La premessa di qualsiasi analisi geopolitica o di qualsiasi strategia (geo)politica per quanto concerne la questione ucraina dovrebbe essere che la Russia (si badi, la Russia, non solo Putin) non può permettersi di subire una sconfitta disastrosa, senza che collassi l'intero sistema politico e sociale della Federazione Russa, ovverosia uno Stato di oltre 17 milioni di chilometri quadrati, con più di 140 milioni di abitanti e che dispone di migliaia di testate nucleari.
Posta in questi termini la questione ucraina, si eviterebbe perlomeno di confondere le ciance pro o contro la Russia con un'analisi geopolitica obiettiva. Peraltro, perfino la stessa etica della responsabilità presuppone il realismo (geo)politico, non le ciance ideologiche di coloro che, incapaci di trasformare mediante l'azione politica il proprio pensiero in essere, scambiano i propri "sogni" o i propri "deliri" per la realtà, rischiando così di ottenere l'opposto di quel che si propongono di ottenere.
Nondimeno, “interpretare” questo conflitto (che è una guerra civile e un conflitto regionale ma con implicazioni mondiali che rischiano di travolgere un'Europa che pare avere smarrito l’uso della ragione allorché si tratta di risolvere delle questioni geopolitiche) come uno scontro tra "democrazia" e autocrazia, è pur sempre necessario per i gruppi dominanti occidentali al fine di "mascherare" la strumentalizzazione (geo)politica della questione ucraina da parte dell'America, il cui scopo principale certo non è la difesa della sovranità dell'Ucraina.
Ragion per cui è lecito invece parlare di una guerra per procura che l'America sta conducendo non solo contro la Russia (cui cerca di infliggere il maggior danno possibile) ma pure contro la Germania e in generale nei confronti dei Paesi europei che avevano buoni rapporti con la Russia. In sostanza, rifornire la Russia di manufatti tedeschi in cambio di materie prime era una delle "chiavi strategiche" dell'economia tedesca e dello sviluppo sociale ed economico della Russia. Ed era soprattutto uno scambio che apriva nuove corsie geopolitiche alla stessa Ue, rendendo di conseguenza possibile una progressiva riduzione della dipendenza geopolitica della Ue dall'America.
Nulla di meglio per l'America, pertanto, dell'improvvida decisione del Cremlino di invadere l'Ucraina (convinto di potere agire come l'America sulla scacchiera geopolitica), che invece ha offerto agli americani la possibilità di ridefinire i rapporti con l'Ue a proprio vantaggio. Certo, più si prolungherà questa guerra e maggiori saranno i danni che subirà l’Ucraina, dato che il regime di Kiev senza gli aiuti militari ed economici occidentali crollerebbe nel giro di qualche settimana. Ma i notevoli successi tattici dell’esercito di Kiev e l'impreparazione bellica della Russia hanno aumentato gli “appetiti” della Nato e del regime etno-nazionalista ucraino, nonostante che la Russia possa continuare ad infliggere ferite orrende ad un Paese che in buon parte è già ridotto ad un cumulo di macerie.
In pratica, il piano strategico di Mosca, che consisteva nell'instaurare un governo filorusso a Kiev, è fallito e adesso la Russia deve combattere non solo contro l'Ucraina ma anche, benché indirettamente, contro la Nato, che dopo il caotico ritiro americano da Kabul sembrava davvero in uno "stato di morte cerebrale" e invece d'ora in poi con ogni probabilità potrà contare anche su due Paesi “storicamente” neutrali come la Svezia e la Finlandia.
L'America, quindi, non solo ha potuto consolidare la propria egemonia sull'Europa e in particolare sull’Europa occidentale, ma, in quanto potenza politicamente e militarmente egemone, è riuscita pure a fare affluire numerosi capitali negli Stati Uniti e ad aumentare, a scapito della stessa Europa, la competitività del proprio sistema industriale (un vantaggio di non poca importanza per un Paese caratterizzato da decenni da un enorme deficit commerciale).
Eppure, vi è da considerare anche il "rovescio della medaglia", sebbene venga pressoché del tutto ignorato dai media mainstream occidentali.
L’America e suoi vassalli occidentali, infatti, non sono riusciti ad isolare la Russia, a cui non hanno voltato le spalle - né possono voltare le spalle - decine di Paesi che sulla scacchiera geoeconomica e geopolitica conteranno sempre più con il passare del tempo.
Sono Paesi che non tollerano che l’America sia al tempo stesso un giocatore e l’arbitro della politica internazionale, che detti le regole del gioco e le violi o le riscriva ogni volta che le conviene, che si ingerisca negli affari interni di ogni Paese avvalendosi di tutti mezzi offerti dalla “guerra ibrida” contro quei governi che non siano disposti a seguire le direttive strategiche di Washington.
Il multipolarismo, quindi, scuote dalle fondamenta il sistema del capitalismo predatore occidentale a guida americana, proprio quando nel “cuore” stesso dell’impero americano cresce la distanza tra le élite dominanti e il popolo (ossia la maggior parte della popolazione, che è pure quella economicamente più svantaggiata) e aumentano i fenomeni di disgregazione sociale, al punto che per molti cittadini americani il loro principale “nemico politico” si trova a Washington.
Si è in presenza, dunque, di un processo storico i cui sviluppi sono sì difficili da prevedere ma che non può essere certo fermato dalla narrazione occidentale del conflitto russo-ucraino né dalle sanzioni imposte alla Russia né dai successi tattico-operativi dell’esercito ucraino, nonostante che in Occidente si sia venduta la pelle dell’orso prima di averlo ucciso.
Del resto, non sarà nemmeno la questione dei cosiddetti “valori occidentali” e della stessa “democrazia liberale” - che ormai non si distinguono dai “valori” della middle class occidentale (sedicente) cosmopolita e da una oligarchia neoliberale sempre più simile ad una sorta di “plutocrazia tecnocratica” – che potrà cambiare il corso della storia. In altri termini, è finito il tempo in cui si poteva sostenere che la comunità internazionale coincideva con il cosiddetto “mondo occidentale”.
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