martedì 6 agosto 2019

"CHI DICE UMANITÀ CERCA DI INGANNARVI"

Giorgio Agamben è un intellettuale di punta della sinistra neoliberale, certo colto e non privo di talento. Tuttavia, anche Agamben (contro il quale Losurdo non esitò a scagliare i suoi strali) nella sostanza si muove, sia pure in modo originale, nel solco tracciato dal pensiero post-strutturalista e post-marxista francese, secondo cui il "nemico" è soprattutto lo Stato nonché il maestro, il poliziotto, il commerciante, l'operaio, la famiglia, il padre, il maschio, l'"uomo "bianco" o la "donna bianca", l'eterosessuale, ecc.
Non a caso nel suo libro La comunità che viene, Agamben scrive:
"Poiché il fatto nuovo della politica che viene è che essa non sarà più lotta per la conquista o il controllo dello stato, ma lotta fra lo stato e il non-stato (l'umanità), disgiunzione incolmabile delle singolarità qualunque e dell'organizzazione statale»", (Giorgio Agamben," La comunità che viene", Bollati Boringhieri, Torino 2001, p. 58).

Del Politico, nel senso forte del termine e di conseguenza della serietà della storia, non c'è quindi neppure più traccia. Né la lotta per l'egemonia, né la lotta tra gli Stati, né la lotta sociale contano.
Da una parte della barricata c'è lo lo Stato, dall'altra l'umanità.

Ma Agamben va ben oltre. Ad esempio, nella  Ragazza indicibile, un interessante saggio sulla Kore e i misteri di Eleusi, Agamben, oltre a fare sfoggio di una notevole e pregevole erudizione, parte da premesse condivisibili ma per giungere, con una "forzatura ermeneutica" evidente, ad una conclusione che è in contraddizione con tali premesse.
Certo il mistero è solo nominabile, non dicibile (tanto che Kerényi afferma che il nome di Apollo, ad esempio, è il "mito", mentre mitologemi sono i cosiddetti "miti" che riguardano la figura di Apollo). In altri termini, il verbo Essere già tradisce (ossia lo tramanda tradendolo) il mistero. 
Ma per Agamben il mistero non è il silenzio da cui sgorga la parola, compresa quella di Apollo che scatena il conflitto delle interpretazioni, né il volto nascosto del Dio da cui si irradiano le catene espressive che formano il mondo (Giorgio Colli), né il punto extraspaziale da cui nascono i paradossi di Zenone. 
La parola non "ri-vela" il mistero. Non c'è, infatti, nessun mistero. Questo è il mistero. Sicché Agamben conclude:
"Vivere la vita come un'iniziazione. Ma a che cosa? Non a una dot­trina, ma alla vita stessa e alla sua assenza di mistero. Questo ab­biamo appreso, che non c'è alcun mistero, soltanto una ragazza in­dicibile.
Gli uomini sono dei viventi che, a differenza degli altri anima­li, devono essere iniziati alla loro vita, devono, cioè, prima perder­si nell'umano per ritrovarsi nel vivente e viceversa".

Nessun significato nascosto, nessuna esperienza "sovra-individuale", nessun "essere in fusione", giacché il silenzio indicibile non è che un nome, Kore, ossia il nome di quell'umanità il cui nemico mortale oggi sarebbe esclusivamente lo Stato.
Eppure Agamben sa bene che secondo Carl Schmitt "Wer Menschheit sagt, will betrügen", ossia "chi dice umanità cerca di ingannarvi" e che già Pierre-Joseph Proudhon aveva espresso il medesimo concetto. 

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