Lunedì
scorso il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha rivelato in un discorso
alla Nazione che i servizi di intelligence israeliani sono riusciti ad
impadronirsi del dossier segreto relativo al programma nucleare iraniano e che
una copia di questo dossier è stata consegnata agli americani. Si tratta di
numerosi documenti che, a giudizio del premier israeliano, proverebbero che Teheran
ha intenzione di dotarsi di armi atomiche, violando così palesemente il Joint Comprehensive Plan of Action del 2015, ovvero il cosiddetto
“accordo 5+1” (i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu più la
Germania), in base a cui Teheran avrebbe dovuto sospendere il suo programma
nucleare in cambio della cessazione delle sanzioni economiche imposte all’Iran
proprio perché cessasse tale programma.
Com’era
prevedibile le parole di Netanyahu hanno provocato una miriade di polemiche in
tutto il mondo, tanto più che Trump aveva già dichiarato di voler “uscire”
dall’intesa sul nucleare iraniano (il presidente degli Usa dovrebbe annunciare
la sua decisione il prossimo 12 maggio). Del resto, si sa che quando si tratta
di Israele gli animi si scaldano subito: vi è chi si schiera a priori a favore
di Israele e chi si schiera a priori contro Israele. Ma questa volta la
questione è troppo seria per lasciare la parola solo a chi fa il tifo per o
contro Israele.
In
primo luogo, si deve notare che secondo l’Aiea (Agenzia internazionale per
l'energia atomica) le dichiarazioni di Netanyahu non aggiungono nulla di nuovo
a quanto già si sapeva nel 2015. Infatti, era noto che il programma nucleare
dell’Iran aveva un duplice scopo, civile e militare, ma pure che questo
programma, per quanto concerne la produzione di armi atomiche, dopo il 2003 era stato quasi del tutto "bloccato" e (di fatto) era cessato del tutto nel 2009. In effetti,
se si riteneva che l’Iran non mirasse a dotarsi di armi atomiche (come invece Teheran
ha sempre sostenuto) non vi sarebbe neppure stata la necessità di un’intesa sul
nucleare iraniano. Intesa che l’Iran ha (nella sostanza) rispettato, come ha dichiarato
lo stesso generale Gadi Eisenkot (Chief
of General Staff of the Israel Defense Forces) solo qualche settimana prima
delle “rivelazioni” di Netanyahu (1).
Nondimeno,
si è pure osservato che Netanyahu ha evidenziato dei “punti nuovi” che meritano
di essere analizzati e valutati seriamente, a cominciare dal fatto che secondo
il premier israeliano l’Iran aveva in programma la costruzione di cinque bombe
nucleari da quindici kilotoni ciascuna (“Bibi” ha pure indicato i siti in cui
possono essere costruite) (2). Insomma, l’Iran avrebbe mentito spudoratamente
riguardo agli scopi del suo programma nucleare. Ma questo (ammesso che sia
vero) basta per “uscire” da un’intesa che comunque sta dando dei “buoni frutti”
ovverosia “is working now” per usare
le parole del capo di Stato maggiore israeliano?
Peraltro,
vi è chi afferma che in ogni caso l’Iran farebbe bene a dotarsi di armi
atomiche per la propria sicurezza, dato che Israele dispone di un vasto
arsenale atomico, che comprende pure dei missili balistici a medio raggio (di
preciso sui missili israeliani si sa poco, ma ad esempio le stime della gittata
del Jericho III variano da 4.800 ad
oltre 6.000 chilometri). Perciò alcuni ritengono che l’Iran, anche se potesse
disporre di alcune armi atomiche, non rappresenterebbe una grave minaccia per
Israele (che, secondo fonti attendibili, possiede circa 200 testate nucleari).
Ma è ovvio che se l’Iran diventasse una potenza nucleare pure altri Paesi della
regione (in specie la Turchia e l’Arabia Saudita) cercherebbero di dotarsi di
armi atomiche, e una proliferazione nucleare in una regione instabile come il
Medio Oriente avrebbe con ogni probabilità conseguenze catastrofiche.
A
tale proposito si deve ricordare che gli Usa hanno ribadito che non ha senso
chiedere ad Israele di rinunciare o ridurre il proprio arsenale atomico fin
quando tutti gli altri Paesi della regione non riconosceranno in modo chiaro e
netto il diritto all’esistenza di Israele. Ma si tratta di un punto di vista discutibile,
in quanto l’ostilità nei confronti di Israele da parte di non pochi musulmani
non giustifica il fatto che l’arsenale atomico di Israele (che non ha mai
ammesso di possedere armi nucleari) non sia soggetto ad alcun controllo
internazionale. Di conseguenza, il punto di vista degli americani pare portare acqua
al mulino dei falchi iraniani. (Questi ultimi possono anche fare presente che
l’Iran confina pure con il Pakistan, anch’esso una potenza nucleare e com’è
noto, la maggioranza della popolazione pachistana è sunnita. Ma nel mondo
musulmano conta soprattutto l’appartenenza al clan e comunque il “nemico
tradizionale” del Pakistan è l’India, che è una potenza militare e nucleare
decisamente maggiore del Pakistan).
D’altra
parte, quel che più sembra preoccupare Israele è il programma missilistico
iraniano, che secondo alcuni analisti occidentali dovrebbe essere preso in
considerazione, per limitarlo il più possibile, se si vuole difendere
“l’accordo 5+1” (una tesi sostenuta pure dal presidente francese). Teheran però
considera il suo programma missilistico un affare interno dell’Iran e quindi
“non negoziabile”. Ma il problema del nucleare iraniano è reso ancora più
complicato dal cosiddetto “arco sciita”, che dall’Iran arriva fino al Libano
passando per l’Iraq e la Siria - un Paese “lacerato” da sette anni di guerra (scatenata
per rovesciare con la forza il regime di Assad) e in cui vi sono numerose basi
iraniane che Israele ha più volte attaccato. L’ultimo di questi attacchi è
avvenuto proprio poche ore prima del discorso di Netanyahu e avrebbe distrutto
centinaia di missili (l’esplosione di un enorme deposito di armi e munizioni ha
provocato perfino una scossa di terremoto di 2,6 gradi secondo la scala Richter).
Invero, i vertici politico-militari israeliani non si sono neppure lasciati
intimorire dalla presenza dei russi in Siria, il cui scudo difensivo pare
proteggere le basi russe ma assai meno quelle siriane e iraniane. Anche per gli
israeliani però il pericolo di uno scontro con i russi non si può sottovalutare,
non tanto perché le forze russe che attualmente si trovano in Siria siano pericolose
per Israele ma perché non è interesse di Israele confrontarsi direttamente con
una grande potenza militare come la Russia, benché in passato si siano già
registrati gravi incidenti tra i due Paesi (3).
Certo,
si deve riconoscere che Mosca ha giocato bene le sue carte nella regione: Assad
ora è saldamente in sella, gli islamisti sono stati sconfitti in gran parte
della Siria e perfino i rapporti della Russia con Israele non sembrano “dei
peggiori” (almeno per ora). Ma neppure Mosca può stabilizzare la situazione in
tutto il Medio Oriente, portando ordine e pace. La potenza militare
convenzionale della Russia nell’area mediterranea è, tutto sommato, di modeste
proporzioni e di limitata capacità difensiva. In Siria, del resto, si continua
a combattere e sono presenti, oltre ai soldati siriani e a diversi gruppi di
terroristi islamisti (inclusi quelli appoggiati dai sauditi), soldati iraniani,
le milizie di Hezbollah, militari russi, soldati turchi e combattenti curdi. E
si deve pure tener conto degli interventi della coalizione a guida Usa e
ovviamente di quelli di Israele. (In Occidente si è parlato pure del tentativo
di Assad di coinvolgere i cinesi nella guerra che Damasco combatte contro gli
islamisti dal 2011, ma la Cina agisce con prudenza e non pare interessata a
gettare altra benzina sul fuoco).
In
questo contesto “mandare all’aria” il Joint
Comprehensive Plan of Action sarebbe dunque
da irresponsabili e potrebbe fare
esplodere quella gigantesca santabarbara che è diventato il Medio Oriente,
sconvolgendo l’intera aerea mediterranea (e non solo). D’altronde, oltre alla
crescente tensione tra Hezbollah (che possiede circa 100.000 missili e razzi) e
Israele, pure la questione palestinese contribuisce ad infiammare gli animi,
soprattutto a causa della politica di prepotenza di Israele che, anziché
indebolire Hamas (come sarebbe necessario se si vuole davvero sostenere la
causa palestinese), rischia di spingere tra le braccia degli islamisti anche la
migliore gioventù palestinese. In definitiva, pur non negando l’importanza
della questione del nucleare e dei missili iraniani, sono tutti i nodi del
Medio Oriente che stanno venendo al pettine. Per evitare il peggio occorrerebbe
che i principali attori geopolitici agissero in modo responsabile, lasciandosi
condizionare il meno possibile dalle questioni di politica interna. Tuttavia, si
deve anche prendere atto che sia l’arroganza di Netanyahu che il caos che regna
alla Casa Bianca, nonché la russofobia che caratterizza lo “Stato profondo” americano, non promettono “nulla di buono”.
NOTE
1).
Si veda Amos Harel, Israel's Double Front
Against Iran: Military Strike in the Morning, Press Conference at Night,
“Haaretz”, 01/05/2018.
2).
Si veda, ad esempio, Yonah Jeremy Bob, What
did the Mossad actually get from Iran?, “The Jerusalem Post”, 03/05/2018.
3)
Si veda Isabella Ginor, Gideon Remez, The
Soviet-Israeli War 1967-1973, Oxford University Press, Oxford, 2017.
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