giovedì 1 ottobre 2020

BREVE NOTA SUL SOCIALISMO DI MERCATO

 È indubbio che la "formula politica" socialismo di mercato non piaccia non solo ai neoliberali ma pure a coloro che non riescono a liberarsi dai dogmi della ideologia marxista-leninista, per i quali ovviamente l'unico modo possibile per "superare" il capitalismo consisterebbe in un processo politico economico che mirasse alla estinzione della funzione politica dello Stato, all'abolizione del lavoro salariato e all'autogoverno dei produttori. In altri termini, costoro ragionano come se ancora ci fossero le carrozze e gli opifici, e la storia in pratica fosse come un treno che si muove necessariamente lungo un percorso immodificabile, nonostante i numerosi e perfino tragici fallimenti di un socialismo concepito in questa maniera nel secolo scorso.

Nondimeno, socialismo di mercato non è semplicemente sinonimo di economia mista, come alcuni ritengono. Non a caso il socialismo di mercato cinese viene più correttamente definito economia di mercato ad orientamento socialista con caratteristiche cinesi. In questa definizione rileva sia la questione dell’orientamento socialista dell’economia di mercato che quella delle caratteristiche cinesi. 

In sostanza, sotto il profilo economico è fondamentale la concezione secondo cui la ricchezza è un prodotto sociale e che quindi appartenga alla collettività. Vale a dire che all’autorità centrale spetta il compito della direzione strategica dell’economia e quindi il compito dei dirigenti politici consiste anche nel “restituire” il sovrappiù (in quanto prodotto sociale) alla collettività, sotto forma di opere pubbliche, servizi sociali, sanità, istruzione, sicurezza ecc. In questo contesto, pertanto l’arricchimento dei singoli individui e l’iniziativa privata sono permessi purché siano socialmente utili e non siano in contrasto con le scelte strategiche, politiche ed economiche, dell’autorità centrale.

Tuttavia, essenziale è anche e soprattutto comprendere che si tratta di un socialismo di mercato con caratteristiche cinesi ovverosia che si devono perseguire fini che non siano in contraddizione con la cultura cinese, considerata determinante anche per quanto concerne l’organizzazione politica e sociale (si pensi ad esempio al ruolo dell’etica confuciana, essenziale anche per quanto concerne il delicato problema del rapporto tra individuo e comunità). Valori e principi identitari, usi, costumi e “differenze” tipiche di una certa civiltà e cultura vengono quindi considerati fattori decisivi sotto l’aspetto della coesione sociale e antropologico, e tanto più rilevanti in quanto necessari per evitare che lo stile di vita promosso da una economia di mercato favorisca la dissoluzione del legame sociale, senza il quale non avrebbe nemmeno senso parlare di socialismo. 

Sotto questo aspetto, è netta la differenza rispetto al modo in cui generalmente si definiva il socialismo nello scorso secolo (ma non si deve dimenticare che la questione del patriottismo svolse un ruolo non marginale anche nella storia del “socialismo reale”), benché si tratti pur sempre del modo in cui si deve concepire il socialismo in questa fase storica, né venga abbandonata l’idea che l’internazionalismo è comunque necessario onde evitare una “deriva nazionalistica” e che di conseguenza non si debba rinunciare ad una cooperazione a livello internazionale, basata su principi del tutto diversi da quelli che contraddistinguono il capitalismo predatore occidentale. (Esemplare al riguardo è la politica economica cinese in Africa, che, come riconoscono anche alcuni ricercatori della Johns Hopkins University, ha comunque favorito la crescita e lo sviluppo di diversi Paesi africani, a differenza di quanto sostiene la “narrazione” neoliberale della “penetrazione cinese” in Africa).

In ogni caso, è errata e “fuorviante” la definizione del socialismo di mercato come una forma di nazional-capitalismo, sebbene questa definizione serva per nascondere o sminuire i successi del “modello socialista cinese”, giacché è innegabile che il socialismo di mercato cinese (e analogo discorso si dovrebbe fare per quello vietnamita) si stia dimostrando efficiente sotto il profilo economico e sociale (come dimostra pure la gestione dell’emergenza sanitaria ed economica causata dal virus Sars-CoV-2), anche più del sistema capitalistico neoliberale. 

Ovviamente molte critiche concernono la questione dei diritti individuali. Si trascura però che il rapporto tra individuo e comunità è appunto concepito sulla base della particolare culturale cinese, ossia che il socialismo di mercato cinese non è un “prodotto di esportazione” proprio in quanto di fondamentale importanza sono le caratteristiche cinesi di tale socialismo (il che peraltro esclude la possibilità che il socialismo di mercato cinese si configuri come una nuova forma di “imperialismo culturale”). In questo senso il socialismo di mercato è una “formula politica” aperta a diverse interpretazioni politico-culturali e sociali, e quindi compatibile anche con una interpretazione politico-culturale e sociale che tenga conto del modo di concepire il rapporto tra individuo e comunità secondo le caratteristiche della cultura e della civiltà europea, e perfino della storia e della cultura che caratterizzano ciascun Paese europeo, dato che notoriamente ogni Paese europeo si differenzia anche dagli altri Paesi europei.

Indipendentemente dunque da quale potrà essere il “futuro” del socialismo di mercato cinese o di quello vietnamita, non è azzardato affermare che il socialismo di mercato rappresenta una alternativa “realistica” (e con ogni probabilità l’unica alternativa “realistica”) all’attuale sistema capitalistico neoliberale, sia sotto il profilo economico che sotto il profilo politico-culturale e sociale, in quanto in grado di rimediare anche alle molteplici e sempre più gravi patologie che contraddistinguono l’attuale civiltà occidentale neoliberale.



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