Onu  “a guida statunitense” - pure in questa guerra l’America fece la parte del leone - riuscì sì a far fallire l’offensiva cinese e ad infliggere perdite terribili ai cinesi e ai nordcoreani, ma poi si “impantanò” in una guerra di posizione, lunga  e dolorosa, arrivando infine ad un sostanziale “pareggio”. Molti fattori difatti in guerra sono rilevanti e in modo particolare quelli politico-strategici).**

Comunque sia, per quanto concerne l’attuale guerra russo-ucraina, è ovvio che l’esercito ucraino adesso non può puntare né sulla maggiore potenza di fuoco né sul dominio dell’aria né sulla rapidità della manovra (sono troppo poche le brigate corazzate  e meccanizzate di cui dispone). 

La migliore soluzione in questo caso potrebbe consistere nell’avanzare cautamente con la fanteria (allo scopo di sopprimere le difese nemiche “avanzate” senza subire molte perdite, di portare avanti la propria artiglieria, di creare dei corridoi liberi da mine ecc.) e nell’indebolire il più possibile la principale linea di difesa nemica colpendo i centri logistici, di comunicazione e di comando nemici (in specie con l'artiglieria a lunga gittata ossia con razzi, missili ecc.). Si tratterebbe quindi di una strategia  "indiretta", che mira a "strangolare" l'esercito nemico, evitando così di dovere combattere una serie di battaglie di logoramento. 

Non a caso sembra che proprio questa sia la strategia scelta del Comando ucraino. Chiaramente l'attacco con il grosso delle unità meccanizzate e corazzate può essere sferrato, sfruttando anche le posizioni  occupate dalla fanteria nella fascia di territorio in prossimità della principale linea di difesa nemica,  solo quando almeno un settore di quest'ultima è notevolmente indebolito ovverosia è in grave crisi logistica.***

Certo è un compito tutt'altro che facile (anche perché le difese russe sono assai solide e l'artiglieria russa è in grado di infliggere perdite dolorose agli ucraini) e, com'è ovvio, è assai più difficile quando non si può contare né su un efficace supporto aereo né su una rilevante superiorità numerica (di mezzi e uomini). Lo stesso generale ucraino Oleskandr Syrsky ha affermato: "The Russians aren’t idiots. They aren’t weak. Anyone who underestimates [them] is headed for defeat" (https://www.economist.com/syrsky-interview).

In sostanza, è lecito concludere che la controffensiva ucraina è ancora nella sua fase iniziale, di modo che non si può sapere se avrà successo (né quale successo potrà avere), perché l'attrito può cambiare il “valore” di tutti i fattori bellici su cui si basa un piano di guerra, anche nel caso che si tratti di un ottimo piano di guerra.

D’altronde, come ha dimostrato la stessa Guerra di Corea, in guerra contano soprattutto i fattori politico-strategici, di modo che è ben difficile che gli ucraini possano ottenere una vittoria totale  e definitiva contro la Russia, sempre che l’intero sistema politico e militare russo non crolli o non si disintegri. In altri termini, un cessate il fuoco che garantisse la sicurezza e l’indipendenza all’Ucraina (che ha già subito danni economici e ambientali colossali), lasciando alla politica e alla diplomazia risolvere la questione della integrità territoriale dell’Ucraina (ossia il ritorno ai confini stabiliti nel 1991) e della minoranza ucraina filorussa, con ogni probabilità sarebbe la soluzione migliore sia sotto il profilo del realismo geopolitico che sotto quello dell’etica della responsabilità.

In definitiva, una "macchina bellica" può essere molto efficiente ma se lo "strumento militare" non è adeguato allo scopo politico che si vuole raggiungere o se la strategia è poco chiara oppure basata su presupposti (geo)politici errati, allora è pressoché inevitabile perdere la guerra o che la guerra si concluda con un grave fallimento politico-strategico.


* Hastings però tende a "dimenticarsi" che le considerazioni di van Creveld valgono anche per l'esercito britannico ed esagera l'importanza dei mezzi corazzati e di altre armi dei tedeschi, mentre sottovaluta l'importanza della flessibilità tattico-operativa che contraddistingueva l'esercito tedesco anche per quanto concerne l'impiego dei mezzi corazzati. Peraltro,  non pochi storici hanno messo in luce anche i difetti del Comando tedesco, resi perfino più gravi dalla ideologia nazista che aveva messo radici nella Wehrmacht più profonde di quanto di solito si ritiene (si veda David Stahel, The Wehrmacht and National Socialist Military Thinking, "War in History", Vol. 24(3), pp. 336-361, 2017). Sulla “efficienza bellica” delle Forze armate dei principali Paesi che combatterono nella Prima e nella Seconda guerra mondiale si vedano comunque i tre volumi di llan R. Millett, Williamson Murray (a cura di), Military Effectiveness, Cambridge University Press 2010.

** In generale gli storici e gli analisti militari angloamericani tendono ad ignorare o a sottovalutare il fatto che dopo la Seconda guerra mondiale gli Stati Uniti non vinsero in Corea e persero in Vietnam, e che pure l’intervento americano o, meglio, “a guida americana” sia in Iraq che in Afghanistan si è concluso con un grave fallimento politico-strategico della “coalizione occidentale” e degli Stati Uniti in particolare.

*** Offre una interpretazione di questa guerra (nonché delle sue cause) assai diversa e "controversa" John J. Mearsheimer (https://mearsheimer.substack.com/p/the-darkness-ahead-where-the-ukraine?utm_source=profile&utm_medium=reader2), secondo cui in Ucraina si sta combattendo una guerra di logoramento che avvantaggia nettamente la Russia, di modo che Mearsheimer sostiene che è assai probabile che la Russia vinca questa guerra, annettendo gran parte dell'Ucraina (Mearsheimer afferma pure che "è [...] probabile che la guerra si trascini per almeno un altro anno e che alla fine si trasformi in un conflitto congelato che potrebbe ritornare ad essere una guerra guerreggiata" - un esito che pure chi scrive ritiene non affatto improbabile ma che non equivale ad affermare che la Russia con ogni probabilità vincerà questa guerra). 

Non è possibile in questa sede esaminare in modo approfondito l'analisi di Mearsheimer anche se non convince sotto diversi aspetti (si badi che Mearsheimer ritiene che gli Usa avrebbero dovuto allearsi con la Russia per contrastare l'ascesa della Cina), compresi quelli militari dato che non vi è nessuna prova che adesso si stia combattendo una vera guerra di logoramento (in cui le perdite dei difensori - che a loro volta conducono "feroci" contrattacchi -possono anche essere simili a quelle degli attaccanti, come ad esempio accadde nella battaglia di Verdun) nonostante che sia indubbio che pure gli ucraini abbiano subito perdite assai gravi, in specie a Bakhmut. Ma le stime del Pentagono nonché di noti Centri di studi strategici e di analisti occidentali sono assai diverse da quelle di Mearsheimer, che si basa su fonti russe e su un calcolo assai discutibile dato che Mearsheimer attribuisce alla superiorità dell'artiglieria russa - che però non è precisa come quella ucraina (gli Himars ecc. sono indubbiamente un'ottima "carta" che gli ucraini possono giocare) - la capacità di infliggere agli ucraini almeno il doppio delle perdite dei russi, anche nel caso che i russi attacchino incessantemente senza riuscire a sfondare il fronte. Comunque sia, è significativo che dopo avere preso Bakhmut, ma senza sfondare i fianchi dello schieramento ucraino, i russi si siano fermati, rinunciando ad attaccare la principale linea difensiva ucraina nel Donbas (ossia quella di Kramatorsk-Sloviansk). Si può invece affermare che le perdite ucraine "pesano" più di quelle russe se si considera la demografia, che, com'è noto, favorisce nettamente la Russia.

D'altra parte Mearsheimer non tiene conto che l'esercito russo (che adesso è composto soprattutto da riservisti e milizie varie) finora non è riuscito a condurre una "battaglia manovrata" con successo, sebbene  non si possa escludere che sia in grado di difendersi con successo. Del resto, per ottenere una vittoria militare decisiva la Russia dovrebbe perlomeno occupare Kharkiv e Odessa e poi "gestire" una popolazione in gran parte ferocemente ostile nei confronti dei russi. Certo, se l'esercito ucraino dovesse crollare e la Nato non reagisse con "durezza" (ad esempio inasprendo la pressione geopolitica e militare ai confini della Russia, ma la Nato o alcuni Paesi della Nato potrebbero pure costituire una sorta di "barriera difensiva" per impedire alla Russia di spingersi fino a Kiev o ad Odessa), allora la Nato rischierebbe di sfasciarsi e l'America perderebbe la sua egemonia sull'Europa, che probabilmente, non avendo alcuna autonomia strategica, precipiterebbe nel caos. In pratica, se Mearsheimer avesse ragione, allora per l'Ucraina e l'America/Nato sarebbe una follia continuare questa controffensiva.