mercoledì 9 dicembre 2020

CAPITALISMO E DEMOCRAZIA

La definizione  degli Stati occidentali come Stati democratici è sempre stata discutibile, dacché una democrazia o è sociale o non è. Eppure, nel cosiddetto 'trentennio glorioso' della seconda metà del secolo scorso, definire gli Stati occidentali liberal-democratici non era scorretto.

 Ad esempio, durante la Prima Repubblica italiana i partiti erano radicati nel territorio e rappresentavano veramente, insieme ad altre organizzazioni come i sindacati, gli interessi anche dei ceti sociali subalterni, tanto che nella Prima Repubblica, caratterizzata da una economia mista che vedeva lo Stato svolgere un ruolo di primo piano anche sotto il profilo economico, non mancavano neppure degli 'elementi' di socialismo. 

Tutto però è cambiato negli ultimi trent'anni. 

Ormai gli Stati occidentali presentano, tutt'al più, alcuni 'elementi' di democrazia formale. I partiti in pratica sono diventati dei comitati d'affari di una borghesia compradora e lo stesso Stato diritto è, per così dire, una 'finzione scarsamente produttiva'. Difatti, il potere esecutivo è sempre più anche un potere legislativo  e a sua volta il potere esecutivo è sempre più un potere che impone decisioni prese da potentati economici e finanziari o da organizzazioni capitalistiche internazionali non soggette ad alcun reale controllo democratico. 

D'altronde, il potere giudiziario è sempre più 'politicizzato' e comunque, nel migliore dei casi, è un potere che gode solo di una relativa autonomia (di fatto è un potere 'intrecciato', sia pure in vari modi e in diversa misura, con il potere economico e il potere politico. Del resto, pure il 'quarto potere', ossia quello dei media, è controllato dai gruppi dominanti. 

Si deve pertanto prendere atto che l'attuale  regime neoliberale in pratica non si distingue da una dittatura di mercato 'politicamente corretta', caratterizzata cioè da tratti marcatamente totalitari sotto il profilo politico-culturale.

Peraltro, anche lo scontro tra neoliberali di sinistra (i cosiddetti 'liberal-progressisti') e neoliberali di destra (i cosiddetti 'liberal-populisti' o 'liberal-sovranisti') avviene nello spazio politico e sociale di una società di mercato che come tale non è messa in discussione, in quanto si tratta di uno scontro tra chi rappresenta gli interessi del grande capitale internazionale più avanzato sotto il profilo tecnologico, e chi rappresenta gli interessi del capitalismo nazionale, ossia soprattutto del medio e piccolo capitale.  

Tuttavia, proprio la vicenda del Covid, in quanto si inserisce in un contesto geopolitico caratterizzato dalla ascesa di un nuovo centro di potenza anti-egemonico come la Cina che si differenzia nettamente anche sotto il profilo politico-sociale dagli Stati Uniti cioè dalla potenza egemonica occidentale, ha dimostrato non solo che l'attuale  sistema liberal-capitalistico è incapace di risolvere i problemi che esso stesso genera, ma che solo lo Stato può tutelare il bene comune (salute di tutti compresa) e privilegiare l'interesse collettivo rispetto a degli interessi meramente settoriali (ovvero agli interessi della classe capitalistica, internazionale o nazionale che sia). 

D'altra parte, è evidente a chiunque che trent'anni di neoliberalismo hanno inciso così profondamente sulla realtà sociale e culturale dei Paesi occidentali da rendere, se non impossibile, estremamente difficile che si formi un 'soggetto collettivo' che abbia come scopo la trasformazione della funzione politica dello Stato in senso socialista o (cambiando il nome ma non la 'cosa') in senso 'post-capitalistico'.

In sostanza, dato che le stesse masse popolari sono sempre più eterodirette non solo sotto l'aspetto economico ma anche sotto quello politico-culturale, è pressoché impossibile opporsi con successo ai gruppi dominanti e subdominanti (che pure sono in lotta tra di loro) senza la capacità di contrastare l'egemonia culturale della classe capitalistica (che di fatto è  l'egemonia culturale della sinistra liberal-progressista in quanto quest'ultima non è altro che lo 'strumento' politico-culturale di cui si avvale il grande capitale internazionale per celare una dittatura di mercato  dietro le forme di un neoliberalismo 'pseudo-democratico').

 In questo senso, è lecito affermare che sono proprio il disordine mentale, l'anti-intellettualismo e l'individualismo economico e sociale che contraddistinguono il nazional-populismo ad impedire che quella che alcuni definiscono una nuova ribellione delle masse contro le élite dominanti, si possa  configurare come una 'nuova forza' politica e sociale capace di porre gli apparati dello Stato e lo stesso mercato al servizio dell'intera collettività.



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