mercoledì 19 ottobre 2011

INDIPENDENZA DELL'EUROPA, SOVRANITA' NAZIONALE E CRISI GLOBALE

Più volte nei nostri articoli si è evidenziato che la difesa della sovranità di uno Stato è necessaria per opporsi al “mondialismo” dell’oligarchia finanziaria occidentale. Tuttavia, non si dovrebbe equivocare, dacché “necessaria” non significa “sufficiente”. Perciò si è sempre anche sottolineato che la nostra epoca è quella dei “grandi spazi”, in cui i singoli Stati nazionali sono troppo piccoli per potersi opporre al ”mondialismo” del Leviatano, ovvero che è della massima importanza capire che uno Stato europeo dovrebbe esercitare la propria sovranità “nei limiti e nelle forme” di uno “blocco geopolitico continentale”, ammesso che l’Europa non voglia rassegnarsi ad essere una provincia degli Stati Uniti. Del resto, il tratto distintivo dell’America è di essere uno Stato che, in quanto tale, è “de-limitato” da un determinato territorio, ma il cui “raggio d’azione”, politico ed economico, non può non travalicare ogni “con-fine”, dato che è espressione di una volontà di potenza che è la medesima volontà di potenza che “in-forma” l’agire del “turbocapitalismo” occidentale e dell’alta finanza. Sicché, è l’esigenza stessa di combattere un nemico comune, che richiede (e offre l’occasione) di dare vita, su fondamenti geopolitici, storici e culturali, ad un ordinamento istituzionale autenticamente “sovra-nazionale”.
Nondimeno, parrebbe che la questione di una Europa “sovrana” sia una sorta di “circolo vizioso” e che l’Ue, con tutti i suoi difetti, rimanga l’unica soluzione politica possibile, poiché, se da un lato si manifestano la debolezza e la miopia politica di chi non sa definire l’interesse nazionale secondo un ordine geopolitico che sia super partes, dall’altro è la mancanza di un siffatto ordine che favorisce comportamenti politici che tendono a dividere ancora di più non solo i Paesi europei ma addirittura i Paesi del continente eurasiatico. (Per quanto concerne quest’ultimo aspetto, si pensi, ad esempio, alla Turchia di Erdogan, che ha il merito di prendere posizione contro l’entità sionista, ma che al tempo stesso si adopera contro la Siria di Assad, il quale deve difendersi da una rivolta supportata anche dagli americani e dagli israeliani; oppure all’Iran, che ha appoggiato i “cirenaici” e i tagliagole della Nato contro la “Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista”. E gli esempi, purtroppo, si potrebbero moltiplicare. Si assiste così a scelte che si vorrebbero giustificare come indispensabili per proteggere i propri interessi o per svolgere una politica di potenza regionale, ma che invece sembrano essere conseguenza del fatto che non ci si è ancora resi conto che la complessità del “sistema” internazionale non ammette che vi siano spazi geopolitici “isolati” dai rapporti di potenza che strutturano gli equilibri mondiali e “decidono” il livello e l’area del “confronto”). In realtà, non vi è alcun “circolo vizioso”, dato che è l’Ue medesima che si dovrebbe concepire come un campo di forze in lotta tra di loro, per stabilire quale deve essere il destino dell’Europa, alla luce di quella scelta fondamentale tra amico e nemico che si configura come opposizione tra “terra” e “mare” (per usare il lessico di Carl Schmitt, benché sia inevitabile che i due termini di questa opposizione possano cambiare di significato con il mutare dei tempi). Ed è il fatto che la caratteristica essenziale della talassocrazia americana consista nell’imporre la propria volontà con ogni mezzo a qualunque altro “soggetto politico”, a rendere necessario, per tutelare gli interessi delle differenti “patrie” (nazionali, locali o “ideali”che siano), che le diverse spinte nazionali concorrano alla costruzione di una struttura politica di “livello più alto” rispetto a quello nazionale, alla quale affidare il delicato e vitale compito della difesa dell’indipendenza continentale. Pertanto, una volta che sia riconosciuta l’origine (geo)politica dell’attuale crisi finanziaria – che è certo da mettere anche in relazione con la ridefinizione in chiave liberista del sistema sociale occidentale – non ci si dovrebbe stupire che l’obiettivo che i “mercati” perseguono sia, in primo luogo, quello di impedire che l’Europa possa smarcarsi dal dominio americano, profittando di una situazione internazionale che, con l’emergere di nuove potenze, “indica” nuove corsie geostrategiche e geoeconomiche, che dovrebbero “indirizzare” la politica europea verso Est e verso Sud. Non a caso gli Usa, dopo l’intervento nei Balcani (anche per non permettere alla Germania di svolgere un ‘azione politica autonoma nell’Europa orientale), hanno rivolto la loro attenzione all’area mediterranea, coinvolgendo il più possibile i Paesi europei in una aberrante e criminale politica neocolonialista, e non si fanno nemmeno scrupolo di usare – rischiando di evocare, come l’apprendista stregone, forze che non possono controllare – l’islamismo più radicale (fratellanza musulmana inclusa) per conservare e rafforzare la loro testa di ponte occidentale, tanto più necessaria e preziosa ora che la “sfida globale” riduce i margini di manovra delle “forze occidentali”, lasciando apparire le gravissime “contraddizioni” del gigantesco Warfare State americano. (Al riguardo, non si deve trascurare l’azione delle lobbies sioniste, che, oltre ad essere funzionali alla politica di Israele, sono parte costitutiva dell’oligarchia atlantista, che ha una delle armi più potenti e pericolose proprio nella “cultura” dell’intolleranza, della discriminazione, dell’arroganza, dell’intimidazione e della mistificazione che contraddistingue i circoli sionisti, i quali hanno tutto l’interesse a ricattare l’Europa. E ciò a prescindere dal fatto che Israele non può essere considerato un semplice spettatore degli eventi che stanno cambiando la mappa politica del mondo arabo, benché non sia facile capire quale sia effettivamente il ruolo dell’entità sionista e quale partita si stia giocando tra Washington e Tel Aviv).(1).
E’ affatto logico allora che si tema che la crisi dei “debiti sovrani” possa avviare un nuovo corso della politica europea, dato che non v’è dubbio che la soluzione della crisi – intesa come “krisis”, cioè come scelta, “decisione” – consiste nel riconoscere che l’indipendenza del continente europeo dagli Usa è condicio sine qua non di ogni altra autonomia dei popoli europei. In quest’ottica, la crisi dell’unipolarismo americano e la scelta di puntare sulla geopolitica del caos, per salvaguardare ad ogni costo l’egemonia atlantista, anche contro gli interessi di parte del popolo americano, sono con ogni probabilità alla base della proposta del noto “filantropo” George Soros, secondo cui bisogna delegare alla Bce e al Fesf (Fondo europeo per la stabilità finanziaria) il compito “di riportare la crisi sotto controllo”. (2) Il che è quanto si sostiene pure in una “lettera aperta” – firmata, oltre che dallo stesso Soros, da Emma Marcegaglia e da Massimo D’Alema – in cui si rivolge un appello ai “Parlamenti dei paesi dell’Eurozona affinché riconoscano che l’euro richiede una soluzione europea [dato che] la ricerca di soluzioni a livello nazionale può solo portare alla dissoluzione” (3). Sono parole che però non devono trarre inganno, dacché quello cui si mira, “invertendo” il rapporto tra causa (debolezza politica e strategica ) ed effetto (crisi economica), non è ciò che apparentemente si sostiene, bensì esattamente l’opposto. Lo comprende bene Rino Formica che scrive che “il rinvio sulla debolezza costituzionale (e quindi politica) dell’Europa segue l’antica logica dei due tempi: prima viene l’emergenza e dopo le riforme. Su questo terrreno sono sempre state sconfitte le forze del cambiamento”. (4) A tale proposito, scrive il sociologo Luciano Gallino non solo che “il passo più rischioso cui Sarkozy e Merkel stanno spingendo la Ue consiste nel salvare le banche senza compiere alcun tentativo per avviare una vera riforma del sistema finanziario”, ma pure che “i gruppi finanziari salvati dallo Stato a suon di trilioni di dollari e di euro spesi o impegnati (più di 15 in Usa, almeno 3 nella Ue) sono ora, in termini di attivi in bilancio, grandi il doppio [e ] i primi venti del mondo hanno ciascuno attivi tra 1 e 2 trilioni di dollari, cifre che si collocano, come equivalenza, tra il cinquanta e il cento per cento del Pil dell’Italia. Ci provi, un qualsiasi governo, a opporsi ai voleri di simili colossi”. (5) Anche se si può obiettare a Gallino di non prendere in esame il fatto che si tratta di “colossi” che agiscono secondo una particolare strategia politica (che altro non è se non quella che si suole, correttamente, definire atlantista), non potendo in alcun modo la finanza internazionale fare a meno dell’apparato di “comando e controllo” della potenza capitalistica dominante – egli ha comunque il merito di non mistificare la verità come invece fa Mario Monti (il tecnocrate che ha dichiarato che le misure draconiane adottate dal governo greco provano il successo dell’euro, in base alla logica che, anche se il paziente è morto, l’operazione è perfettamente riuscita), il quale afferma che “in Europa e negli Stati Uniti [...] si identifica proprio nell’Italia il possibile fattore scatenante nell’eurozona di dimensioni non ancora sperimentate e forse non fronteggiabili [mentre] in un’Europa e in un mondo sempre più interdipendenti sarebbe opportuno che quanti hanno dato il loro sostegno a Berlusconi [...] prendessero maggiore consapevolezza della realtà internazionale che rischia di travolgerci, di trasformare l’Italia da Stato fondatore in Stato affondatore dell’Unione europea”. (6) A parte l’assurdità di far dipendere dall’attuale governo italiano (sebbene sia innegabile che anche questo governo abbia “costruito” assai male) il terremoto finanziario che sta facendo vacillare l’intero Occidente, è evidente che, a giudizio di Monti, per non consentire ai “mercati” di attaccare un Paese sovrano – “già oggetto di ‘protettorato’ (tedesco-francese e della Banca centrale europea)” – e di far così affondare addirittura l’Europa, si dovrebbe accettare il diktat della Bce che, come anche Gallino riconosce, altro non è che il diktat dei “mercati” medesimi. E non v’è chi non s’accorga della somiglianza tra la “ricetta” del tecnocrate italiano “targato” Goldman Sachs (come “mister” Draghi) e la proposta del “sostenitore” delle rivoluzione colorate. Non è che vi sia un “complotto” dell’alta finanza contro l’Italia, ma è la realtà stessa che spinge in certe “direzioni”, dato che essa non piove dal cielo, ma è frutto di precise scelte strategiche. Insomma, la “vulnerabilità” dei singoli Stati europei – anche per errori (che nessuno nega) di gestione politica – diviene “strumento” di una strategia complessa, che deve impedire che la “crisi globale”, cioè l’interdipendenza cui si riferisce Monti, possa generare – anche allo scopo di risolvere una situazione economica che si aggrava sempre più – un radicale rinnovamento della politica europea o, in altre parole, quell’alternativa multipolare che metterebbe fine all’egemonia dei “mercati”.
Sono questi dunque i motivi che ci inducono a ritenere che si dovrebbe costruire nel nostro Paese (ma naturalmente non solo nel nostro Paese) un “polo nazionalpopolare”, per una rifondazione dell’Unione europea, senza la quale qualsiasi riforma finanziaria sarà “inutile”, e che rappresenti, anziché i diritti dei cosiddetti “mercati”, i diritti dei popoli europei. Epperò, la solidarietà tra le varie parti non solo del continente europeo, bensì dello stesso continente eurasiatico, consegue anche dalla necessità di difendere la propria “terra”, ovvero le proprie radici, che tanto più sono profonde, tanto più si intrecciano, per cui la loro connessione si dovrebbe considerare come effetto di un processo di integrazione che non annulla le “differenze”, ma anzi le conserva, sia pure in funzione di una sintesi politica e culturale realmente “sovra-nazionale”. Nel Novecento l’Europa ha dovuto pagare un prezzo troppo alto per non aver saputo mediare tra difesa delle “radici identitarie” e giustizia sociale, nel rispetto della persona umana. Ma se è vero che possono affermare di avere appreso le “dure” lezioni del Novecento soltanto coloro che sanno prendere le distanze da chi è disposto (per interesse personale, per conformismo, o per mera “degenerazione ideologica”) ad avallare i crimini dei sionisti o la “barbarie umanitaria” dell’Occidente, allora non dovrebbe essere difficile comprendere perché sia necessaria una forza “nazionalpopolare” e che cosa significhi oggi lottare per l’indipendenza del continente europeo, “saldandolo” alla massa eurasiatica, secondo una concezione antisionista e antiatlantista.

Note
1)Vedi http://aurorasito.wordpress.com/2011/10/14/israele-e-libia-preparare-lafrica-allo-scontro-di-civilta/.
2)Vedi http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2011-09-30/soros-salvare-eurozona-tesoro-231508.shtml?uuid=Aa3WM08D&fromSearch.
3)Vedi http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2011-10-11/appello-leuropa-202250.shtml?uuid=AaeDKBCE.
4) Vedi http://www.ilfoglio.it/soloqui/10743.
5)Vedi http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=40674
6)Vedi Corriere della sera, 16/10/11, p.1.

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