Nella nostra epoca non ha molto senso la "tradizionale" critica della democrazia ossia, per intendersi, come quella di Platone. L'irruzione delle masse nella storia ha cambiato radicalmente, per così dire i "termini della equazione politica" che contraddistinguevano il mondo premoderno e quindi il senso stesso della democrazia, di modo che sotto il profilo politico e sociale non è più possibile prescindere dal ruolo del "demos". Non a caso, la stessa democrazia liberale è o, meglio, era ben diversa da quella ateniese o da altre forme di democrazia diretta. Il problema pertanto allorché si pone la questione della democrazia è quale sia o possa essere nella nostra epoca il ruolo politico e sociale del "demos".
Nella sostanza, la democrazia liberale si basava sulla lotta politica tra partiti di massa, radicati nel territorio e capaci di rappresentare, più o meno bene, gli interessi delle diverse classi sociali. Il "demos" era quindi sì oggetto di pratiche politiche e sociali ma in una certa misura anche soggetto di queste pratiche, in relazione alle quali si poneva quindi il problema della distinzione tra democrazia formale e sostanziale, intesa quest'ultima come partecipazione del "demos" e in particolare dei suoi rappresentanti (sindacati, partiti, ecc.) anche e soprattutto alla gestione delle diverse attività economiche e sociali, di modo che fosse possibile costruire una società postcapitalistica.
Diverso il discorso per quanto concerne il socialismo reale e le democrazie popolari, nelle quali vi era in pratica un unico partito che mediante il controllo di tutti gli apparati dello Stato gestiva l'intera vita politica, sociale ed economica di un Paese, in quanto si riteneva che il partito rappresentasse gli interessi dell'intero "demos". In altri termini, l'abolizione della classe capitalistica doveva garantire che non vi fosse più una lotta di classe che impedisse di definire in modo "razionale" (ovvero sulla base della dottrina marxista-leninista) l'interesse dell'intera collettività. In questo senso, si pensava che non vi fosse più una sostanziale differenza tra il partito e il "demos" dato che il partito non era altro, per così dire, che la "ragione del demos" al potere.
Ma anche nei regimi fascisti il "demos" non era escluso a priori dalla vita politica, benché non si trattasse di partecipazione delle masse alla vita politica bensì di mobilitazione delle masse in vista di una politica di potenza perseguita da un gruppo dirigente che si arrogava il diritto di rappresentare l'interesse nazionale e quindi di essere l'unico soggetto politico che potesse rappresentare il "demos". Il "demos" cioè era solo oggetto di pratiche politiche e sociali decise da "pochi".
Il consenso del “demos” a queste pratiche era pertanto necessario benché fosse pure meramente "passivo". La mobilitazione delle masse era cioè necessaria per una politica di potenza che, tuttavia, esigeva che la lotta di classe scomparisse per lasciare il posto ad una collaborazione con la classe capitalistica. Vale a dire che l'alleanza tra fascismo e classe capitalistica nazionale prevedeva che il "demos" fosse solo un utile e "docile" strumento della politica di potenza perseguita dal regime.
Scomparsi dopo la Seconda guerra mondiale i regimi fascisti e alla fine dello scorso secolo il socialismo reale nonché le varie forme di democrazia popolare dei Paesi dell'Europa Orientale, pareva che "in campo" fosse rimasta solo la democrazia liberale, ad eccezione di alcune forme di dittatura militare e di alcuni regimi comunisti, considerati comunque realtà marginali o "residui" di un passato che non poteva ormai rappresentare alcunché di "valido" né sotto il profilo politico né sotto il profilo socio-economico.
La storia però non era finita e nel giro di pochi decenni la questione della democrazia si è riproposta, sia pure in forme assai diverse da quelle che hanno contraddistinto la lotta politica e sociale nel secolo scorso.
La democrazia liberale, con la scomparsa dei partiti di massa radicati nel territorio e il "trionfo" delle politiche neoliberiste od ordoliberiste, di fatto ha lasciato il posto ad un sistema politico oligarchico neoliberale, in cui il "demos" è diventato di nuovo solo oggetto di pratiche politiche e sociali decise da "pochi" ossia dalla classe capitalistica che può contare sulla manipolazione delle coscienze - cioè del "demos" - da parte del Circo Mediatico.
Il pluralismo politico si è "ridotto" quindi ad una competizione elettorale tra gruppi di interesse e comitati di affari, ovverosia, oltre alla libertà di parola consentita in quella sorta di Bar Internazionale dello Sport che è (perlomeno in buona misura) Internet, è solo quello politicamente corretto (in pratica il pluralismo politico si è pressoché "ridotto" alle zuffe tra guitti di vario genere - "complottisti" inclusi" - che si esibiscono nel Circo Mediatico mentre ciascun gruppo di interesse cerca di imporre la propria volontà e i propri "valori" agli altri spacciandoli per diritti universali). Le eccezioni vi sono ma confermano la regola.
Tuttavia, pure il socialismo, che era "dato per morto", è resuscitato a nuova vita. A parte il cosiddetto "socialismo dell'America Latina", che alla prova dei fatti si è dimostrato assai più debole e "confuso" di quanto molti orfani del socialismo del XX secolo immaginassero (benché non si possa considerare un fallimento e la sua storia non sia ancora terminata), la vera novità è il socialismo di mercato con caratteristiche cinesi.
Anche in questo caso il partito si configura come la "ragione del demos" al potere e quindi continua a detenere il controllo degli apparati dello Stato, ma il pluralismo economico garantisce non solo una efficienza in grado di competere con successo con il sistema neoliberale ma una articolazione sociale assai più complessa e differenziata di quella del socialismo reale e delle varie democrazie popolari. Peraltro, la mancanza di pluralismo politico, ossia di concorrenza tra diversi partiti , non esclude la presenza di un notevole e anche assai aspro dibattito politico all'interno del partito stesso nonché la presenza di diversi gruppi di interesse in lotta tra di loro.
Nel complesso, anche se la questione del rapporto tra individuo e comunità viene "declinato" secondo forme culturali diverse da quelle che contraddistinguono la cultura europeo-occidentale, il controllo sociale esercitato del partito mediante gli apparati di coercizione e di persuasione dello Stato, permette non solo di tutelare e rafforzare una preziosa coesione sociale, come ha dimostrato pure la gestione della emergenza sanitaria causata dal virus Sars-CoV-2, ma consente pure la presenza di una iniziativa privata significativa anche sotto il profilo sociale politico-culturale, benché sempre in funzione del bene comune ovvero dell'interesse del "demos".
In questo contesto, la questione dei diritti civili per quanto concerne la Cina si può porre in (almeno) due modi diversi, ovverosia si può porre tenendo presente la differenza tra la cultura europeo-occidentale rispetto a quella cinese oppure in modo strumentale ovvero meramente ideologico (nel senso negativo del termine), dato che nei confronti del socialismo di mercato con caratteristiche cinesi non valgono più i luoghi comuni sulla inefficienza del socialismo né si può accusare l'attuale "sistema" socialista di mercato cinese di "affamare il proprio popolo".
Inutile comunque dire quale sia il modo di porre la questione dei diritti civili e del pluralismo per quanto riguarda il socialismo di mercato con caratteristiche cinesi - e perfino per quanto concerne un possibile socialismo di mercato con caratteristiche europee – che attualmente prevale in Occidente.
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