venerdì 28 ottobre 2022

MULTIPOLARISMO E STRATEGIA POLITICA

 Putin ha certo ragione ad accusare l’America e in generale l’Occidente di avere creato le condizioni geopolitiche per lo scoppio di questa guerra, di “ignorare le ragioni” storiche e geopolitiche del multipolarismo e di avallare una ripugnante russofobia. Né ha senso definire “democratico” un regime etno-nazionalista in cui non vi è alcuno “spazio” politico, sociale e culturale per la minoranza (filo)russa. 

Tuttavia, la Russia non correva il pericolo di essere attaccata dalla Nato e il veto certo della Germania e della Francia impedivano l’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Del resto, alla guerra ibrida si deve sapere rispondere con una guerra ibrida non con un “attacco frontale” contro l’Occidente. La trappola strategica tesa dagli angloamericani alla Russia (se di trappola strategica si può parlare) era appunto quella di istigare la Russia a scatenare un attacco contro l'Ucraina.

Vero comunque che lo scopo della Russia non era quello di occupare militarmente l’Ucraina, ma con ogni probabilità quello di instaurare un governo filorusso a Kiev, con l’aiuto di una quinta colonna filorussa. Ma se questo era il disegno strategico di Mosca, allora è miseramente fallito dato che la situazione strategica in Ucraina è cambiata con l’intervento della Nato a sostegno del regime di Kiev (e si tratta di un intervento che ha messo pure a nudo i gravi difetti della macchina bellica russa, nonché dello stesso regime di Putin). Se il disegno strategico di Mosca non fosse fallito, la Nato non avrebbe nemmeno avuto la possibilità di intervenire a sostegno del regime di Kiev. Ci sarebbero state sanzioni e combattimenti, ma Mosca avrebbe avuto le chiavi strategiche dell’Ucraina (tranne quelle dell’Ucraina occidentale, se il governo ucraino si fosse trasferito a Leopoli).

La Russia invece nei primi mesi di guerra non è nemmeno riuscita a prendere il controllo di tutto il Donbass, ma ha solo conquistato buona parte dell’oblast’ di Cherson e la fascia costiera occidentale del Mar d’Azov, anche se a Kiev e a Kharkov (o Charkiv) buona parte delle sue truppe d’élite (paracadutisti, forze speciali, fucilieri e truppe corazzate della guardia) è stata decimata. Poi si è impegnata in duri combattimenti contro l’esercito ucraino conquistando Mariupol e Severodonetsk, ma in seguito ha pure subito la controffensiva ucraina. E adesso è costretta sulla difensiva e deve cercare di indebolire la resistenza e la logistica dell’esercito di Kiev colpendo le infrastrutture energetiche dell’Ucraina, benché non abbia ancora conquistato il dominio dell’aria dopo otto mesi di guerra.

In pratica, nonostante i danni e le sofferenze che l’esercito russo ha inflitto e può ancora infliggere all’Ucraina (tanto più che adesso Mosca può contare anche sui riservisti, che non saranno motivati né bene addestrati né bene equipaggiati ma che comunque possono fare sentire il loro “peso” sul campo di battaglia), Putin (almeno per ora) ha ottenuto l’opposto di quel che si proponeva. Non solo la Nato (che dopo il disastroso ritiro americano da Kabul nell’estate del 2021 pareva davvero essere “in stato di morte cerebrale” come aveva sostenuto Macron nel 2019) adesso è di gran lunga più forte e pericolosa per la Russia di quanto lo potesse essere un anno fa, ma la Russia ha compromesso gravemente i vitali rapporti con l’Europa occidentale, subendo delle sanzioni che hanno un costo salatissimo per un Paese con un’industria manifatturiera nemmeno paragonabile a quella Germania o dell’India (per non parlare della Cina), e dipendente in gran parte dalle importazioni di tecnologia occidentale.

Certo la Russia non è affatto “isolata”, con buona pace degli (euro)atlantisti, ma l’appoggio alla Russia, peraltro limitato, di molti importanti Paesi non occidentali dipende soprattutto dal fatto che questi Paesi non tollerano più che l’America sia al tempo stesso un giocatore e l’arbitro della politica internazionale. Nondimeno, questi Paesi non costituiscono un “blocco di potenza” come quello della Nato a guida americana né hanno intenzione di lanciare un “attacco frontale” contro l’Occidente e in particolare contro l’America, anche perché sanno che il tempo gioca comunque a loro favore e che il ruolo della Russia nel mondo dipende dal multipolarismo non viceversa. Comprendono, pertanto, le ragioni geopolitiche della Russia e non volteranno le spalle a Mosca, ma non sono neppure disposti a sacrificare i propri interessi per favorire i disegni anti-egemonici di una Russia che sembra agire come se fosse ancora l’Unione Sovietica.

In altri termini, la Russia aggredendo l’Ucraina in un certo senso ha voluto “imitare” la politica di prepotenza dell’America (in questo caso il grave eccesso di legittima difesa non si distingue da una guerra di aggressione, con tutto quel che ne è conseguito per i civili), ma agendo così ha commesso dei gravi errori di “calcolo strategico” perché non ha la potenza militare dell’America, perché perfino l’America dopo la Seconda guerra mondiale non è riuscita ad imporre la propria volontà in situazioni analoghe e perché ha sottovalutato le conseguenze che ne sarebbero potute derivare, oltre alla resistenza del regime di Kiev e di gran parte della popolazione ucraina (la cui ostilità nei confronti dei russi non è certo diminuita in questi mesi, nonostante le terribili ferite inflittele dall'esercito russo).

Va da sé quindi che non c'è differenza più significativa sotto il profilo (geo)politico della differenza tra il fine che ci si propone di conseguire e la strategia mediante la quale ci si propone di conseguire un determinato fine. Il fatto che quest'ultimo sia desiderabile, condivisibile o "giusto", non implica affatto che non conti l'agire strategico, che concerne la questione (essenziale) del rapporto tra mezzi e fine (non a caso un generale "amico" incapace può fare danni maggiori di un generale "nemico" capace). Un conto dunque è comprendere o condividere le ragioni di un attore geopolitico, un altro giudicare il modo in cui un attore geopolitico cerca di "farle valere".

Ovviamente il prossimo inverno sarà “lungo” non solo per la Russia ma pure per l’Ucraina e l’Europa, e nessuno quindi sa come potrà finire questa guerra (che peraltro si combatte in Ucraina non in terra di Russia), nonostante che in Occidente si cerchi di vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso, ma è indubbio che la “mossa” o, meglio, la “contromossa” di Putin non debba essere confusa con la questione del multipolarismo. 

Casomai sono l’America e la Nato che si illudono di potere togliere al multipolarismo il suo “pungiglione geopolitico”, cercando di mettere la Russia con le spalle al muro e ostinandosi a considerare chiunque non condivida i cosiddetti “valori dell’Occidente” un nemico dell’umanità, come se l’umanità fosse solo quella dell’English-speaking world. E questa politica dell'Occidente forse è la migliore “carta geopolitica” che la Russia può ancora giocare.


mercoledì 26 ottobre 2022

EURO-ATLANTISMO E DECLINO DELL’EUROPA

 “L'industria europea nelle mani di Biden: così il potere si sposta verso l’America” è il titolo di un interessante articolo di Federico Fubini pubblicato sul “Corriere della sera” il 24 ottobre scorso.

Secondo Fubini, la guerra in Ucraina ha accentuato la dipendenza del continente europeo dall’America, al punto che “potrebbe non essere più l’Estremo Oriente a erodere la base industriale dell’Italia e dell’Europa. Quel ruolo potrebbe passare all’Estremo Occidente: l’America”. Il governo americano, nota Fubini, ha già stanziato 50 miliardi dollari per sussidi diretti alle imprese americane, al fine di sviluppare la produzione di semiconduttori e rendere l’America il più possibile indipendentemente da Taiwan in un settore industriale di così grande importanza strategica. 

Ma in programma vi sono aiuti ad altri settori industriali strategici, e anche le decine di miliardi dollari spesi dagli Usa per aiutare l’Ucraina contribuiscono a rafforzare il complesso militare-industriale americano, che, del resto, trarrà pure profitto dal forte aumento delle spese militare dai Paesi della Nato. Insomma, come sempre (anche se questo Fubini non lo afferma esplicitamente) è lo Stato (con buona pace dei neoliberisti come la Meloni) che anche in America svolge un ruolo strategico creando le condizioni che le imprese americane possono sfruttare per svilupparsi ed essere più competitive a livello mondiale. 

Peraltro, ricorda Fubini, anche l’acquisto del gas americano - ottenuto con la tecnica del fracking che in Europa non si vuole impiegare per i danni che causa all’ambiente -avvantaggia nettamente l’industria americana rispetto a quella europea, dato che agli americani il gas adesso costa sei volte meno che agli europei (ad agosto agli europei costava otto volte di più). 

Nondimeno, questa dipendenza sempre più marcata dell’Europa dall’America sarebbe inevitabile, dato che l’Europa non potrebbe fare a meno dell’America per difendersi dalla Russia. Secondo Fubini, difatti, “senza la difesa statunitense oggi l’armata russa forse minaccerebbe già Varsavia o almeno Vilnius, Riga e Tallinn. È Biden che sta garantendo l’integrità geopolitica dell’Europa, dunque non possiamo protestare.” 

Tuttavia, è facile osservare che questa è una conclusione del tutto “arbitraria” considerando le stesse premesse del discorso di Fubini, dato che se gli interessi dell’America e quelli dell’Europa sono non solo diversi ma addirittura opposti, è ovvio che l’Europa dovrebbe potenziare la propria difesa per “smarcarsi” dagli Stati Uniti. Un compito che sarebbe tutt’altro che impossibile (anche senza prendere in considerazione l’ombrello nucleare della Francia, che comunque può essere rafforzato, se necessario), anche tenendo conto solo delle risorse e dei mezzi dei quattro principali Paesi del continente europeo (ossia Francia, Germania, Italia e Spagna), tanto più che, come ha dimostrato la guerra che si combatte in Ucraina, la potenza militare convenzionale della Russia è di gran lunga inferiore a quanto si potesse immaginare alcuni mesi fa, basandosi sulla propaganda della Nato.

D'altronde, se le materie strategiche della Russia (non solo gas e petrolio) sono essenziali per l’industria manifatturiera europea, pure quest’ultima è essenziale per la Russia, che non avrebbe quindi alcun interesse ad “uccidere la gallina dalle uova d’oro”. Ma è Fubini stesso che riconosce, benché implicitamente, che la guerra che si sta combattendo in Ucraina ha offerto la possibilità all’America di “tagliare i ponti” tra l’Ue (e in specie la Germania) e la Russia, al fine di rafforzare la propria egemonia politica ed economica sul Vecchio Continente (e non è un mistero che l'America punta anche a "tagliare i ponti" tra l'Ue e la Cina , che è il "nemico" più pericoloso per gli Usa).

Il problema non è allora che l’Europa non si può permettere di “smarcarsi” dall’America al fine di tutelare i propri interessi, ma che le élites dominanti europee, per difendere i loro interessi e i loro privilegi, non vogliono “smarcarsi” dall’America (peraltro, si dovrebbe pure considerare la differenza tra gli interessi dell'Europa occidentale e quelli dell'Europa orientale, in particolare quelli della Polonia e dei Paesi baltici). In definitiva, anche per quanto concerne i rapporti tra l’Europa e l’America si conferma che un “vincolo esterno” presuppone necessariamente un “vincolo interno”.

domenica 23 ottobre 2022

REALISMO GEOPOLITICO

In politica è decisivo non solo il fine che ci si propone, ma pure "se, come e quando" lo si possa conseguire.

In sostanza, a nessuna forza politica si può chiedere di ottenere ciò che in una determinata fase storica è praticamente impossibile ottenere.

 In altri termini, pure sulla questione ucraina occorre essere realisti, distinguendo ciò che si ritiene che sarebbe giusto fare da ciò che è possibile e necessario fare considerando il contesto storico e geopolitico in cui si deve agire.

Che cosa allora dovrebbe fare una forza politica italiana per tutelare il nostro interesse nazionale ed evitare che si arrivi ad uno scontro diretto tra la Nato e la Russia?

Che l'Italia rinunci adesso all'invio di armi al regime di Kiev non pare probabile (anche se non è assurdo chiederlo), ma possibile e necessario sarebbe chiedere di porre perlomeno un "limite", vale a dire che gli aiuti militari a Kiev cesseranno nel caso che l'esercito ucraino non si limitasse a cercare di riconquistare i territori conquistati dai russi dopo il 23 febbraio scorso.  

L'Italia, del resto, non è né la Turchia né Israele. Non può quindi che agire nel quadro dell'Ue, con particolare attenzione alla politica della Francia e della Germania. Chi davvero conta comunque è, volenti o nolenti, l'America. 

Pertanto, finché Washington non cambierà politica sulla questione ucraina, probabilmente l'unica cosa che si può e si deve fare è adoperarsi affinché la difesa dell'Ucraina sia definita in modo tale da non compromettere la possibilità di una soluzione negoziale (peraltro si può trattare anche quando si combatte) che riconosca pure i diritti della popolazione del Donbass e le ragioni di entrambi i belligeranti.  

Questo non significa né chiedere a Kiev di arrendersi (ossia che sia Mosca a dettare le condizioni della pace), né che sia Kiev a dettare le condizioni della pace (e che quindi Kiev possa puntare alla riconquista militare di tutto il Donbass e pure della Crimea), né che si faccia dipendere la pace dal crollo del regime di Putin o perfino dalla disgregazione della Russia. 

Può darsi che per molti non sia la soluzione migliore, ma nelle condizioni in cui siamo ottenere questo sarebbe già un risultato eccezionale, al punto che è lecito dubitare che lo si possa davvero ottenere.

domenica 16 ottobre 2022

NEOLIBERALISMO E GEOPOLITICA

Allorché si discute di neoliberalismo è necessario intendersi non solo sulla differenza tra neoliberalismo e liberalismo ma anche e soprattutto sulla differenza tra ciò che si può definire come liberalismo antico ( in particolare dei Greci) e liberalismo moderno. 

Scopo principale del liberalismo antico, infatti, era quello di cercare di risolvere la questione politica per eccellenza, vale a dire come conciliare un ordine politico che non sia oppressione con una concezione della libertà che non sia né arbitrio né licenza (il fatto che storicamente questa conciliazione non ci sia mai stata o ci sia stata solo in forme più o meno imperfette conta poco sotto il profilo metapolitico).

In particolare, per il liberalismo antico decisiva era l'antropologia politica giacché l'(auto)formazione spirituale dei membri della polis era considerata la condizione necessaria perché vi fosse una polis "rettamente ordinata" sotto il profilo politico.

Scrive Leo Strauss: "L’educazione liberale è l’antidoto contro la cultura di massa, i suoi effetti corrosivi e la sua tendenza intrinseca a non produrre altro che 'specialisti senza spirito di discernimento ed epicurei senza cuore'. L’educazione liberale è la scala con cui cerchiamo di salire dalla democrazia di massa alla concezione della democrazia nel suo senso originario. L’educazione liberale è lo sforzo necessario per fondare un’aristocrazia nell’ambito della società democratica di massa. L’educazione liberale ricorda la grandezza umana ai membri della democrazia di massa che hanno orecchie per intendere."

(Strauss sapeva bene, del resto, che lo Stato omogeneo e universale, che è lo scopo politico "ultimo" del neoliberalismo, sarebbe stato il trionfo del conformismo e la fine della "filosofia” - intesa come espressione della intelligenza critica non sottomessa al potere - ovverosia la dittatura "perfetta". Criticando l’ordine politico delineato da Kojève, scrive infatti Strauss: "Kojève [...] conferma la concezione classica secondo cui il progresso tecnologico illimitato […], inteso come condizione indispensabile per la creazione dello Stato universale e omogeneo, è distruttivo dell’umanità dell’uomo").

In questo senso, non solo il liberalismo dei moderni è nettamente diverso da quello antico, come sostiene Strauss, ma il neoliberalismo è l'esatto contrario del liberalismo antico.

Tuttavia, non vi è errore peggiore che credere che per combattere il neoliberalismo sia necessario un ordine politico "illiberale", non solo perché un ordine politico fondato sull'oppressione (in cui cioè l'uso della forza - che pure talvolta è indubbiamente necessario – sia "metodo di regno") non si può certo considerare "migliore" di un regime neoliberale (anche questa è appunto una lezione del liberalismo antico), ma soprattutto perché sarebbe una strategia politica errata, considerando che il regime neoliberale - in quanto si configura come un sistema capitalistico fondato su una volontà di potenza e una bramosia di possesso "illimitate" - ben difficilmente può non rivolgere la propria "punta distruttiva" contro sé medesimo.

Pertanto, il pericolo che si deve evitare è che il crollo o la "progressiva degenerazione" del regime neoliberale equivalga ad una "catastrofe globale". E questo rileva in specie sotto il profilo geopolitico, perlomeno nella misura in cui il multipolarismo (che, si badi, è un processo storico non una ideologia) può davvero essere un "freno" alla pre-potenza dell'Occidente neoliberale. 

                                                                                                       *

Al riguardo, ci si dovrebbe chiedere se e quanto siano significative sotto il profilo geopolitico le caratteristiche di una determinata formazione politica e sociale, dato che gli Stati non sono come delle astronavi che si muovono nel vuoto cosmico, ma “creature” storiche che agiscono nella storia, come prova il fatto stesso che il conflitto sociale e politico, benché anch’esso possa essere un conflitto tra élites, non “si riduce” solo al conflitto tra élites dominanti.

In definitiva, se l’analisi geopolitica, come insegna la teoria delle relazioni internazionali, deve necessariamente tener conto delle “costanti” che contraddistinguono il conflitto tra diverse “potenze” (e in specie tra “grandi potenze”), non può nemmeno prescindere da un’analisi delle caratteristiche politiche e sociali delle singole “potenze” in lotta tra di loro, come ha dimostrato la stessa storia del secolo scorso.