E' indubbio che da Kant
in poi la questione dell'oggettività si sia rivelata inseparabile da
quella della intersoggettività, nel senso che, una volta
riconosciuto che non può essere oggetto di esperienza un mondo
totalmente indipendente dal soggetto della conoscenza, "essere
oggettivo" non può che significare "essere valido per
tutti", cioè conforme ad un metodo. Inevitabile quindi che si
sia dovuto prendere coscienza che le singole osservazioni delle
scienze empiriche non sono "puri" dati dì esperienza,
bensì particolari “asserzioni” e che proprio la questione del
“linguaggio” sia stata a fondamento della crisi del
neopositivismo logico e della nascita della epistemologia
"post-positivistica" (rappresentata soprattutto, ma non
solo, da Kuhn, Lakatos e Feyerabend).(1)
Ed è opportuno
sottolineare che si tratta di una epistemologia "post-popperiana",
in quanto viene messo in discussione il fatto che vi sia una base
empirica “neutrale” come criterio di "falsificabilità"
delle teorie scientifiche, non essendo possibile considerare il
contesto della giustificazione e il linguaggio osservativo
indipendenti, rispettivamente, dal contesto della scoperta e dal
linguaggio teorico. Da qui, la negazione dell'esistenza di un metodo
scientifico universalmente valido (Feyerabend) e il sempre maggiore
rilievo, più che alle singole teorie scientifiche, ai programmi di
ricerca (Lakatos) oppure ai paradigmi (Kuhn), nonché alle strategie
argomentative, per capire le decisioni della comunità scientifica.
Ma soprattutto la necessità di una nuova e approfondita riflessione
sui problemi dell'olismo (Quine) e su quegli aspetti della scienza
contemporanea, come le descrizioni equivalenti e i paradossi della
logica matematica, che hanno radicalmente cambiato la visione
scientifica del mondo - anzi che sono all'origine delle diverse
immagini scientifiche del mondo (Goodman).
Non a caso, uno dei più
importanti filosofi della scienza, Hilary Putnam, pur criticando il
relativismo e l'incommensurabilità dei paradigmi scientifici,
sostiene l'impossibilità gnoseologica del realismo “esterno”
(secondo cui la realtà consiste di una precisa totalità di oggetti,
è “esterna” rispetto alla mente umana - non dipende cioè in
alcun modo dalle categorie impiegate dal soggetto della conoscenza -
e di essa vi è solo un'unica descrizione vera), dato che non vi è
nessun criterio che permetterebbe di ridurre le diverse
visioni/interpretazioni del mondo ad una sola (corretta)
visione/interpretazione del mondo. Tanto è vero, osserva Putnam, che
se ci si domanda quanti oggetti ci sono, è possibile, dal punto di
vista della matematica, rispondere perlomeno in due modi differenti
(ed analoghe considerazioni valgono per la definizione del punto e
così via), ad ulteriore conferma che non si può paragonare nessuna
descrizione della realtà alla realtà in sé, bensì unicamente ad
un'altra descrizione della realtà. In definitiva, non si può
descrivere il mondo senza descriverlo: « Parlare di “fatti”
senza aver specificato in quale linguaggio stiamo parlando è parlare
di nulla; la parola “fatto” non ha un uso fissato nella Realtà
in Sé più di quanto lo abbiano la parola “esiste” o la parola
“oggetto”».(2)
Di conseguenza, è pure
del tutto logico che la ricerca epistemologica contemporanea venga a
rafforzare quella concezione del rapporto tra intepretandum e
intepretans che si suole definire "circolo ermeneutico"
(messo chiaramente in luce per la prima volta da Heidegger nel § 32
di Essere e tempo),(3) in quanto la struttura della
comprensione si contraddistingue per non poter non muovere da una
serie di "pre-giudizi" su cui si fonda la stessa
comprensione, di modo che quel che si deve comprendere, in una certa
misura, si è già compreso. Ciò però non implica che il "circolo
ermeneutico" debba essere ritenuto un circolo vitiosus,
poiché, come precisa Heidegger, ritenendolo già indice di
quell'apertura linguistica del mondo che
contraddistingue la “seconda fase” del suo pensiero,
«in esso si nasconde una possibilità positiva del conoscere più
originario».(4) Infatti, non si può neanche escludere che «chi
cerca di comprendere, [sia] esposto agli errori derivati da
pre-supposizioni che non trovano conferma nell'oggetto». Ad esempio,
«chi vuol comprendere un testo deve lasciarsi dire qualcosa da esso.
Perciò una coscienza ermeneuticamente educata deve essere
preliminarmente sensibile all'alterità del testo. Tale sensibilità
non presuppone né un'obiettiva 'neutralità' [corsivo nostro]
né un oblio di se stessi, ma implica una precisa presa di coscienza
delle proprie pre-supposizioni e dei propri pre-giudizi».(5)
Del resto, argomenta
Apel, «al criterio fornito dal paradigma di Kuhn corrisponde la
Lichtung [radura, chiarita] di Heidegger, interpretabile come
apertura linguistica del mondo, che libera l'orizzonte di
senso entro il quale sono possibili le domande della scienza –
e, come ha dimostrato Gadamer, dei giudizi giusti o sbagliati vanno
per forza intesi come delle risposte a delle domande, attuali o
almeno possibili». Per questo, conclude Apel, «tutti i risultati
della scienza occidentale dipendono da orizzonti di senso o
orizzonti interrogativi paradigmatici che non si sono potuti
aprire ad altre culture, dotate di diverse aperture linguistiche del
mondo (ad esempio, gli indiani Hopi del Nuovo Messico)».(6)
Essenziale è allora
rendersi conto che si è sempre “radicati" in una certa
tradizione, ossia che la nostra realtà dipende da ciò che Gadamer
denomina "storia degli effetti" (Wirkungsgeschichte),
di modo che non può che essere assurdo pretendere di studiare la
storia da una prospettiva “neutrale”, metastorica e
metaculturale. A tale proposito, si può ricordare che anche
Pareyson (7) sottolinea l'aspetto rivelativo e al tempo stesso plurale
della stessa nozione di verità, dato che la formulazione della
verità non può che essere mediata dal linguaggio. In particolare,
Pareyson non nega l'unicità della verità, ma la paragona a quella
di un'opera musicale che rimane la stessa pur non essendo possibile
comprenderla se non interpretandola. E ovviamente non vi è la
possibilità di paragonare l'interpretazione di un'opera all'opera in
sé, sebbene si possa condividere un insieme di regole, metodi,
postulati e convinzioni che mostrano che è l'opera ad “orientare”
l'interpretazione, sia pure in funzione dei nostri "interessi"
(teorici, pratici o emancipativi che siano, in base alla celebre
distinzione proposta da Habermas).(8) Il che tra l'altro spiega sia
perché ormai tenda a prevalere una concezione strumentalistica della
scienza, che, oltre a valorizzare gli aspetti pragmatistici presenti
nel pensiero di autori quali Quine e Putnam, giustifica una
determinata ontologia secondo il sistema di riferimento scelto e in
base agli scopi del sistema medesimo; sia perché la retorica della
scienza "pura" sembra aver lasciato posto alla
convinzione secondo cui, come sostiene Heidegger, è la scienza moderna a fondarsi sulla tecnica moderna,
e non viceversa.
Naturalmente, i percorsi
di ricerca che possono derivare da tale "svolta linguistica"
(che qualcuno ha paragonato ad una sorta di nuova rivoluzione
copernicana) sono diversi e perfino opposti tra di loro, giacché non
può non essere questa stessa “svolta” (questione del relativismo
inclusa) oggetto di differenti interpretazioni, ma è innegabile che
essa sia un tratto distintivo ed essenziale non solo della filosofia
della scienza, ma di ogni branca della filosofia contemporanea,
compresa “la filosofia prima”, cioè quella che si occupa di
questioni ontologiche e metafisiche. (Si badi che, anche se è evidente che non tutto è interpretazione, pure chi difende la concezione della cosiddetta "metafisica classica", su basi platoniche o "neoplatoniche", aristoteliche o aristotelico-tomiste, ritiene che l'identità intenzionale tra essere e pensiero si renda manifesta grazie al medium spirituale del linguaggio. Una posizione diversa sul linguaggio, nel senso stretto del termine, è invece sostenuta da Colli, per il quale comunque la stessa ragione è "es-pressione" di qualcos'altro, di modo che, in ogni caso, la nostra esperienza del mondo viene a costituirsi e a formarsi nel "fiume delle interpretazioni").
Perciò, queste nostre
considerazioni possono apparire, se si vuole, perfino banali, ovvero
luoghi comuni della cultura contemporanea. Tuttavia, non è affatto
raro che si tenda a confondere la - più che legittima e necessaria -
critica dell'ideologia, intesa come sapere dogmatico e aprioristico,
non aperto al confronto, con la difesa di una presunta “neutralità
scientifica”, perlopiù in quei settori della conoscenza, che sono
di gran lunga meno “strutturati” delle scienze della natura - e
sono tali non perché ci si ostini a non impiegare linguaggi
matematici (ché in molti testi di astrologia vi è più matematica
che nei testi di fisica, ma non per questo l'astrologia viene
considerata una scienza), bensì perché è l'oggetto stesso di certe
scienze che si presta poco ad essere compreso mediante la matematica.
Non necessariamente le scienze umane però sono meno rigorose di
quelle della natura, al punto che Heidegger non esita ad affermare
che «le presupposizioni del conoscere storiografico trascendono in
modo essenziale l'idea di rigore delle scienze esatte. La matematica
non è più rigorosa della storiografia, ma semplicemente più
ristretta quanto all'ambito dei fondamenti esistenziali per essa
rilevanti».(9) In ogni caso, si dovrebbe tenere sempre presente non
solo l'oggettività ma anche l'adeguatezza della conoscenza, anche
perché, come Gadamer ha più volte affermato, per quel che riguarda
le scienze dello spirito non sono tanto le spiegazioni che contano
quanto piuttosto la comprensione del nostro orizzonte storico (senza
dimenticare che nella realtà storica è l'eccezione, per così dire,
ad essere la regola), di modo da poter "cor-rispondere"
all'appello che il presente storico ci rivolge in quanto esseri
umani.
D'altra parte, che dalla
“svolta linguistica”, che caratterizza la filosofia e
l'epistemologia contemporanea, consegua un certa forma di
relativismo, lo si deve pur concedere. Nondimeno, è significativo
che l'ultimo Feyerabend - l'antimetodologo anarchico che i
relativisti annoverano tra i loro “campioni” - «sostiene (o
almeno scrive come se lo sostenesse) che ha senso parlare di una
natura umana comune poiché ogni cultura (o tradizione) è in potenza
tutte le altre».(10) Se, però, ciò da un lato pare avvalorare la
tesi che le diverse tradizioni esprimono una “sostanza comune”
(11) (sicché vi sarebbe la reale possibilità per i popoli di
intendersi tra di loro, ciascun popolo potendo interpretare e
rinnovare la propria tradizione “dia-logando” e “con-frontandosi”
con altri popoli), dall'altro fa comprendere perché la
“mondializzazione” sia un processo che rischia di annientare ogni
stile di vita che non sia funzionale al sistema di potere
occidentale.
Sotto questo profilo, non
sembra azzardato ritenere che sia proprio la geopolitica a mostrare
meglio di altre discipline come qualunque attività umana non possa
prescindere né da un concreto riferimento spazio-temporale né dal
“conflitto” delle interpretazioni, e ad evidenziare che la difesa
di un punto di vista “neutrale”, in realtà, oggi, equivale a
condividere i presupposti di quel pensiero “politicamente
corretto”, che non è altro che l'espressione ideologica della
società di mercato occidentale. Pertanto, anziché criticare
l'ideologia, si finisce col fare l'inconsapevole apologia della
peggiore forma di ideologia, se si pensa di evitare di “prendere
posizione”; mentre, se si vuol essere veramente “obiettivi”,
ciò che rileva è saper "prendere posizione". Vale a dire
che conta “come” e “perché” si prende una determinata
posizione.
Note
1. Oltre ai testi di
questi autori, si vedano, per una comprensione perlomeno dei
principali aspetti della ricerca epistemologica contemporanea, Nicola
Abbagnano-Giovanni Fornero, Storia della filosofia, Utet,
Torino, vol. IV, 1991/1994, Giovanni Fornero-Salvatore Tassinari, Le
filosofie del Novecento, Bruno Mondadori, Milano, 2002, Storia
della filosofia (diretta da Mario Dal Pra), Piccin Nuova
Libraria, Padova, 1998 e Giulio Giorello, Introduzione alla
filosofia della scienza, Bompiani, Milano, 1994. Ancora
fondamentale è Paul K. Feyerabend-Giulio Giorello, Critica e
crescita della conoscenza, Feltrinelli, Milano, 1976. Utili e
importanti anche i due libri di Marcello Pera, Popper e la scienza
su palafitte, Laterza, Bari,1980 e Scienza e retorica,
Laterza, Bari, 1991. Sul neopositivismo logico, si vedano la
magistrale ricostruzione storico-filosofica di Francesco Barone, Il
neopositivismo logico, Laterza, Bari, 1953 e l'analisi teoretica
di Emanuele Severino, Legge e caso, Adelphi, Milano, 1979.
2. Hilary Putnam, La
sfida del realismo, Garzanti, Milano, 1991, p. 51 In relazione a
questo tema, di Putnam si veda anche Rinnovare la filosofia,
Garzanti, Milano,1998, in specie il cap. 6.
3. Martin Heidegger,
Essere e tempo, Longanesi, Milano, 1976, § 32, pp. 188-195.
4. Ibidem, p. 195.
5. Hans-Georg Gadamer,
Verità e metodo, Bompiani, Milano, 1983, pp. 314 e 316.
6. Karl-Otto Apel,
Autocritica o autoeliminazione della filosofia?, in Filosofia
'91 (a cura di Gianni Vattimo), Laterza, Roma-Bari, 1992, p. 35.
7. Luigi Pareyson, Verità
e interpretazione, Mursia, Milano, 1972.
8. Hans Jürgen Habermas,
Conoscenza e interesse, in Id., Teoria e prassi nella
società tecnologica, Laterza, Bari, 1969, p. 9.
9. Martin Heidegger,
op. cit., p 195.
10. Valerio Meattini,
Natura umana, scetticismo, valori. Orientamenti, Giuseppe
Laterza, Bari, 2009, p. 31. Meattini si riferisce al saggio di Paul.K.
Feyerabend, Contro l'ineffabilità culturale, in "Volontà",
2-3, 1994, pp. 97-107.
11. E' interessante
notare che anche per Toshihiko Izutsu, impegnato a delineare i
contorni di una "metafilosofia", è indispensabile che uno
studio comparato sia filologicamente fondato, onde evitare «di
ricadere nel difetto positivista di pretendere che possa esistere un
"occhio" neutrale [ovvero] che il soggetto indagante sia
indifferente, immune, e neutrale rispetto ai problemi interni [agli
oggetti assunti a tema dell'indagine]»,
Giangiorgio Pasqualotto, introduzione a Toshihiko Izutsu,
Sufismo e taoismo, Mimesis, Milano, 2010, p. 10.
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