Che gran parte del popolo ucraino nutra un sentimento ostile nei confronti della Russia è comprensibile, tenendo conto delle ferite che la Russia di Putin ha inflitto all'Ucraina, ed è pure comprensibile che l'Ucraina non possa accettare un cessate il fuoco che non garantisca la sua sicurezza nazionale.
Nondimeno, un conto è difendere le "ragioni" della resistenza del popolo ucraino contro l'esercito russo (il "fattore chiave" del fallimento strategico della Russia nella primavera dell'anno scorso, altrimenti l'esercito russo non avrebbe avuto difficoltà a far cadere il regime di Kiev), un altro il giudizio sul regime ucraino, che sembra “accecato” dal nazionalismo, al punto da ritenere che l’unica soluzione per porre fine alla guerra sia la caduta del regime di Putin.
Ma non è forse vero che nel secolo scorso l'Occidente non si rifiutò di trattare nemmeno con l'Unione Sovietica? Allora perché oggi non si dovrebbe trattare con la Russia di Putin (qualora sotto il profilo geopolitico fosse vantaggioso, s'intende), lasciando che la questione politico-culturale del regime di Putin venga risolta dai russi stessi?
In sostanza, affermare che questa guerra è una guerra contro le "forze del male" è solo melensa retorica nazionalista o neoliberale, che non ha ben poco a che fare con la condanna del regime di Putin, che aggredendo l'Ucraina ha reso estremamente difficile all'Europa potere sfruttare il declino relativo dell'egemonia americana per acquisire una "reale" autonomia geopolitica, senza la quale, peraltro, è praticamente impossibile ridefinire l'architettura politica e sociale dell'Europa in un'ottica tale da consentire di (ri)mettere l’economia o, meglio, il "mercato" al servizio del benessere (morale e materiale) dell'intera comunità.
Tuttavia, anche se adesso si è stretti tra la Scilla euro-atlantista (che sta strumentalizzando perfino questa guerra in “chiave ideologica”) e la Cariddi russa (che manda in solluchero i filoputiniani, che cianciano di geopolitica ignorando addirittura i principi fondamentali del Politico), la storia può ancora riservare molte sorprese, se è vero che "la globalizzazione è ideologia dell'egemonia americana. Grandiosa utopia che promette di integrare il mondo nel mercato ed entrambi nell'America. Non negli Stati Uniti. Nell'American way of life, marchio e sostanza dell'impero a stelle e strisce. [Impero globale] in quanto americano e viceversa. Sistema-mondo in crisi di credibilità nel suo stesso centro, di qui per estensione nel pianeta...La crisi di una nazione così speciale apre una transizione egemonica. Fase storica senza ritorno, perché avvia il collasso di un sistema o la sua radicale trasformazione per successivi adattamenti" (Editoriale di “Limes”, Il Bluff Globale, 04/23).
Pertanto, anche se è indubbio che la improvvida e scellerata decisione del Cremlino di risolvere la questione ucraina con la guerra, allo scopo di infliggere un colpo letale all'egemonia americana sul Vecchio Continente ha già ottenuto (e non poteva non ottenere, se si ragiona a lume di geopolitica anziché di "fantapolitica") il risultato opposto di quel che il Cremlino si proponeva, è anche vero che in un certo senso l'America continua ad essere il nemico più pericoloso dell'America stessa.
D’altronde, anche la cosiddetta "unità politica dell'Europa" è più apparente che reale, dato che è palese che esistano "molte Europe", con interessi economici e geopolitici diversi e perfino opposti, al punto che la distanza (geo)politica tra la Francia o la Germania e la Polonia e i Paesi baltici può essere "occultata" solo dalla necessità per le élite dominanti europee di serrare le file contro la Russia "nazistalinista".
Insomma, che l'Occidente neoliberale "a guida americana" si stia già imbattendo nei suoi "limiti" è innegabile, dato che la crisi dell'attuale "sistema occidentale", che in pratica si configura come l'autunno della potenza egemone, non può certo essere risolta solo "frustrando" le assurde e velleitarie ambizioni imperialistiche della Russia di Putin. Ovviamente si tratta di "limiti" che si possono pure "ignorare", ma non per questo cessano di esistere, anche se può passare parecchio tempo prima che possano produrre i loro "effetti".
Certo, l'élite neoliberale occidentale e in specie la potenza egemone hanno ancora molte frecce al proprio arco e quindi non si può sapere quale sarà il “destino” dell’America ossia come l'attuale transizione egemonica possa modificare il corso della storia. D'altra parte, l'attuale transizione egemonica è radicalmente differente dalle altre transizioni egemoniche che hanno contraddistinto l'età moderna, non fosse altro perché nessuna potenza può prendere il posto degli Stati Uniti, in quanto l’America è l'unica potenza che ha potuto davvero cercare di creare un sorta di "impero globale".
Difatti, non è nemmeno improbabile che si assista (e ve ne sono già i presupposti) alla formazione di un "blocco occidentale" egemonizzato dagli Usa (che implica - si badi - che i Paesi europei facciano “quadrato ”intorno all’America), al fine di contrastare anche e soprattutto la Cina di Xi Jinping (che non solo ha sempre più ampliato il controllo politico su tutta la società cinese ma sembra non resistere alla tentazione di sfidare la potenza egemone sotto il profilo militare e geostrategico, anche se quando si analizza la politica della Cina si deve essere sempre molto cauti).
Ciò nonostante, il mondo attuale non è più il mondo della guerra fredda, tanto che almeno una parte delle élite dominanti europee è consapevole che le conseguenze di un nuovo bipolarismo, più o meno imperfetto, potrebbero essere disastrose per l'Europa. Non solo l'America, dunque, ma pure l'Europa, volente o nolente, dovrà fare i conti (politici, economici e geopolitici) con il fallimento del “grande disegno” geopolitico dell’America imperiale ovverosia dovrà necessariamente ridefinire il suo ruolo nel mondo e soprattutto i suoi rapporti con il "resto del mondo", anche se ben difficilmente potrà riuscirvi senza mettere in discussione i principi del “sistema liberal-capitalista”, perlomeno nella misura in cui il neoliberalismo minaccia di distruggere ogni legame sociale nella stessa "Vecchia Europa".
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