Torno brevemente sulla questione del socialismo, per quei quattro gatti che sono interessati a tale questione.
Posto che il nome "socialismo" conta poco, perché conta assai più il significato del significante, non vi è chi non veda, sempre che voglia tenere gli occhi aperti, che il neoliberalismo si configura vieppiù come una forma di nichilismo estremo e al tempo stesso come un effetto della cosiddetta "mercificazione universale".
Posto che il nome "socialismo" conta poco, perché conta assai più il significato del significante, non vi è chi non veda, sempre che voglia tenere gli occhi aperti, che il neoliberalismo si configura vieppiù come una forma di nichilismo estremo e al tempo stesso come un effetto della cosiddetta "mercificazione universale".
In questo senso, nichilismo è la perdita di tutti i valori tranne uno: il valore di scambio o, meglio, di quel valore d'uso che consiste nel valore di scambio, ossia il denaro. Ma il denaro è anche e soprattutto un mezzo di comunicazione e uno strumento di potere.
Ed è in quanto tale che il denaro diventa "predominante". In altri termini, senza egemonia corazzata di coercizione e senza egemonia culturale non c'è alcun predominio del denaro (è significativo infatti che in epoca pre-moderna ovvero nelle società pre-capitalistiche non fosse il mercante ma il "principe" o il sacerdote a comandare, cioè chi deteneva il controllo dei principali mezzi di coercizione e di persuasione).
Non è quindi tanto la ricerca del massimo profitto che caratterizza la società occidentale neocapitalista, quanto la lotta per il potere e l'incremento illimitato della volontà di potenza dei gruppi dominanti. Lo stesso profitto allora, almeno per i gruppi dominanti, è ricercato in vista della supremazia (globale), non viceversa.
Quello che conta cioè non è il mercato in quanto tale bensì (per usare le parole di F. Braudel) il livello "sopra" il mercato, che di fatto "regola" la società di mercato (non sono pertanto i tecnici a detenere le leve del comando, ma gli "strateghi del grande capitale").
Ne consegue che lo stesso sistema sociale ed economico viene ad essere sempre meno indipendente dal "livello" geopolitico e geoeconomico, ovverosia i centri di potenza che strutturano l'ordine mondiale strutturano sempre più anche l'ordine politico, sociale ed economico dei singoli Paesi.
(Sotto questo aspetto, ha pure senso parlare di scambio ineguale e, con I. Wallerstein, di un "sistema-mondo" diviso tra centro, semiperiferia e periferia, che non necessariamente però corrispondono a determinate aree geografiche, dato che in una stessa zona geografica - ad esempio, l'Europa - si possono trovare queste differenze, e anzi più passa il tempo più queste differenze diventano rilevanti in una stessa zona geografica).
La società di mercato dunque si caratterizza per il fatto che i potentati economici e finanziari, cioè la classe capitalistica, detiene il controllo dei principali mezzi di persuasione e di coercizione. Vale a dire che la classe capitalistica solo in quanto diventa Stato può diventare la classe predominante (perciò scrive Braudel, in La dinamica del capitalismo, "Il capitalismo può trionfare solo quando si identifica con lo Stato, quando è lo Stato").
In questo contesto, il socialismo non può allora che significare il primato della funzione sociale e politica dell'economia ossia della ragione pubblica. Un primato che non si può conseguire se non mediante una lotta politica che si svolga al tempo stesso sul piano culturale e su quello (geo)politico, dato che appunto si deve combattere contro l'egemonia culturale e corazzata di coercizione dei gruppi dominanti.
Non a caso ovunque dei movimenti socialisti siano andati al potere (in Russia, in Cina, in Vietnam, a Cuba, ecc.) hanno condiviso una sorta di "etica militare" (che, com'è ovvio, non ha nulla a che fare con il militarismo, proprio come il patriottismo è del tutto diverso dal nazionalismo).
Nulla quindi di più distante dal socialismo di una concezione pacifista o delle varie forme di "buonismo neoborghese" (chiaramente il problema di come si siano comportati i movimenti socialisti una volta andati al potere è un'altra questione, benché non sia affatto casuale che sia stata proprio una concezione meramente economicistica a portare il cosiddetto "socialismo reale" ad un fallimento rovinoso).
D'altronde, l'obiezione è scontata: non solo in Occidente non è possibile conquistare il potere con le armi, ma non vi è nessuna classe sociale potenzialmente rivoluzionaria, l'operaio massa è scomparso, i contadini sono un'infima minoranza e perfino la forma partito è radicalmente mutata al punto che del "principe" di cui parlava Gramsci non vi è più traccia.
Tutto vero.
Tuttavia, pure questa obiezione "pecca" di economicismo e presuppone che siano ancora valide categorie politico-strategiche che sono ormai del tutto obsolete. Si ignora cioè che la lotta contro la classe capitalistica non si combatte solo sul terreno dello scontro tra salari e profitti, e soprattutto che la guerra ormai non si combatte solo con le armi da fuoco, tanto è vero che è una forma di guerra ibrida che di fatto articola la lotta (geo)politica e sociale.
Perfino il nichilismo neoliberale, del resto, è un'arma a doppio taglio, che sta minando alle fondamenta non solo il sistema neoliberale ma la civiltà europeo-occidentale. Si tratta però di un un processo di autodistruzione che dovrebbe non essere contrastato evitando che cada ciò che sembra ormai destinato a cadere, come invece vorrebbero i conservatori liberali, ma "interpretato" secondo una prospettiva di "nichilismo attivo", tale cioè da considerare lo stesso "passato" come una fonte inesauribile di senso, al fine di creare una nuova "tavola di valori".
Il concetto stesso di guerra ibrida, peraltro, esige non solo che si impieghino nuove categorie politico-strategiche ma nuove forme di prassi, che possono essere condotte da una sorta di "rete" di piccoli gruppi, disciplinati e ben organizzati, capaci di sfruttare gli squilibri e le contraddizioni che la società di mercato neoliberale non può non generare. Certo il "sistema" riesce comunque a "gestire" la sua crisi, ma solo perché al tempo stesso genera la convinzione che sia una gabbia di acciaio da cui è impossibile uscire (e basterebbe pensare al "modello cinese" per rendersi conto che si tratta di una immagine fasulla della realtà), mentre sono proprio questi squilibri e queste contraddizioni - che concernono tutti gli ambiti vitali: economico, sociale, culturale, ecologico, politico e geopolitico - a configurarsi come il terreno su cui può nascere una alternativa (socialista e comunitaria) alla società di mercato neoliberale.
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