mercoledì 9 novembre 2022

NON È TUTTO ORO QUEL CHE LUCCICA

 La premessa di qualsiasi analisi geopolitica o di qualsiasi strategia (geo)politica per quanto concerne la questione ucraina dovrebbe essere che la Russia (si badi, la Russia, non solo Putin) non può permettersi di subire una sconfitta disastrosa, senza che collassi l'intero sistema politico e sociale della Federazione Russa, ovverosia uno Stato di oltre 17 milioni di chilometri quadrati, con più di 140 milioni di abitanti e che dispone di migliaia di testate nucleari.

Posta in questi termini la questione ucraina, si eviterebbe perlomeno di confondere le ciance pro o contro la Russia con un'analisi geopolitica obiettiva. Peraltro, perfino la stessa etica della responsabilità presuppone il realismo (geo)politico, non le ciance ideologiche di coloro che, incapaci di trasformare mediante l'azione politica il proprio pensiero in essere, scambiano i propri "sogni" o i propri "deliri" per la realtà, rischiando così di ottenere l'opposto di quel che si propongono di ottenere. 

Nondimeno, “interpretare” questo conflitto (che è una guerra civile e un conflitto regionale ma con implicazioni mondiali che rischiano di travolgere un'Europa che pare avere smarrito l’uso della ragione allorché si tratta di risolvere delle questioni geopolitiche) come uno scontro tra "democrazia" e autocrazia, è pur sempre necessario per i gruppi dominanti occidentali al fine di "mascherare" la strumentalizzazione (geo)politica della questione ucraina da parte dell'America, il cui scopo principale certo non è la difesa della sovranità dell'Ucraina. 

Ragion per cui è lecito invece parlare di una guerra per procura che l'America sta conducendo non solo contro la Russia (cui cerca di infliggere il maggior danno possibile) ma pure contro la Germania e in generale nei confronti dei Paesi europei che avevano buoni rapporti con la Russia. In sostanza, rifornire la Russia di manufatti tedeschi in cambio di materie prime era una delle "chiavi strategiche" dell'economia tedesca e dello sviluppo sociale ed economico della Russia. Ed era soprattutto uno scambio che apriva nuove corsie geopolitiche alla stessa Ue, rendendo di conseguenza possibile una progressiva riduzione della dipendenza geopolitica della Ue dall'America. 

Nulla di meglio per l'America, pertanto, dell'improvvida decisione del Cremlino di invadere l'Ucraina (convinto di potere agire come l'America sulla scacchiera geopolitica), che invece ha offerto agli americani la possibilità di ridefinire i rapporti con l'Ue a proprio vantaggio. Certo, più si prolungherà questa guerra e maggiori saranno i danni che subirà l’Ucraina, dato che il regime di Kiev senza gli aiuti militari ed economici occidentali crollerebbe nel giro di qualche settimana. Ma i notevoli successi tattici dell’esercito di Kiev e l'impreparazione bellica della Russia hanno aumentato gli “appetiti” della Nato e del regime etno-nazionalista ucraino, nonostante che la Russia possa continuare ad infliggere ferite orrende ad un Paese che in buon parte è già ridotto ad un cumulo di macerie.

In pratica, il piano strategico di Mosca, che consisteva nell'instaurare un governo filorusso a Kiev, è fallito e adesso la Russia deve combattere non solo contro l'Ucraina ma anche, benché indirettamente, contro la Nato, che dopo il caotico ritiro americano da Kabul sembrava davvero in uno "stato di morte cerebrale" e invece d'ora in poi con ogni probabilità potrà contare anche su due Paesi “storicamente” neutrali come la Svezia e la Finlandia.

L'America, quindi, non solo ha potuto consolidare la propria egemonia sull'Europa e in particolare sull’Europa occidentale, ma, in quanto potenza politicamente e militarmente egemone, è riuscita pure a fare affluire numerosi capitali negli Stati Uniti e ad aumentare, a scapito della stessa Europa, la competitività del proprio sistema industriale (un vantaggio di non poca importanza per un Paese caratterizzato da decenni da un enorme deficit commerciale). 

Eppure, vi è da considerare anche il "rovescio della medaglia", sebbene venga pressoché del tutto ignorato dai media mainstream occidentali. 

L’America e suoi vassalli occidentali, infatti, non sono riusciti ad isolare la Russia, a cui non hanno voltato le spalle - né possono voltare le spalle - decine di Paesi che sulla scacchiera geoeconomica e geopolitica conteranno sempre più con il passare del tempo. 

Sono Paesi che non tollerano che l’America sia al tempo stesso un giocatore e l’arbitro della politica internazionale, che detti le regole del gioco e le violi o le riscriva ogni volta che le conviene, che si ingerisca negli affari interni di ogni Paese avvalendosi di tutti mezzi offerti dalla “guerra ibrida” contro quei governi che non siano disposti a seguire le direttive strategiche di Washington.

Il multipolarismo, quindi, scuote dalle fondamenta il sistema del capitalismo predatore occidentale a guida americana, proprio quando nel “cuore” stesso dell’impero americano cresce la distanza tra le élite dominanti e il popolo (ossia la maggior parte della popolazione, che è pure quella economicamente più svantaggiata) e aumentano i fenomeni di disgregazione sociale, al punto che per molti cittadini americani il loro principale “nemico politico” si trova a Washington. 

Si è in presenza, dunque, di un processo storico i cui sviluppi sono sì difficili da prevedere ma che non può essere certo fermato dalla narrazione occidentale del conflitto russo-ucraino né dalle sanzioni imposte alla Russia né dai successi tattico-operativi dell’esercito ucraino, nonostante che in Occidente si sia venduta la pelle dell’orso prima di averlo ucciso. 

Del resto, non sarà nemmeno la questione dei cosiddetti “valori occidentali” e della stessa “democrazia liberale” - che ormai non si distinguono dai “valori” della middle class occidentale (sedicente) cosmopolita e da una oligarchia neoliberale sempre più simile ad una sorta di “plutocrazia tecnocratica” – che potrà cambiare il corso della storia. In altri termini, è finito il tempo in cui si poteva sostenere che la comunità internazionale coincideva con il cosiddetto “mondo occidentale”.

venerdì 28 ottobre 2022

MULTIPOLARISMO E STRATEGIA POLITICA

 Putin ha certo ragione ad accusare l’America e in generale l’Occidente di avere creato le condizioni geopolitiche per lo scoppio di questa guerra, di “ignorare le ragioni” storiche e geopolitiche del multipolarismo e di avallare una ripugnante russofobia. Né ha senso definire “democratico” un regime etno-nazionalista in cui non vi è alcuno “spazio” politico, sociale e culturale per la minoranza (filo)russa. 

Tuttavia, la Russia non correva il pericolo di essere attaccata dalla Nato e il veto certo della Germania e della Francia impedivano l’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Del resto, alla guerra ibrida si deve sapere rispondere con una guerra ibrida non con un “attacco frontale” contro l’Occidente. La trappola strategica tesa dagli angloamericani alla Russia (se di trappola strategica si può parlare) era appunto quella di istigare la Russia a scatenare un attacco contro l'Ucraina.

Vero comunque che lo scopo della Russia non era quello di occupare militarmente l’Ucraina, ma con ogni probabilità quello di instaurare un governo filorusso a Kiev, con l’aiuto di una quinta colonna filorussa. Ma se questo era il disegno strategico di Mosca, allora è miseramente fallito dato che la situazione strategica in Ucraina è cambiata con l’intervento della Nato a sostegno del regime di Kiev (e si tratta di un intervento che ha messo pure a nudo i gravi difetti della macchina bellica russa, nonché dello stesso regime di Putin). Se il disegno strategico di Mosca non fosse fallito, la Nato non avrebbe nemmeno avuto la possibilità di intervenire a sostegno del regime di Kiev. Ci sarebbero state sanzioni e combattimenti, ma Mosca avrebbe avuto le chiavi strategiche dell’Ucraina (tranne quelle dell’Ucraina occidentale, se il governo ucraino si fosse trasferito a Leopoli).

La Russia invece nei primi mesi di guerra non è nemmeno riuscita a prendere il controllo di tutto il Donbass, ma ha solo conquistato buona parte dell’oblast’ di Cherson e la fascia costiera occidentale del Mar d’Azov, anche se a Kiev e a Kharkov (o Charkiv) buona parte delle sue truppe d’élite (paracadutisti, forze speciali, fucilieri e truppe corazzate della guardia) è stata decimata. Poi si è impegnata in duri combattimenti contro l’esercito ucraino conquistando Mariupol e Severodonetsk, ma in seguito ha pure subito la controffensiva ucraina. E adesso è costretta sulla difensiva e deve cercare di indebolire la resistenza e la logistica dell’esercito di Kiev colpendo le infrastrutture energetiche dell’Ucraina, benché non abbia ancora conquistato il dominio dell’aria dopo otto mesi di guerra.

In pratica, nonostante i danni e le sofferenze che l’esercito russo ha inflitto e può ancora infliggere all’Ucraina (tanto più che adesso Mosca può contare anche sui riservisti, che non saranno motivati né bene addestrati né bene equipaggiati ma che comunque possono fare sentire il loro “peso” sul campo di battaglia), Putin (almeno per ora) ha ottenuto l’opposto di quel che si proponeva. Non solo la Nato (che dopo il disastroso ritiro americano da Kabul nell’estate del 2021 pareva davvero essere “in stato di morte cerebrale” come aveva sostenuto Macron nel 2019) adesso è di gran lunga più forte e pericolosa per la Russia di quanto lo potesse essere un anno fa, ma la Russia ha compromesso gravemente i vitali rapporti con l’Europa occidentale, subendo delle sanzioni che hanno un costo salatissimo per un Paese con un’industria manifatturiera nemmeno paragonabile a quella Germania o dell’India (per non parlare della Cina), e dipendente in gran parte dalle importazioni di tecnologia occidentale.

Certo la Russia non è affatto “isolata”, con buona pace degli (euro)atlantisti, ma l’appoggio alla Russia, peraltro limitato, di molti importanti Paesi non occidentali dipende soprattutto dal fatto che questi Paesi non tollerano più che l’America sia al tempo stesso un giocatore e l’arbitro della politica internazionale. Nondimeno, questi Paesi non costituiscono un “blocco di potenza” come quello della Nato a guida americana né hanno intenzione di lanciare un “attacco frontale” contro l’Occidente e in particolare contro l’America, anche perché sanno che il tempo gioca comunque a loro favore e che il ruolo della Russia nel mondo dipende dal multipolarismo non viceversa. Comprendono, pertanto, le ragioni geopolitiche della Russia e non volteranno le spalle a Mosca, ma non sono neppure disposti a sacrificare i propri interessi per favorire i disegni anti-egemonici di una Russia che sembra agire come se fosse ancora l’Unione Sovietica.

In altri termini, la Russia aggredendo l’Ucraina in un certo senso ha voluto “imitare” la politica di prepotenza dell’America (in questo caso il grave eccesso di legittima difesa non si distingue da una guerra di aggressione, con tutto quel che ne è conseguito per i civili), ma agendo così ha commesso dei gravi errori di “calcolo strategico” perché non ha la potenza militare dell’America, perché perfino l’America dopo la Seconda guerra mondiale non è riuscita ad imporre la propria volontà in situazioni analoghe e perché ha sottovalutato le conseguenze che ne sarebbero potute derivare, oltre alla resistenza del regime di Kiev e di gran parte della popolazione ucraina (la cui ostilità nei confronti dei russi non è certo diminuita in questi mesi, nonostante le terribili ferite inflittele dall'esercito russo).

Va da sé quindi che non c'è differenza più significativa sotto il profilo (geo)politico della differenza tra il fine che ci si propone di conseguire e la strategia mediante la quale ci si propone di conseguire un determinato fine. Il fatto che quest'ultimo sia desiderabile, condivisibile o "giusto", non implica affatto che non conti l'agire strategico, che concerne la questione (essenziale) del rapporto tra mezzi e fine (non a caso un generale "amico" incapace può fare danni maggiori di un generale "nemico" capace). Un conto dunque è comprendere o condividere le ragioni di un attore geopolitico, un altro giudicare il modo in cui un attore geopolitico cerca di "farle valere".

Ovviamente il prossimo inverno sarà “lungo” non solo per la Russia ma pure per l’Ucraina e l’Europa, e nessuno quindi sa come potrà finire questa guerra (che peraltro si combatte in Ucraina non in terra di Russia), nonostante che in Occidente si cerchi di vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso, ma è indubbio che la “mossa” o, meglio, la “contromossa” di Putin non debba essere confusa con la questione del multipolarismo. 

Casomai sono l’America e la Nato che si illudono di potere togliere al multipolarismo il suo “pungiglione geopolitico”, cercando di mettere la Russia con le spalle al muro e ostinandosi a considerare chiunque non condivida i cosiddetti “valori dell’Occidente” un nemico dell’umanità, come se l’umanità fosse solo quella dell’English-speaking world. E questa politica dell'Occidente forse è la migliore “carta geopolitica” che la Russia può ancora giocare.


mercoledì 26 ottobre 2022

EURO-ATLANTISMO E DECLINO DELL’EUROPA

 “L'industria europea nelle mani di Biden: così il potere si sposta verso l’America” è il titolo di un interessante articolo di Federico Fubini pubblicato sul “Corriere della sera” il 24 ottobre scorso.

Secondo Fubini, la guerra in Ucraina ha accentuato la dipendenza del continente europeo dall’America, al punto che “potrebbe non essere più l’Estremo Oriente a erodere la base industriale dell’Italia e dell’Europa. Quel ruolo potrebbe passare all’Estremo Occidente: l’America”. Il governo americano, nota Fubini, ha già stanziato 50 miliardi dollari per sussidi diretti alle imprese americane, al fine di sviluppare la produzione di semiconduttori e rendere l’America il più possibile indipendentemente da Taiwan in un settore industriale di così grande importanza strategica. 

Ma in programma vi sono aiuti ad altri settori industriali strategici, e anche le decine di miliardi dollari spesi dagli Usa per aiutare l’Ucraina contribuiscono a rafforzare il complesso militare-industriale americano, che, del resto, trarrà pure profitto dal forte aumento delle spese militare dai Paesi della Nato. Insomma, come sempre (anche se questo Fubini non lo afferma esplicitamente) è lo Stato (con buona pace dei neoliberisti come la Meloni) che anche in America svolge un ruolo strategico creando le condizioni che le imprese americane possono sfruttare per svilupparsi ed essere più competitive a livello mondiale. 

Peraltro, ricorda Fubini, anche l’acquisto del gas americano - ottenuto con la tecnica del fracking che in Europa non si vuole impiegare per i danni che causa all’ambiente -avvantaggia nettamente l’industria americana rispetto a quella europea, dato che agli americani il gas adesso costa sei volte meno che agli europei (ad agosto agli europei costava otto volte di più). 

Nondimeno, questa dipendenza sempre più marcata dell’Europa dall’America sarebbe inevitabile, dato che l’Europa non potrebbe fare a meno dell’America per difendersi dalla Russia. Secondo Fubini, difatti, “senza la difesa statunitense oggi l’armata russa forse minaccerebbe già Varsavia o almeno Vilnius, Riga e Tallinn. È Biden che sta garantendo l’integrità geopolitica dell’Europa, dunque non possiamo protestare.” 

Tuttavia, è facile osservare che questa è una conclusione del tutto “arbitraria” considerando le stesse premesse del discorso di Fubini, dato che se gli interessi dell’America e quelli dell’Europa sono non solo diversi ma addirittura opposti, è ovvio che l’Europa dovrebbe potenziare la propria difesa per “smarcarsi” dagli Stati Uniti. Un compito che sarebbe tutt’altro che impossibile (anche senza prendere in considerazione l’ombrello nucleare della Francia, che comunque può essere rafforzato, se necessario), anche tenendo conto solo delle risorse e dei mezzi dei quattro principali Paesi del continente europeo (ossia Francia, Germania, Italia e Spagna), tanto più che, come ha dimostrato la guerra che si combatte in Ucraina, la potenza militare convenzionale della Russia è di gran lunga inferiore a quanto si potesse immaginare alcuni mesi fa, basandosi sulla propaganda della Nato.

D'altronde, se le materie strategiche della Russia (non solo gas e petrolio) sono essenziali per l’industria manifatturiera europea, pure quest’ultima è essenziale per la Russia, che non avrebbe quindi alcun interesse ad “uccidere la gallina dalle uova d’oro”. Ma è Fubini stesso che riconosce, benché implicitamente, che la guerra che si sta combattendo in Ucraina ha offerto la possibilità all’America di “tagliare i ponti” tra l’Ue (e in specie la Germania) e la Russia, al fine di rafforzare la propria egemonia politica ed economica sul Vecchio Continente (e non è un mistero che l'America punta anche a "tagliare i ponti" tra l'Ue e la Cina , che è il "nemico" più pericoloso per gli Usa).

Il problema non è allora che l’Europa non si può permettere di “smarcarsi” dall’America al fine di tutelare i propri interessi, ma che le élites dominanti europee, per difendere i loro interessi e i loro privilegi, non vogliono “smarcarsi” dall’America (peraltro, si dovrebbe pure considerare la differenza tra gli interessi dell'Europa occidentale e quelli dell'Europa orientale, in particolare quelli della Polonia e dei Paesi baltici). In definitiva, anche per quanto concerne i rapporti tra l’Europa e l’America si conferma che un “vincolo esterno” presuppone necessariamente un “vincolo interno”.

domenica 23 ottobre 2022

REALISMO GEOPOLITICO

In politica è decisivo non solo il fine che ci si propone, ma pure "se, come e quando" lo si possa conseguire.

In sostanza, a nessuna forza politica si può chiedere di ottenere ciò che in una determinata fase storica è praticamente impossibile ottenere.

 In altri termini, pure sulla questione ucraina occorre essere realisti, distinguendo ciò che si ritiene che sarebbe giusto fare da ciò che è possibile e necessario fare considerando il contesto storico e geopolitico in cui si deve agire.

Che cosa allora dovrebbe fare una forza politica italiana per tutelare il nostro interesse nazionale ed evitare che si arrivi ad uno scontro diretto tra la Nato e la Russia?

Che l'Italia rinunci adesso all'invio di armi al regime di Kiev non pare probabile (anche se non è assurdo chiederlo), ma possibile e necessario sarebbe chiedere di porre perlomeno un "limite", vale a dire che gli aiuti militari a Kiev cesseranno nel caso che l'esercito ucraino non si limitasse a cercare di riconquistare i territori conquistati dai russi dopo il 23 febbraio scorso.  

L'Italia, del resto, non è né la Turchia né Israele. Non può quindi che agire nel quadro dell'Ue, con particolare attenzione alla politica della Francia e della Germania. Chi davvero conta comunque è, volenti o nolenti, l'America. 

Pertanto, finché Washington non cambierà politica sulla questione ucraina, probabilmente l'unica cosa che si può e si deve fare è adoperarsi affinché la difesa dell'Ucraina sia definita in modo tale da non compromettere la possibilità di una soluzione negoziale (peraltro si può trattare anche quando si combatte) che riconosca pure i diritti della popolazione del Donbass e le ragioni di entrambi i belligeranti.  

Questo non significa né chiedere a Kiev di arrendersi (ossia che sia Mosca a dettare le condizioni della pace), né che sia Kiev a dettare le condizioni della pace (e che quindi Kiev possa puntare alla riconquista militare di tutto il Donbass e pure della Crimea), né che si faccia dipendere la pace dal crollo del regime di Putin o perfino dalla disgregazione della Russia. 

Può darsi che per molti non sia la soluzione migliore, ma nelle condizioni in cui siamo ottenere questo sarebbe già un risultato eccezionale, al punto che è lecito dubitare che lo si possa davvero ottenere.

domenica 16 ottobre 2022

NEOLIBERALISMO E GEOPOLITICA

Allorché si discute di neoliberalismo è necessario intendersi non solo sulla differenza tra neoliberalismo e liberalismo ma anche e soprattutto sulla differenza tra ciò che si può definire come liberalismo antico ( in particolare dei Greci) e liberalismo moderno. 

Scopo principale del liberalismo antico, infatti, era quello di cercare di risolvere la questione politica per eccellenza, vale a dire come conciliare un ordine politico che non sia oppressione con una concezione della libertà che non sia né arbitrio né licenza (il fatto che storicamente questa conciliazione non ci sia mai stata o ci sia stata solo in forme più o meno imperfette conta poco sotto il profilo metapolitico).

In particolare, per il liberalismo antico decisiva era l'antropologia politica giacché l'(auto)formazione spirituale dei membri della polis era considerata la condizione necessaria perché vi fosse una polis "rettamente ordinata" sotto il profilo politico.

Scrive Leo Strauss: "L’educazione liberale è l’antidoto contro la cultura di massa, i suoi effetti corrosivi e la sua tendenza intrinseca a non produrre altro che 'specialisti senza spirito di discernimento ed epicurei senza cuore'. L’educazione liberale è la scala con cui cerchiamo di salire dalla democrazia di massa alla concezione della democrazia nel suo senso originario. L’educazione liberale è lo sforzo necessario per fondare un’aristocrazia nell’ambito della società democratica di massa. L’educazione liberale ricorda la grandezza umana ai membri della democrazia di massa che hanno orecchie per intendere."

(Strauss sapeva bene, del resto, che lo Stato omogeneo e universale, che è lo scopo politico "ultimo" del neoliberalismo, sarebbe stato il trionfo del conformismo e la fine della "filosofia” - intesa come espressione della intelligenza critica non sottomessa al potere - ovverosia la dittatura "perfetta". Criticando l’ordine politico delineato da Kojève, scrive infatti Strauss: "Kojève [...] conferma la concezione classica secondo cui il progresso tecnologico illimitato […], inteso come condizione indispensabile per la creazione dello Stato universale e omogeneo, è distruttivo dell’umanità dell’uomo").

In questo senso, non solo il liberalismo dei moderni è nettamente diverso da quello antico, come sostiene Strauss, ma il neoliberalismo è l'esatto contrario del liberalismo antico.

Tuttavia, non vi è errore peggiore che credere che per combattere il neoliberalismo sia necessario un ordine politico "illiberale", non solo perché un ordine politico fondato sull'oppressione (in cui cioè l'uso della forza - che pure talvolta è indubbiamente necessario – sia "metodo di regno") non si può certo considerare "migliore" di un regime neoliberale (anche questa è appunto una lezione del liberalismo antico), ma soprattutto perché sarebbe una strategia politica errata, considerando che il regime neoliberale - in quanto si configura come un sistema capitalistico fondato su una volontà di potenza e una bramosia di possesso "illimitate" - ben difficilmente può non rivolgere la propria "punta distruttiva" contro sé medesimo.

Pertanto, il pericolo che si deve evitare è che il crollo o la "progressiva degenerazione" del regime neoliberale equivalga ad una "catastrofe globale". E questo rileva in specie sotto il profilo geopolitico, perlomeno nella misura in cui il multipolarismo (che, si badi, è un processo storico non una ideologia) può davvero essere un "freno" alla pre-potenza dell'Occidente neoliberale. 

                                                                                                       *

Al riguardo, ci si dovrebbe chiedere se e quanto siano significative sotto il profilo geopolitico le caratteristiche di una determinata formazione politica e sociale, dato che gli Stati non sono come delle astronavi che si muovono nel vuoto cosmico, ma “creature” storiche che agiscono nella storia, come prova il fatto stesso che il conflitto sociale e politico, benché anch’esso possa essere un conflitto tra élites, non “si riduce” solo al conflitto tra élites dominanti.

In definitiva, se l’analisi geopolitica, come insegna la teoria delle relazioni internazionali, deve necessariamente tener conto delle “costanti” che contraddistinguono il conflitto tra diverse “potenze” (e in specie tra “grandi potenze”), non può nemmeno prescindere da un’analisi delle caratteristiche politiche e sociali delle singole “potenze” in lotta tra di loro, come ha dimostrato la stessa storia del secolo scorso.

domenica 18 settembre 2022

GUERRA E PACE

 All’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, dopo numerosi scontri tra armeni e azeri, ci fu la Prima Guerra del Nagorno Karabakh, in cui gli armeni, pur essendo in inferiorità numerica, riuscirono a sconfiggere gli azeri. Nel 2020 scoppiò però una nuova guerra tra armeni e azeri (nota come Seconda Guerra del Nagorno Karabakh), in cui furono gli azeri ad infliggere una netta sconfitta agli armeni. Infatti, l’esercito azero, impiegando soprattutto droni (di fabbricazione turca) e) munizioni circuitanti (di fabbricazione israeliana), fece a pezzi le unità meccanizzate e corazzate armene. 

Gli angloamericani definirono questa guerra come “la guerra del futuro” e non solo la studiarono in ogni minimo dettaglio ma decisero che si doveva puntare su droni, munizioni circuitanti, missili anticarro e antiaerei (in specie manpads) nonché su un moderno ed efficiente sistema C3I (comando, controllo, comunicazioni e intelligence) per trasformare l’esercito ucraino in una macchina bellica potente, tale da infliggere perdite elevatissime alle colonne corazzate e meccanizzate russe nel caso fosse scoppiato un conflitto tra Russia e Ucraina. 

Viceversa, nonostante che secondo le analisi angloamericane del conflitto del Donbass nel 2014-2015 i Btg (Battalion tactical groups) russi, intervenuti in Ucraina (benché non “ufficialmente”) per appoggiare le milizie del Donbass contro l’esercito e le milizie di Kiev, avessero già dimostrato di avere diversi “punti deboli” (tra cui un numero insufficiente di fucilieri ben addestrati), l’esercito russo pare avere ignorato pressoché del tutto le lezioni della Seconda Guerra del Nagorno Karabakh, forse anche perché Mosca era ancora impegnata a potenziare soprattutto il proprio apparato bellico strategico (ovverosia nucleare), al fine di non perdere la parità strategica con l’America*.

Comunque sia, i principali problemi militari dell’Ucraina ancora da risolvere nel febbraio scorso erano la mancanza di un’artiglieria capace di “tener testa” a quella russa (notoriamente assai potente) e la mancanza di una difesa aerea in grado di intercettare e abbattere la maggior parte dei missili (non nucleari, si intende) che i russi potevano lanciare da aerei, da navi o da sistemi terrestri.

Quest’ultimo problema non è ancora stato risolto dagli ucraini, ma i pezzi di artiglieria a lunga gittata forniti dalla Nato a Kiev consentono ormai all’esercito ucraino di sostenere anche il “duello” con l'artiglieria russa e di colpire “in profondità” la stessa struttura logistica dell’esercito russo. Inoltre, il Comando ucraino non solo è in grado di “intossicare” le comunicazioni dell’esercito russo, ma, anche grazie al sostegno della Nato e specialmente dell’intelligence angloamericana (rete satellitare compresa), ha un quadro esatto della disposizione e dei movimenti delle unità russe, mentre l’esercito russo se non è “cieco” poco ci manca, anche per il “non brillante” livello operativo dell’aviazione russa (che pure con circa 1.500 aerei da combattimento dovrebbe “oscurare” il cielo ucraino e sviluppare una potenza di fuoco tale da permettere all’esercito russo di annullare lo svantaggio di combattere in condizioni di inferiorità numerica, dato che il regime di Kiev, a differenza del Cremlino, ha subito decretato la mobilitazione totale). 

Significativo è pure che, secondo alcuni milbloggers russi assai bene informati, il sistema C3I ucraino è così efficiente che l’artiglieria ucraina può intervenire a sostegno dei soldati di Kiev praticamente appena questi ultimi lo richiedano, mentre possono passare anche molte ore prima che l’artiglieria russa intervenga a sostegno delle milizie del Donbass o dei fucilieri russi.

Invero, sotto molti aspetti (se non tutti), la guerra che si combatte in Ucraina vede un esercito ucraino moderno e indubbiamente motivato combattere contro un esercito (aviazione inclusa) che sotto il profilo tattico-operativo (anche se non necessariamente sotto quello strategico) è almeno un “passo indietro” rispetto all'esercito ucraino.

Peraltro, anche l'ormai cospicua documentazione video disponibile evidenzia abbastanza chiaramente questa differenza tra i due eserciti (che può essere negata solo per ragioni ideologiche - poco importa, dal punto di vista militare ovviamente, se siano giuste o no), benché non si debba esagerare, dato che pure i russi dispongono di diversi reparti militari capaci di svolgere compiti tattico-operativi complessi. 

D’altronde, si deve pure considerare che abbiamo poche informazioni attendibili anche sulle perdite dei due eserciti, in particolare su quelle subite dagli ucraini (le perdite russe secondo gli americani ammonterebbero a circa 80.000 soldati, contando non solo i morti ma anche i feriti, i prigionieri e i dispersi), che secondo fonti russe sarebbero addirittura circa il doppio di quelle russe, ma, sebbene sia ovvio che anche l'esercito ucraino abbia subito e continui a subire perdite elevate, non ci si può certo basare sulla propaganda russa o filorussa per stimare correttamente le perdite dell’esercito ucraino. 

In ogni caso la Russia ha mezzi e risorse non solo per continuare la guerra (come gli stessi americani riconoscono) ma probabilmente anche per colmare almeno alcune delle lacune tattico-operative che il conflitto russo-ucraino ha “impietosamente” evidenziato. Né si deve ignorare che in guerra contano anche e soprattutto i fattori strategici (compresi quelli di natura politica, sociale ed economica) e quindi si deve tenere conto che la Russia dispone di migliaia di testate nucleari (ma pure che la Russia sta combattendo, benché indirettamente, contro la Nato, che ha già dimostrato di essere nettamente più forte della Russia sotto il profilo tecnologico).


La domanda allora che ci si deve porre è se alla stessa Russia convenga cercare una soluzione militare della questione ucraina, a prescindere dal fatto che l’Ucraina e gli Usa condividono con la Russia la responsabilità (geo)politica, anche se non militare, di quanto accade in Ucraina.

Certo, sulla difficile e complessa questione ucraina mentono Kiev, Washington, Londra e in generale i governi dei Paesi occidentali, ma se si è intellettualmente onesti si deve riconoscere che mente pure Mosca, che fino al 23 febbraio scorso aveva negato di avere intenzione di invadere l'Ucraina (il che poteva corrispondere a verità nell'autunno scorso, quando cioè Mosca pareva puntare su una diplomazia coercitiva per risolvere la questione ucraina, ma ovviamente non più nei mesi di gennaio e febbraio di quest’anno) e nega tuttora di avere voluto rovesciare il governo di Kiev, nonostante che Putin stesso nel suo discorso del 25 febbraio scorso abbia esplicitamente chiesto ai vertici militari ucraini di sbarazzarsi della “cricca nazista” che governa l’Ucraina dal 2014.

Appare pertanto saggia la posizione della Cina e dell’India che, pur comprendendo le ragioni della Russia, ritengono che sia una “follia geopolitica” cercare una soluzione militare della questione ucraina, criticando così, non solo la Nato - il cui scopo “dichiarato” è infliggere una devastante sconfitta militare e politica alla Russia assai più che difendere le ragioni dell'Ucraina - ma, benché implicitamente e in modo meno “duro”, la stessa Russia ((ciò non significa che la Cina possa "mollare" la Russia, giacché la Cina è consapevole che dopo la Russia toccherebbe proprio alla Cina subire la prepotenza dell'America). Il processo storico che si designa con il termine multipolarismo è, infatti, solo all’inizio e quindi perché si consolidi occorre che passino ancora alcuni lustri. 

Come ha scritto Vincenzo Costa: “La guerra è il modo in cui il capitalismo […] angloamericano cerca di rallentare il proprio declino e di arrestare le proprie contraddizioni interne [...] La Cina sa che il peggior dispetto che può fare a questo Occidente angloamericano è di non reagire, sa che l'arma contro questo mondo morente è la pace.”

Mosca invece non si è limitata a garantire “pubblicamente la difesa delle due province ucraine di Lugansk e Donetsk, per costringere Kiev a riconoscere i diritti dei filorussi del Donbass, ma ha voluto “bruciare le tappe”. Così è caduta in una sorta di trappola strategica tesagli dagli anglo-americani, e si è illusa di potere non occupare l’Ucraina, come sostengono i media occidentali, ma perlomeno di destabilizzare rapidamente il regime di Kiev, contando sulla collaborazione degli ucraini filorussi e “giocando la carta” di una potenza ed efficienza militare che (escludendo la potenza nucleare) ha dimostrato di non possedere o possedere solo in parte, e suscitando così una reazione durissima di tutto l’Occidente, che avvantaggia soprattutto l'America.

In altri termini, l'improvvida decisione di Mosca di risolvere militarmente la questione ucraina (una decisione non giustificata neppure dall'allargamento della Nato ad Est, anche se indubbiamente rappresentava una minaccia per la Russia, giacché chiaro e netto era il veto della Germania e della Francia all'ingresso dell'Ucraina nella Nato) non solo ha rafforzato ulteriormente la presenza della Nato “alle porte” della Russia ma sta ostacolando pure il consolidamento di una “realtà multipolare”, in specie se si ritiene che di quest’ultima debba essere parte costitutiva l’indipendenza dall'America della stessa Europa continentale (occidentale).


Tuttavia, è ovvio che indietro non si possa tornare. Come si può risolvere allora la questione ucraina? 

“Incerta” è la posizione del Cremlino dato che non vuole e forse non può rischiare di compromettere la stabilità politica ed economica del Paese (che deve fare fronte alle difficoltà economiche causate dalle sanzioni imposte dall'Occidente) mettendolo sul piede di guerra, ma non può nemmeno permettersi di subire un'umiliante e disastrosa sconfitta in Ucraina, e quindi sembra puntare sul prossimo “lungo inverno” per mettere in ginocchio il regime di Kiev e indurre i più importanti Paesi della Ue a rivedere le proprie posizioni nei confronti della Russia.

D’altronde, il regime di Kiev, grazie al forte sostegno militare - e non solo militare - da parte soprattutto dell'America, punta alla riconquista dell'intero Donbass e perfino della Crimea. E la determinazione di Kiev è pure aumentata per i crimini di guerra commessi dai russi o dai filorussi (che di crimini di guerra ne commettano anche gli ucraini, in specie contro i filorussi, è vero, ma questo non giustifica alcunché). 

Pertanto, il Cremlino potrebbe anche usare la propria aviazione strategica per bombardare assai più duramente (ma senza usare armi nucleari) di quanto abbia fatto finora le città e le infrastrutture ucraine (sempre che l'aviazione russa sia davvero in grado di effettuare simili operazioni militari). Nondimeno, dal momento che in guerra conta distruggere l’apparato bellico nemico, quali vantaggi otterrebbe sotto il punto di vista militare? L’Ucraina, infatti, per continuare la guerra conta non sul proprio apparato industriale ma sugli aiuti dei Paesi della Nato, che la Russia non può attaccare senza scatenare la terza guerra mondiale (al riguardo, è degno di nota che gli americani nella Guerra di Corea, anche se distrussero senza problemi le città e le infrastrutture nord-coreane, dovettero arrivare ad un compromesso con la Corea del Nord, che poteva contare sul massiccio aiuto della Cina).

Comunque il Cremlino potrebbe non solo infliggere danni gravissimi alla struttura logistica dell'esercito di Kiev con attacchi prolungati contro le infrastrutture energetiche ucraine ma alzare il livello dello scontro perfino oltre la soglia della guerra convenzionale, qualora l'esercito ucraino dovesse prevalere su quello russo al punto da mettere a repentaglio l’integrità della Federazione Russa (in questo caso, com’è noto, la dottrina militare russa prevede anche l’uso di armi nucleari tattiche). D’altro canto si deve riconoscere che non è probabile,, anche se non è impossibile, che il Cremlino si convinca che la migliore strategia per contrastare la prepotenza della cosiddetta “anglosfera” sia quella di Pechino, che - sebbene anche i cinesi naturalmente ritengano necessario potenziare la propria “difesa” - sa che l’arma della pace e del commercio è quella che ormai più temono Washington e Londra.

Stando così le cose, è lecito ritenere che le “chiavi strategiche” della questione ucraina le possieda soprattutto Washington, vuoi perché la politica e la stessa difesa militare dell'Ucraina dipendono (Kiev volente o nolente) dalle decisioni di Washington, vuoi perché solo Washington può offrire a Mosca una “via di uscita” dal conflitto con l'Ucraina che non appaia come una disastrosa sconfitta della Russia, e al tempo stesso garantire che l’Ucraina non esca sconfitta da questa guerra.

Del resto, anche se si parla di conflitto russo-ucraino questa guerra è anche una guerra civile ma principalmente una guerra tra Russia e America, e pure - considerando che per l’America era decisivo “tagliare i ponti” tra la Russia e l’Ue e in particolare con la Germania - una guerra economica che l’America, in un certo senso, conduce contro i più importanti Paesi della Ue, benché paradossalmente con il consenso della stragrande maggioranza della classe dirigente della Ue (ma si tratta di un paradosso solo “apparente”, tenendo conto che gli Usa difendono comunque gli interessi della classe liberal-capitalistica europea, nella misura in cui Washington continua a svolgere il ruolo del “gendarme” del liberal-capitalismo occidentale).

Che Washington quindi possa optare per una soluzione politica anziché militare della questione ucraina è ben difficile crederlo, sebbene non si possa escludere che nei prossimi mesi gli “effetti collaterali" delle sanzioni imposte alla Russia creino una situazione del tutto nuova in Occidente, tale da indurre Washington a un “cambiamento di rotta” sia per ragioni di politica interna sia per evitare che gli interessi dell’Europa occidentale e quelli dell’America siano talmente “divergenti” da compromettere le stesse relazioni tra l’America e i più importanti Paesi della Ue.**

* Degno di nota comunque è che anche a vari analisti militari russi non era sfuggita l'importanza della Seconda Guerra del Nagorno Karabakh (si veda https://jamestown.org/program/the-second-karabakh-war-lessons-and-implications-for-russia-part-one/?fbclid=IwAR1Ab6ycggizDYAF-fPAScpffJcBqFCAo1VrjvObrnsawFptWXVpbwua5Sk).

** Anche questa mia analisi (sono il primo a riconoscerlo) presenta diversi “aspetti” controversi e discutibili. Tuttavia, anche se si sa ancora poco di questo conflitto per formulare giudizi definitivi, non si sa così poco da non potere formulare alcun giudizio.
























venerdì 22 luglio 2022

OLTRE LA LINEA?

 Quel che i "compagni" (ma non "sinistrati") non hanno capito o comunque, per ragioni meramente ideologiche, hanno difficoltà a capire, è che il socialismo – inteso, in sostanza, come democrazia sociale - presuppone necessariamente una élite (perlomeno dal tempo dei Sumeri non c’è comunità o società in cui non vi sia un’élite del potere, ossia da quando l’economia è in grado di generare un sovrappiù, nozione chiave della teoria economica classica e di quella neoclassica - non marginalista! - di Sraffa, nonché di buona parte dell’antropologia culturale), composta da un tipo umano “differenziato”, sia sotto il profilo antropologico che sotto il profilo etico (in un senso però che nulla ha a che fare né con le "razze" né con i diversi gruppi etnici) rispetto al cosiddetto "uomo comune" (Platone, anche se ovviamente non era socialista, lo aveva perfettamente compreso). 

Il socialismo presuppone infatti la liberazione dell'uomo che è incatenato nella caverna. Ma non sono solo le catene dell'ignoranza, nel senso comune del termine, che si devono spezzare bensì quelle della miseria e soprattutto quelle che si dovrebbero definire, seguendo l’insegnamento del grande filosofo ateniese, dell'anima concupiscibile. Sottomessa quest'ultima anche le catene della miseria e dell'ignoranza si possono spezzare. Ma appunto solo un tipo umano "differenziato" può liberarsi e liberare gli altri dalle catene dell'anima concupiscibile.

La civiltà dei consumi (come Pasolini aveva intuito) invece ha generato un tipo umano così diverso e degenerato perfino rispetto a quello che era lo stesso “uomo comune”, che non vi sono né talenti né istruzione che possano "addomesticarlo", perché anzi talenti e istruzione sempre più accrescono i suoi appetiti e la sua brama di possesso (anche un "mostro", del resto, non necessariamente è un bruto anzi può essere istruito e non affatto privo di talento - basti pensare ai membri tedeschi degli Einsatzgruppen, tutti non sprovvisti di "competenze" e con un notevole livello di istruzione).

Solamente allora chi - per formazione culturale, ambiente sociale o per particolari doti personali - ha già un'anima "rettamente ordinata" - per usare il lessico di Platone - ovvero non dominata dalla parte concupiscibile e dalla brama di possesso, può non solo uscire dalla caverna ma ritornarvi per liberare i suoi "compagni" incatenati (giacché ci si libera insieme, non da soli).

Non a caso, l'antropologia politica, per così dire, assai più che l'economia ha spazzato via nel secolo scorso l'ingenua idea ottocentesca secondo cui sarebbe bastato abolire la disuguaglianza economica per generare un "uomo nuovo". Ma le catene della miseria dipendono appunto anche da altre catene.

 Vale a dire che per sconfiggere quella sorta di zombi presuntuoso, arrogante e prepotente che è diventato l'homo occidentalis "liberale" (visceralmente antidemocratico e illiberale ma sedicente democratico, e pronto a compiere qualsiasi misfatto e a giustificare qualsiasi delitto pur di soddisfare la sua illimitata brama di possesso) sarebbero necessarie - al di là delle competenze tecnico-scientifiche di cui comunque una società ha bisogno - sia una formazione spirituale e culturale di tipo “umanistico” (intesa però in senso ampio), sia anche e soprattutto una formazione e una disciplina di carattere politico secondo una visione realistica della storia (soprattutto della storia politica, economica e militare) e della condizione umana. 

Tuttavia, scomparsi i partiti di massa (che perlomeno fungevano da scuola politica consentendo ai partiti di "esprimere" una vera classe dirigente anziché solo dominante come quella attuale) e trasformato l’intero sistema educativo (scuola e università) in un sottosistema della società di mercato (nel senso di Karl Polanyi), sono praticamente venute meno anche le possibilità di formare una élite politica e intellettuale capace di contrapporsi con successo all'homo occidentalis "(neo)liberale" (che è davvero un uomo ad una sola dimensione e in questo senso antropologicamente “inferiore” rispetto anche ad una umanità “semplice” ma non totalmente "alienata" ed eterodiretta) o, se si preferisce, ma cambia solo la "prospettiva", in grado di contrapporsi al sistema del capitalismo predatore occidentale (com’è noto, lo stesso Marx afferma che pure il capitalista è “alienato” ma, a differenza del lavoratore, trae profitto da questa sua condizione  e di conseguenza si oppone con tutte le sue forze a chiunque cerchi di "cambiare sistema").

In definitiva, anche se può sembrare paradossale, in Occidente, nelle attuali condizioni storico-sociali, solo dal basso potrebbe nascere qualcosa di veramente nuovo, favorito magari da un Evento particolare (una sorta di Ereignis), che implichi una "rottura di livello" antropologico ed esistenziale tale da cambiare il "corso della storia".